mercoledì 14 luglio 2010

Se la chiesa ha paura del nuovo (Filippo Di Giacomo)


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Se la chiesa ha paura del nuovo

di Filippo Di Giacomo

Saranno circa due milioni e mezzo i giovani italiani ai quali la Chiesa, in queste settimane, potrà tentare di restituire l’allegria di essere cattolici. Sono i ragazzi coinvolti nella miriade di iniziative che, dalle parrocchie alle diocesi, dai movimenti alle associazioni, vedranno proporre ai giovani e agli adolescenti di tutta la Penisola, momenti di convivenza e di condivisione. Come sempre in questa occasioni, saranno in contatto educatori ed educatrici – preti, religiose e laici - i quali cercheranno di spiegare loro le tante possibilità esistenziali contenute nella proposta cristiana.
Se poi ai ragazzi e alle ragazze della galassia cattolica vogliamo aggiungere i milioni di fedeli che – con pellegrinaggi, visite ai santuari e partecipazione alle migliaia di feste popolari e patronali che si svolgeranno da qui a ottobre in ogni agglomerato umano dell’Italia - ci si rende facilmente conto che questa estate dell’orribile (ecclesialmente parlando) 2010 avrebbe tutti i numeri per trasformarsi in una formidabile occasione: una sorta di esami di riparazione per i preti e le diocesi del nostro Paese.
Incominciando da un esercizio assai complesso, far conoscere e comprendere ai cattolici italiani, iniziando dai più giovani, come i loro pastori intendano realmente obbedire al Papa, al suo desiderio di cambiare (come a suo tempo richiesto con insistenza dal Concilio Vaticano II) l’ormai squalificato clericalismo delle curie italiane, di anticipare il futuro - senza paura dello scandalo - seguendo la via della penitenza e della semplicità di vita, al suo invito a riformare la Chiesa “dal di dentro”, alla sua difesa appassionata della vita e dei diritti umani.
Il metodo per portare a buon fine la prima prova degli esami di riparazione, potrebbe essere quello indicato ad Aparecida, nel maggio del 2007, dal rappresentante dei vescovi cileni (inascoltato, nel documento finale) ai suoi confratelli latinoamericani: «Dobbiamo ascoltare lealmente i nostri detrattori per discernere quanto di vero ci sia nelle loro critiche. E rivedere, alla luce del Vangelo, il nostro stile di vita e di azione, come pure il contenuto e la pedagogia della nostra pastorale».
In questi mesi, infatti, anche i ragazzi hanno osservato una Chiesa che, contrariamente alla serenità del Pontefice, troppe volte è apparsa timorosa di essere messa in discussione, che di fronte alle turbolenze ha reagito unicamente chiudendosi e irrigidendosi, tentando di porre limiti alla libertà di opinione e di espressione. Perché in nessuna occasione, in nessuna parrocchia ed in alcuna diocesi, la base reale della Chiesa è stata chiamata a discernere sui fatti che l’opinione pubblica mondiale implica al clero cattolico in genere e ai vescovi in specie?
Il secondo esercizio per superare gli esami potrebbe consistere nel chiedere ai cattolici di questo Paese come liberare la loro Chiesa – aspettando che le altre facciano altrettanto - da quell’ormai incrostata ambiguità che la porta a muoversi tra il fervore per i problemi sociali del Paese, la difesa di valori attinenti alla sfera sessuale e matrimoniale non sempre (anzi, nella loro formulazione, quasi mai) concreti, e il gusto esibito della presenza negli ambienti del potere. D’altronde, una Conferenza Episcopale che fa approvare ai suoi membri, senza discussione, un bilancio dove per le “iniziative di interesse nazionale” (quali? Perché sono tanto segrete da non poter essere elencate neanche ai vescovi?) vengono stanziati sessanta milioni di euro, come fa ad evitare che i propri fedeli sospettino che nei suoi apparati ci siano ancora persone disposte a tutto, anche a mentire, pur di conservare mezzi e strumenti per preservare il potere? Anche i giovani cattolici italiani sono obbligati a sopportare il peso di una classe politica globalmente narcisistica, continuamente dedita ad ingigantire il proprio “io” per poter più facilmente disprezzare gli “altri”. E dato che anche in Italia questa cultura, vincolata al potere, attraversa la società e infetta la Chiesa, non sarebbe importante mostrargli che almeno i preti in nome di una rigorosa etica della convinzione, sono capaci di chiedere ai cattolici di domani quale vorrebbero che fosse il modello di presenze ecclesiali di cui avranno bisogno?
Ha certamente ragione il cardinale Bagnasco a pensare ad una nuova generazione di cattolici impegnati nella sfera pubblica, visto che basta un cardinale a cena con uno squalificante democristiano d’antan per far pensare all’intera stampa che i preti siano sempre attaccati al potere, a quello che avevano prima. Se il “nuovo” deve partire anche dai due milioni e mezzo di giovani che in queste settimane stanno parlando con gli uomini di Chiesa, invece della solita predica non sarebbe più onesto dire loro: fratelli, noi abbiamo sbagliato, ora tocca a voi?

© Copyright L'Unità, 14 luglio 2010 consultabile online anche qui.

4 commenti:

gemma ha detto...

il nuovo.., chiesa dal basso..."noi siamo chiesa???"

mariateresa ha detto...

sì Gemma.Che due palline.
Comunque Di Giacomo è un po'strano.
A volte certi articolo sembrano scritti da un omonimo.

Ildefonso ha detto...

noi non ridiamo ci scompisciamo!

Anonimo ha detto...

l'idea di Chiesa dei Komunisti è sempre la stessa... è proprio vera il lupo perde il pelo, ma non il vizio!