mercoledì 8 settembre 2010

La ricerca «scomoda» di Ratzinger (Filippo Di Giacomo)


Vedi anche:

Il Papa: "Vediamo come anche la teologia possa ricevere un contributo peculiare dalle donne, perché esse sono capaci di parlare di Dio e dei misteri della fede con la loro peculiare intelligenza e sensibilità" (Catechesi)

Il Papa: Sono molto impaziente per la mia visita al Regno Unito, fra una settimana, e invio cordiali saluti a tutto il popolo della Gran Bretagna

Nel Regno Unito il Papa incontrerà vittime di preti pedofili? (WSJ)

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Istruzioni per i lettori dei giornali (Da incorniciare ed appendere sul pc e nel tinello!)

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Proposta di preghiera in occasione della visita del Papa nel Regno Unito

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Al segretario del Papa, Mons. Georg Gänswein, il Premio Capri-San Michele 2010 per "Benedetto XVI Urbi et Orbi"

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Viaggio in GB. Top of the Pope. L'arrivo di Benedetto scatena attese da pop star (William Ward)

I libri di e su Papa Benedetto XVI: novità in libreria

La visita del Papa a Carpineto Romano nell'analisi di Giovanna Speranza (Ciociaria Oggi)

Da "Attacco a Ratzinger" di Tornielli e Rodari: ampi stralci del capitolo "Da Varsavia a Linz: due nomine pericolose" (Libero)

Tarquinio durissimo: Rispetto per i giovani. E per ciò che il Papa dice. Ai giornalisti: comprensione del testo, colleghi!
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Su segnalazione di don Walter leggiamo:

La ricerca «scomoda» di Ratzinger

Filippo Di Giacomo

Una strana sindrome circola nel mondo cattolico di questa fine estate. Sembra che, anche i meglio intenzionati, ogni qualvolta appare all’orizzonte uno dei grandi temi (se volete, uno dei grandi problemi) proposti dal magistero di Benedetto XVI, più che sentire ciò che realmente il Papa dice preferiscano dedicarsi ai personali Amarcord, al ricordo dei bei tempi dove i gesti di Giovanni Paolo II imperavano sovrani sull’orbe catodico e dintorni.
E ripensare ai corposi ritorni sui relativi interessi per così dire mondani.
Anche nel discorso che Benedetto XVI ha tenuto domenica scorsa a Carpineto Romano, il paese natale di Leone XIII il papa della Rerum novarum, nessuno ha notato quanto Benedetto XVI abbia riproposto, con una chiarezza di esposizione che le rende ancora più forti, le parole chiavi di quella “nuova evangelizzazione” che il suo predecessore aveva indicato come orizzonte alla Chiesa del nuovo millennio.
Benché continuamente giudicato per ciò che di diverso dal suo predecessore faccia oppure ometta di fare, Benedetto XVI è praticamente solo nel riportare all’attenzione dei cattolici i contenuti veri dei documenti wojtylani più possenti, come quella Centesimus annus che anche i laudatori del pontefice polacco (coloro che sostavano sempre davanti alla balaustra, magari con la seconda o terza moglie, ogni volta che appariva in pubblico) si sono lasciati scivolare addosso per quel diffuso malcostume culturale che fa mettere nel limbo gli insegnamenti del magistero pontificio. Come ha notato ieri sul nostro giornale Alfredo D’Attorre è sufficiente leggere i titoli dei capitoli del documento preparatorio della prossima settimana sociale dei cattolici italiani (intraprendere, educare, includere le nuove presenze, slegare la mobilità sociale, completare la transizione istituzionale) per trovare un’ottima traduzione pratica, per la nostra realtà italiana, delle parole-cardine del pensiero sociale cattolico così come (chiosiamo noi) un credente può leggerle sulla Centesimus annus. E che sono state arricchite (ri-chiosiamo noi) nella Deus caritas est di Benedetto XVI dall’insegnamento tutto ratzingeriano che fa scrivere a D’Attorre che «attraverso il richiamo alla concretezza dei problemi si possa combattere la confusione tra relativismo e pluralismo, è un’indicazione preziosa per una forza politica come il PD, chiamata a interpretare con nuovi strumenti culturali una società più differenziata e frammentata per riaffermare la possibilità di una sintesi politica razionale e democratica».
Quando si chiamava ancora Joseph Ratzinger, l’allora Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede scriveva: «per quanto riguarda la Chiesa è perciò molto importante che essa non venga intesa come un organismo che si auto amministra, che fa certe offerte di servizi, ma piuttosto come qualcosa che vive del “non fatto da sé”, in modo fedele e dinamico, e che perciò offre a tutto l’insieme dell’umanità ciò che non si può affatto tenere per decisione propria». Tradotta dal linguaggio della teologia, la massima ratzingeriana significa che la Chiesa sa benissimo che non deve dare ordini al mondo, ma nel disorientamento culturale generale può e deve formulare risposte pronte. E se queste sembrano dure e difficili persino ai credenti?
Forse, certe voglie ricorrenti, tutte clericali di agire nel sociale (magari facendo ottimi affari all’ombra della sala stampa e delle congregazioni romane) ed in politica, come fanno le lobby, cioè delegando ad un paio di caporali di giornata il piacere di far pressione sugli uomini del parlamento e delle istituzioni, sono troppo radicate a Roma per essere esorcizzate dalle parole di un solo Papa.
Però, dopo duemila anni, i cattolici dovrebbero sapere com’è facile che nelle strutture ecclesiali nasca e si nasconda la tentazione dell'impazienza, il voler cercare sempre e solo il grande successo, i grandi numeri, il grande potere.
Persino durante il Grande Giubileo mentre tanti ecclesiastici romani gareggiavano (davanti ai media) in dichiarazioni d’entusiasmo, Ratzinger è stato l’unico a dire e a scrivere che «i movimenti di massa sono sempre effimeri».
E a coloro che sono tentati di pensare a Giovanni Paolo II solo per rimpiangere i tempi in cui la Chiesa (quale?) era al centro delle luci della ribalta, farebbero bene a riflettere sull’utilità della ricetta ratzingeriana che li vorrebbe intenti a cercare il bene, anche se scomodo, senza puntare sul giudizio dei molti, senza ridurre il cristianesimo alla moralità, offrendo agli uomini di oggi una nuova e rinnovata amicizia. Perché, per presentare bene il messaggio cristiano, la Chiesa non deve parlare sempre e di ogni genere di cose. E’ sufficiente che parli di Dio e dell'uomo.

