giovedì 21 ottobre 2010

La bilancia dei cardinali (Filippo Di Giacomo)

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La bilancia dei cardinali

di Don Filippo Di Giacomo

Il Pontefice Romano in teoria è, per sua natura, un pastore condiviso e non un governante più o meno imposto. Eppure, proprio come “regnante” il Vescovo di Roma è inserito in un puzzle istituzionale costituitosi durante i secoli per escludere qualunque regime e qualunque colpo di scena, secondo la logica semplificante e tutta ecclesiastica, del “né troppo, né poco”, valida in ogni circostanza, in tempi facili e in epoche difficili, in salute e in malattia. E ad ogni concistoro, questa regola non scritta, sembra trovare un’ulteriore conferma. Quando si scrive “cardinale”, si legge “conclave”. Il motivo, fu spiegato a suo tempo da un illustre vescovo-canonista prematuramente scomparso, che con l’allora già cardinale-prefetto della dottrina della fede Ratzinger aveva partecipato alla fondazione della rivista Communio. Nell’editoriale del primo numero di quella che viene ancora considerata la voce teologica opposta a quella espressa dalla rivista Concilium (che ha avuto anch’essa tra i suoi fondatori Joseph Ratzinger allora professore a Tubinga), Eugenio Corecco definiva la collegialità «da sette secoli, la malattia cronica della Chiesa Cattolica».
Tolto qualche orpello, e qualche titolo ridondante, la sostanza del collegio cardinalizio è ormai ridotta all’unico ruolo di mantenere sempre efficiente un collegio elettivo di 120 membri in grado di assicurare alla Chiesa, qualora se ne presentasse la necessità, l’elezione di un nuovo Pontefice. Il Papa lo fa lo Spirito Santo, l’uomo viene scelto da altri uomini. Non è certamente per puro caso se, per far emergere tra i cardinali l’uomo che diventerà Papa, la Chiesa moderna utilizza un sistema elettorale atto alla formazione di alleanze e di rapporti di forza nel conclave, proprio come avveniva nei congressi dei grandi partiti del nostro passato recente. E questo, secondo correnti che si creano e si disfano non per opzioni teoriche, ma per senso di appartenenza. I cardinali annunciati ieri (10 di curia, 10 residenziali, 4 ultraottantenni) non alterano per nulla tale meccanismo e lasciano ancora irrisolto il nodo principale di un cattolicesimo che ormai, e in via definitiva, è destinato ad essere sempre meno occidentale.
Nel terzo millennio del suo pellegrinare nella storia, se e quando dovesse riunirsi un conclave, i cardinali elettori della Chiesa di Roma dovrebbero rappresentare, in via teorica, circa un miliardo e duecento milioni di cattolici sparsi in 180 nazioni. L’attuale collegio dei cardinali rappresenta invece poco meno di 70 Paesi, ed escludendo gli ottantenni, il numero delle nazionalità rappresentate scende al disotto dei 60. Con i criteri esistenti, i canonisti pensano che un conclave di 500 cardinali potrebbe, forse, produrre una rappresentanza appena coerente con le estensioni geografiche e culturali della Chiesa Cattolica, calcolando i porporati impegnati negli incarichi di Curia e le possibili defezioni dovute a malattie e a problemi dell’età avanzata. Un simile numero però, solleverebbe sullo scenario delle elezioni pontificie qualche perplessità, già che l’istituzionalizzazione in un collegio episcopale di 4.500 vescovi di una quota così rilevante di “supervescovi” evidenzierebbe un’alterazione della struttura dogmaticamente egualitaria dell’episcopato cattolico.
Eppure, fino ad ora, la crescita esponenziale del collegio cardinalizio è apparsa l’unico stratagemma perchè la Chiesa di Roma equilibrasse due esigenze connaturali al suo statuto cattolico: la romanità e l’universalità. Ne consegue, sempre in via teorica, che se il collegio dei cardinali fosse sostituito da altri meccanismi elettorali e da altre concezioni della rappresentatività, le istituzioni cristiane non ne risentirebbero affatto. Dal XVI secolo, da quando cioè esiste il conclave che ancora conosciamo, i Papi hanno nominato circa 3000 porporati. Tra questi, quasi 600 sono vissuti nel XX secolo. Sono decenni, ormai, che il vescovo di Roma non inserisce più alcun membro del clero romano nei “cardini” della Chiesa dell’Urbe. Meno tradizione quindi, e più universalità: nel “club più esclusivo del mondo” sono ormai legittimati i rappresentanti di Chiese attive in Paesi mantenuti ai margini dalla comunità internazionale. E sono stabilmente accreditati, con lo stesso rango dei Paesi storicamente cattolici. In nessun organismo internazionale esiste una parità così assoluta fra Paesi ricchi e Paesi poveri. Ma la Chiesa non vive di soli conclavi. Se, oltre ad uno o più rappresentanti tra i cardinali, i pastori dei cattolici del mondo, trovassero a Roma anche accoglienza e rispetto per tutte le voci che esprimono (come gli ultimi due sinodi, quello per l’Africa e quello per il Medio Oriente dimostrano) forse la “malattia cronica” della collegialità, potrebbe iniziare a guarire.

© Copyright L'Unità, 21 ottobre 2010 consultabile online anche qui.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Troppa collegialità, o come viene chiamata oggi "comunione" che rappresenta, forte ingerenza delle Conferenze Episcopali sulle decisioni del Papa, porta la rovina nella Chiesa. Siamo molti , ormai nella base a pensarla così, sopratutto un laicato con titolo di studio medio-alto. Mi domandate il perchè? Perchè siamo più convinti, per usare una parola di Mons. g. D'Ercole, che i laici debbano guardare solo a Pietro. Guardare il proprio vescovo, come si sta verificando con il papato di Ratzinger, è portare il laicato fuori dalla "vera comunione" con Il vescovo di Roma. Come dire: cum Petro, ma sempre meno sub Oetro.

A.R. ha detto...

Quanti luoghi comuni, quanta retorica in questo articolo di Filippo di Giacomo. Continua a divulgare e a cavalcare la falsa idea che il collegio dei cardinali sia una specie di senato rappresentativo della chiesa mondiale. Ma lo vogliamo capire o no che non si tratta di questo e la composizione nazionale è IRRILEVANTE?! Il collegio dei cardinali è il consiglio DEL PAPA il quale si sceglie i SUOI consiglieri e collaboratori LIBERAMENTE, come vuole (anche se è rispettoso di certe tradizioni, ma - come si vede - può innovarle, dando la berretta rossa a chi vuole lui!).
Certo i Cardinali hanno anche (non solo) lo scopo di assicurare in ogni momento la possibile successione al Papa. Ma questo è uno (certamente il più importante) dei loro compiti, ma paradossalmente non per il papa attuale! Per lui sono fratelli, consiglieri, assistenti, collaboratori nell'espletamento della guida della Chiesa.
Ma non sono i rappresentanti dell'episcopato mondiale davanti al Papa!!!! Sono - come si diceva una volta - l'estensione del "corpo del papa", e per questo devono provvedere a scegliere, in caso di necessità, il nuovo "capo" visibile della Chiesa (il vero capo, naturalmente, rimane Cristo).

Anonimo ha detto...

Perfettamente d'accordo con fr. A.R. Monsignor Filippo Di Giacomo ho smesso di leggerlo da un pezzo: una pesantezza mortale, gira e rigira sempre intorno agli stessi luoghi comuni (o comunisti?). Girolamo S.