mercoledì 29 settembre 2010

Il dialogo e l'acqua santa (Filippo Di Giacomo)

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Il dialogo e l'acqua santa

di Don Filippo Di Giacomo

La settimana scorsa, in Francia, si sono riuniti “gli stati generali del cristianesimo”.
L’iniziativa, lanciata dal settimanale "La Vie" (periodico della Chiesa d’Oltralpe) era tutta cattolica. Ma, visto che i battezzati si erano autoconvocati, senza alcuna copertura ecclesiastica, i circa duemilacinquecento partecipanti che hanno riempito l’aula magna dell’Università Cattolica di Lilla hanno preferito restare senza qualificativo e discutere in santa pace. Niente di terribile: solo dibattiti sui problemi che i cattolici francesi devono affrontare nel loro contesto nazionale.
E senza le ormai stucchevoli contrapposizioni tra “la generazione Concilio” e il resto del mondo cattolico.
Anzi, l’iniziativa di Lilla ha allegramente mescolato le varie anime del cattolicesimo transalpino, compresa quella che fa capo ai tradizionalisti della «Fraternità San Pietro». Nei sessanta dibattiti che hanno animato la due giorni di Lilla per di più, tutti hanno saputo mantenere un’unanime apertura di spirito e di cuore, impensabile secondo i primi commenti, fino a un lustro fa.
A ottobre, su un altro fronte, in Francia è prevista una replica in occasione della sesta edizione degli «Incontri di Valprè», un’iniziativa lanciata dalla rivista "Esprit" (la fanno i gesuiti, ed è la versione progressista spesso anche più interessante de "La Civiltà Cattolica") e dal cardinale di Lione, che coinvolgerà centinaia di “decideurs et specialistes” del mondo imprenditoriale e industriale. In Italia, ha detto lunedì pomeriggio il cardinale Bagnasco nella sua relazione al consiglio permanente della Cei «saremmo tentati di dire che in questa estate ancor più che in passato le case parrocchiali, le strutture di soggiorno specialmente montano, gli oratori e patronati, con il proprio corredo di strutture per lo sport e il gioco, si sono riempiti come non mai». Nel resto del mondo cattolico europeo, persino in Germania e in Austria, la reazione della base ecclesiale appare del tutto simile. Ed è facile pensare di trovarsi di fronte ad uno dei più interessanti tra i tanti “effetti Benedetto”: trasformare la presa di coscienza delle molteplici incongruenze (e sconcezze) della deriva morale del clericalismo cattolico in altrettante occasioni di mobilizzazione interna.
Ormai è acquisito nell’opinione pubblica ecclesiale che Benedetto XVI conosca bene l’ampiezza della crisi di fiducia e di credibilità che il popolo dei fedeli nutre per le strutture di governo della Chiesa. Ma, senza paura di mettere a rischio la residua attendibilità della gerarchia, la scelta che Benedetto XVI sta privilegiando è principalmente pastorale.
Parlando ai giornalisti in aereo verso la Scozia, il Papa ha detto: «Una Chiesa che cerca soprattutto di essere attrattiva sarebbe già su una strada sbagliata. Perché la Chiesa non lavora per sé, non lavora per aumentare i propri numeri e così il proprio potere. La Chiesa è al servizio di un Altro, serve non per sé, per essere un corpo forte, ma per rendere accessibile l’annuncio di Gesù Cristo».
E come corollario a questa forte opzione pastorale, in Inghilterra ha tradotto l’uscita dalla marginalizzazione della presenza politica cattolica evitando toni reazionari e ricorrendo solo alle categorie della filosofia politica. Una presenza cristianamente “intelligente” dei cattolici, quella raccomandata da Benedetto XVI, capace di assumere come “sfida” anche l’attuale marginalizzazione dell’autorità della Chiesa nel mondo dei credenti, per permettere ai cattolici di riguadagnare credibilità sul lungo termine in tutti gli spazi del vivere, ecclesiale e civile.
Questo, forse, è l’orizzonte sul quale il presidente dei vescovi italiani ha sviluppato il suo ragionamento al comitato permanente della Cei e questa volta, sarà difficile accusarlo di essere entrato a gamba tesa nel campo della politica. Anche sotto il profilo formale, il discorso di lunedì del cardinale Bagnasco risulta un piccolo capolavoro di chiarezza e pacatezza. In senso compiuto, è come se l’Italia, cioè quella miriade di piccole comunità che a Roma non sembra trovare voce e attenzione, si rivolgesse sia alla Chiesa sia all’intera classe politica perché si torni nella realtà di un Paese che ha bisogno di risposte e non di polemiche. Come ha detto il Porporato «non per un’idea o l’altra comunque astratte dell’Italia, ma per l’Italia concreta, fatta di persone e comunità, ricca di risorse umane, avvezze a lavorare senza il timore della fatica, capaci di intraprendere e di creare, di applicarsi senza tregua, con fantasia e dedizione». Ora, con calma, si dovrà pur spiegare agli italiani perché, per parlare del Paese reale, nella Penisola bisogna andare a sentire ciò che la gente dice sui sagrati delle Chiese. Forse perché altrove, su tutti i colli di Roma, ha trovato solo porte chiuse?

© Copyright L'Unità, 29 settembre 2010 consultabile online anche qui.

2 commenti:

laura ha detto...

Buongiorno Raffaella, non c'entra niente con l'articolo pubblicato, ma, prendo l'occasione per farti pubblicamente gli auguri: BUON ONOMASTICO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Raffaella ha detto...

Grazie, Laura :-))