giovedì 15 luglio 2010
Papa Celestino V santo eremita al di là del «gran rifiuto» (Ruppi)
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Papa Celestino V santo eremita al di là del «gran rifiuto»
di Cosmo Francesco Ruppi
La visita del Papa a Sulmona, nell'ottavo centenario della nascita di Celestino V, è stata l'occasione per far conoscere bene una figura di pontefice, tanto dilaniata dalla storia, per il «gran rifiuto» che è stato immortalato da Dante, inviperito perché così consentì la elezione del potente card. Caetani, il futuro Bonifacio VIII, contro il quale il padre della poesia italiana era tanto avvelenato.
La vita di Pietro del Morrone è tra le più complesse pagine della storia della Chiesa. Fu eletto al soglio pontificio, da due anni vacante, per la morte di Niccolò IV, durante il travagliato conclave di Perugia, dove il suo nome fu proposto dal card. Latino Malabranca per la fama di santità ed anche perché aveva ricevuto dal santo eremita una lettera, nella quale si minacciavano castighi divini, perchè la Chiesa era ancora senza pastore.
LA VISITA DI BENEDETTO XVI A SULMONA - Il papato del frate molisano durò tre mesi e dodici giorni, ma fu segnato da alcuni errori, determinati certamente dalla sua ingenuità e dalla sua scarsa preparazione al governo: pochi giorni dopo la incoronazione, nella chiesa di S.Maria di Collemaggio, nominò dodici nuovi cardinali e rimise in vigore le norme che Gregorio X aveva emanato per regolare la elezione del Papa. Fra i nuovi cardinali, poi, nominò due frati della sua Congregazione, mentre sette erano francesi, graditi a Carlo II, sotto la cui influenza il 1° ottobre ratificò il trattato che prevedeva la signoria della Chiesa sulla Sicilia e la sua riunificazione col Regno angioino.
Tra i tanti errori, gli storici annotano anche l'affidamento di importanti incarichi ai suoi confratelli, tra cui anche quello del governo del celebre monastero di Montecassino. L'errore più grosso, però, fu aver accettato le pressioni di Carlo II di trasferire la sede pontificia da Roma a Napoli, sia pure col progetto di costruirvi una casetta di legno, ove poter pregare tranquillamente.
Avvicinandosi l'avvento, il santo comprese che non era per niente fatto per il governo della Chiesa e volle affidare il governo a tre cardinali, ma gli fecero capire che non era possibile, e allora decise di rinunciare al papato. Affidò a due cardinali, il Caetani e Gerardo Bianchi, lo studio delle modalità della rinuncia e il 13 dicembre andò via. Tornò a fare il monaco, raggiungendo il suo eremo nelle montagne abruzzesi, mentre una ventina di giorni dopo veniva eletto il Caetani, col nome di Bonifacio VIII.
Di tutto questo Benedetto XVI non ha detto niente e neppure ha parlato del rifliuto, limitandosi ad inserire il caso «nelle note vicende del suo tempo». Ha solo ricordato «la concessione della particolare indulgenza, denominata perdonanza», dicendosi lieto di aver visto dall'alto il Monte Morrone, «dove Pietro condusse per molto tempo la vita eremitica, l'Eremo di Sant'Onofrio, dove nel 1294 lo raggiunse la notizia della sua elezione a Sommo Pontefice e l'Abbazia di Santo Spirito, il cui altare maggiore venne da lui consacrato dopo la sua incoronazione, avvenuta nella Basilica di Collemaggio a L'Aquila», ove si era recato lui stesso dopo il terremoto dello scorso anno «per venerare l'urna con le sue spoglie e lasciare il pallio ricevuto nel giorno dell'inizio del suo pontificato».
GIUSTA COLLOCAZIONE NELLA STORIA - L'omelia, con meraviglia degli storici, è stata incentrata solo sull’attualità del povero pontefice, che dopo ottocento anni è ancora vivo nella storia della Chiesa non per la sua elezione e neppure per il « gran rifiuto», ma per la sua santità.
Benedetto XVI ha definito Pietro Angelerio un «cercatore di Dio», un uomo desideroso di trovare risposte ai grandi interrogativi della nostra esistenza, aggiungendo che il futuro Celestino V «si era messo in viaggio alla ricerca della verità e della felicità». L'eredità che consegna oggi alla Chiesa è quella del silenzio.
Celestino V ha ricevuto così dal suo Successore una giusta collocazione nella storia della Chiesa non per il suo breve e travagliato pontificato, ma per la sua santità: «Nel silenzio interiore, nella percezione della presenza del Signore, Pietro del Morrone aveva maturato una esperienza viva della bellezza del creato...e ne faceva uso per ciò che è essenziale alla vita».
La storia della Chiesa, nonostante ogni umana valutazione, diventa così una storia di santità, cioè l'opera dello Spirito Paraclito, che, in mezzo al frastuono delle vicende umane e agli stessi errori di papi, vescovi e preti, riesce a scrivere le pagine più belle dell’annuncio di Dio.
© Copyright Gazzetta del Mezzogiorno, 14 luglio 2010
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