© Copyright L'Unità, 8 settembre 2010 consultabile online anche qui.

4 commenti:

laura ha detto...

Ma davvero quest'articolo è stato pubblicato sull'Unità? a me sembra molto obiettivo

Anonimo ha detto...

anche l'asina di Balaam ragliò con voce di uomo e disse parole di Dio.
Bassiano

SERAPHICUS ha detto...

Da sottolineare:

"A coloro che sono tentati di pensare a Giovanni Paolo II solo per rimpiangere i tempi in cui la Chiesa (quale?) era al centro delle luci della ribalta, farebbero bene a riflettere sull’utilità della ricetta ratzingeriana che li vorrebbe intenti a cercare il bene, anche se scomodo, senza puntare sul giudizio dei molti, senza ridurre il cristianesimo alla moralità, offrendo agli uomini di oggi una nuova e rinnovata amicizia. Perché, per presentare bene il messaggio cristiano, la Chiesa non deve parlare sempre e di ogni genere di cose. E’ sufficiente che parli di Dio e dell'uomo."

Fabiola ha detto...

"Quando si chiamava ancora Joseph Ratzinger, l’allora Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede scriveva: «per quanto riguarda la Chiesa è perciò molto importante che essa non venga intesa come un organismo che si auto amministra, che fa certe offerte di servizi, ma piuttosto come qualcosa che vive del “non fatto da sé”, in modo fedele e dinamico, e che perciò offre a tutto l’insieme dell’umanità ciò che non si può affatto tenere per decisione propria». Tradotta dal linguaggio della teologia, la massima ratzingeriana significa che la Chiesa sa benissimo che non deve dare ordini al mondo, ma nel disorientamento culturale generale può e deve formulare risposte pronte. E se queste sembrano dure e difficili persino ai credenti?"
Mi spiace, ma questa pretesa "traduzione" di Di Giacomo, dal linguaggio teologico al "suo", come minimo, riduce se non falsifica le parole del card.Ratzinger, per riportarle a ciò che, soprattutto gli interessa: mentre la Chiesa parla di Dio e dell'uomo (perfetto ma che significa?) sul resto è bene che taccia (non deve parlare sempre e di ogni genere di cose.)
Qui ci pensaranno le mediazioni del PD.