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M.O./ Sinodo in Vaticano tra calo cristiani e guerre geopolitiche
Città del Vaticano, 9 ott. (Apcom)
Le persecuzioni dei cristiani in Iraq e in altri paesi del Medio Oriente. Il rischio che le terre dove nacque Gesù Cristo assistano all'esodo dei cristiani, ma anche l'afflusso nella regione - e la difficile integrazione - di lavoratori cristiani dalle Filippine, dall'India o da altri paesi dell'estremo Oriente.
Ancora, i rapporti con popolazioni a maggioranza musulmana, gli scontri con gruppi islamisti radicali, le frizioni con il mondo israeliano, la difficile convivenza con altre 'famiglie' cristiane. E poi l'Iran di Ahmadinejad e i negoziati di pace israelo-palestinesi. E' questo il panorama geopolitico in cui si iscrive il sinodo per il Medio Oriente che verrà inaugurato domani dal Papa con una messa mattutina a San Pietro e si concluderà il prossimo 24 ottobre.
"La finalità dell'assemblea speciale per il Medio Oriente è prevalentemente pastorale", ha subito precisato il segretario generale del sinodo, mons. Nikola Eterovic. "Pur non potendo trascurare il quadro sociale e politico della regione, l'Assise sinodale ha soprattutto finalità ecclesiale".
Il quadro, certo, è preoccupante, e la Santa Sede si muove con estrema cautela in una regione che comprende Arabia Saudita, Bahrein, Cipro, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Iran, Iraq, Israele, Kuwait, Libano, Oman, Qatar, Siria, Turchia , Territori Palestinesi e Yemen. Su una popolazione di oltre 356 milioni, i cattolici - secondo i dati vaticani - sono l'1,6% (5 milioni 707 mila) e i cristiani circa il 5,62% (20 milioni). Una minoranza che rischia di fare le spese di conflitti etnici, scontri religiosi e vere e proprie guerre che attraversano la regione. Che è stata oggetto, per motivi vari, di persecuzioni e omicidi (monsignor Padovese e don Andrea Santoro, in Turchia, suor Lionella Sgarbati in Somalia, il vescovo Faraj Rahho in Iraq).
O, addirittura, che rischia di venire ghettizzata, come è stato prospettato per i cristiani iracheni. Non a caso era stato un vescovo di quel paese, mons. Louis Sako, il primo a chiedere, a inizio 2009, un sinodo per il Medio Oriente che permettesse alle Chiese locali di trovare una strategia comune e alle chiese occidentali di interessarsi maggioramente al problema dei 'fratelli' orientali. "Se non c'è una visione chiara - disse allora il vescovo caldeo di Kirkuk - i cristiani non rimarranno in Medio Oriente e lasceranno questa terra un tempo benedetta e ora maledetta".
Gli fa eco, oggi, il segretario del sinodo Eterovic: "E' di interesse di tutta la Chiesa che la Terra di Gesù non diventi un museo pieno di monumenti e pietre preziose - ha detto il presule in una conferenza stampa in Vaticano - bensì che continui ad essere una Chiesa viva, costruita con pietre vive, cristiani che continuano l'ininterrotta tradizione della presenza dei discepoli di Gesù Cristo in Terra Santa da quasi 2.000 anni". Su quale metodo si debba perseguire a questo fine, non c'è l'unanimità. Monsignor Paul Hinder, vicario apostolico di Arabia, ha spiegato ad esempio che, a volte, se si vuole risolvere un problema in uno scacchiere così complesso, "è meglio non parlarne".
Se molti cristiani se ne vanno, e per motivi principalmente economici e politici sui quali il sinodo non avrà grandi mezzi di intervento, altri, sempre per motivi economici, ne arrivano. In Arabia saudita e nella regione del Golfo, ad esempio, sono molti gli operai di religione cattolica e cristiana in arrivo dalle Filippine, dall'estremo Oriente e dall'Africa. Certo - e il problema verrà sollevato al sinodo - nei confronti di questi 'nuovi arrivati' di umili condizioni non mancano manifestazioni di razzismo da parte della popolazione locale, musulmana o cristiana. Ma il fatto viene giudicato "nuovo" e "significativo" da Eterovic. "In questi paesi le chiese sono strapiene di fedeli", spiega il vescovo, che sottolinea come, al netto, il numero complessivo di cristiani in Medio Oriente non sia in calo.
Sui numeri - e sulla politica che vi si nasconde dietro - è già polemica anche su un altro fronte.
L'ambasciata di Israele presso la Santa Sede ieri ha diffuso un comunicato nel quale, "alla luce delle ripetute insinuazioni che sottintendono che il numero dei cristiani presenti nello stato d'Israele sia in diminuzione", si precisa che "il tasso d'incremento della popolazione tra gli israeliani cristiani è più o meno pari a quello degli israeliani ebrei" e che il calo registrato nel 1995 "può essere ascritto al trasferimento di alcune aree al controllo dell'Amministrazione Palestinese". Dietro la presa di posizione la comunità ebraica cova la preoccupazione che, per non urtare il mondo musulmano, nel sinodo emergano posizioni anti-israeliane. Già a marzo scorso il Comitato ebraico internazionale per le consultazioni interreligiose (Ijcic), ricevuto in Vaticano, aveva fatto presente le proprie critiche ai 'Lineamenta', il documento preparatorio dell'assemblea, annoverando, oltre al tema del numero di cristiani in Israele, quello dei diritti e della democrazia in Medio Oriente e mettendo in luce che, oltre al conflitto israelo-palestinese, vi sono anche altri conflitti, a partire da quelli innescati dall'Iran. Anche nel caso di questo paese, la politica della Santa Sede è articolata. Solo mercoledì scorso il Papa ha ricevuto una lettera da Ahmadinejad che lo ringraziava per la condanna dei roghi del Corano proposti nelle scorse settimane da un pastore americano. I canali diplomatici, insomma, sono più che aperti. Il Vaticano non ha mancato di criticare, certo, la condanna a morte di Sakineh, ma il portavoce Federico Lombardi ha di recente allargato il discorso ed espresso la sua contrarietà nei confronti di ogni pena capitale: "Non la voglio né in Cina, né in Iran, né negli Stati Uniti, né in India, né in Indonesia, né in Arabia Saudita, né in nessuna parte del mondo".
Segno dei delicati equilibri che si intrcceranno in Vaticano, i tre ospiti delle altre religioni: il rabbino David Rosen, direttore del dipartimento per gli Affari interreligiosi dell'American Jewish Committee e Heilbrunn Institute for International Interreligious Understanding, Israel; Muhammad al-Sammak, consigliere politico del Gran Mufti del Libano, per l'islam sunnita, e l'ayatollah Seyed Mostafa Mohaghegh Ahmadabadi, professore presso la facoltà di diritto alla Shahid Beheshti University di Teheran e Membro dell'Accademia Iraniana delle Scienze, per l'islam sciita.
Al sinodo sul Medio Oriente parteciperanno 185 padri sinodali da tutta la regione, compresi svariati patriarchi delle chiese orientali. Ci saranno 14 capi dicastero del Vaticano, 9 patriarchi, 19 cardinali, 65 arcivescovi e 53 vescovi. Il relatore generale è sua beatitudine Antonios Naguib, patriarca di Alessandria dei copti. Nonostante tanti problemi sul tavolo, sarà il sinodo più breve della storia, solo 14 giorni. "Considerata la situazione assai complessa nei Paesi del Medio Oriente - ha spiegato Eterovic - non si è voluto trattenere per molto tempo i Pastori lontano dal loro gregge".
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