domenica 7 novembre 2010

La Sagrada Familia monumento di fede (Rondoni)

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Il Papa all’"Obra Benefico-Social Nen Déu": "Ora voglio sottolineare come, con lo sforzo di questa e altre analoghe istituzioni ecclesiali – a cui si aggiungerà la nuova Residenza che avete desiderato portasse il nome del Papa – si mostra chiaramente che, per il cristiano, ogni uomo è un vero santuario di Dio, che deve essere trattato con sommo rispetto e affetto, soprattutto quando si trova nel bisogno" (Discorso)

Benedetto XVI spera in un nuovo incontro tra fede e laicità. Obiettivo non solo del viaggio in Spagna, ma del suo pontificato

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Benedetto XVI ha reso omaggio durante la messa di consacrazione al "geniale" Antonio Gaudì (Galeazzi)

Il Papa: "Oggi ho avuto la grandissima gioia di dedicare questa chiesa a Colui che, Figlio dell’Altissimo, svuotò se stesso facendosi uomo e, protetto da Giuseppe e Maria, nel silenzio della casa di Nazaret, senza parole ci ha insegnato la dignità e il valore primordiale del matrimonio e della famiglia, speranza dell’umanità, nella quale la vita riceve accoglienza, dal suo concepimento fino al suo termine naturale" (Angelus)

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Benedetto XVI ha consacrato la Sagrada Familia, ora è Basilica (Apcom)

La Sagrada Familia e lo scultore giapponese Etsuro Sotoo. Il richiamo della pietra (Osservatore Romano)

Il Papa consacra la Sagrada Familia: "Il Signore Gesù è la pietra che sostiene il peso del mondo, che mantiene la coesione della Chiesa e che raccoglie in ultima unità tutte le conquiste dell’umanità. In Lui abbiamo la Parola e la Presenza di Dio, e da Lui la Chiesa riceve la propria vita, la propria dottrina e la propria missione. La Chiesa non ha consistenza da se stessa; è chiamata ad essere segno e strumento di Cristo, in pura docilità alla sua autorità e in totale servizio al suo mandato. L’unico Cristo fonda l’unica Chiesa; Egli è la roccia sulla quale si fonda la nostra fede" (Omelia)

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DISCORSI ED OMELIE DEL SANTO PADRE A SANTIAGO DE COMPOSTELA E BARCELLONA

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La maestosa chiesa è il frutto della pietà e delle offerte di tutti i catalani, dei ricchi come dei più poveri

La Sagrada Familia monumento di fede

Oggi il Papa la consacra. Si «completa» la basilica, fatta anche del sangue dei costruttori

DA BARCELLONA DAVIDE RONDONI

Barcellona ha una luce di Napoli, di Genova, di Pisa. Affollata, sorridente. Ma non è un posto tranquillo. Ha grandi ombre, e rapide serpi di nervosismo filano sulle tempie e sugli occhi. La storia della Sagrada Familia è un inno dove il dolore e la bellezza salgono insieme. La croce è segno totale per Gaudí, fonda il cosmo nella unità di dolore e resurrezione. Barcellona è piena di gente che viene qui per la fiera nautica, per il 'mito' della città sul mare. Per visitare il museo e i negozi del Barça al Camp Nou. Anche mio figlio Bartolomeo di quindici anni ci si infila dentro, e io con lui. Dicono che il museo di Messi e co. è uno dei monumenti più visitati di Spagna. Carlotta, invece, non vede l’ora di percorrere le ramblas. Le immagina come viali pieni di maghi, artisti, giocolieri. Barcellona ha pensato bene di fare sciopero in alcune linee importanti di metropolitana. Sarà più chiassosa e intasata che mai. C’è il Papa e c’è la festa per la Sagrada Familia. Ci sono state polemiche, magliette idiote, offensive, lo stanco corteo di polemiche che non sa più come fare a rendere odioso una persona, il Papa, che non lo è. Qui, in mezzo al traffico di Barcellona, io a occhi chiusi penso che se non ci fosse stata Isabel non ci sarebbe stata la Sagrada Familia. Isabel è il nome di una ancora non precisata benefattrice che mise in grado Gaudí di fare quel che aveva in cuore.
Senza di lei e la iniziale, decisiva sua donazione pudica e maestosa, il giovane architetto di 31 anni non avrebbe potuto deviare dal corso tracciato dal primo incaricato di costruire sul terreno dove sorgeva un ippodromo questa cattedrale della pietà e della espiazione. Grazie alla fede e al gesto di Isabel, Gaudí deviò nei cieli della sua immaginazione. Poté farlo perché i catalani riconoscevano in questa opera una opera comune. Davano soldi le ricche dame come Isabel, le vedove di possidenti latinoamericani, o poveracci che venivano a muovere pietre e a fare da modelli gratis.
Il movimento di cui Gaudí è stato fiore e interprete ha radici profonde. Un vescovo come De Urquinaoma e altri esponenti di un cattolicesimo attento ai bisogni dei nuovi poveri vollero questa opera corale, che mentre cresceva dava da lavorare, faceva sorgere accanto a sé scuole per i figli degli operai, costituiva un centro propulsore di devozione e una casa di carità e di bellezza.
Gaudí a 31 anni era già nel giro degli architetti che contano. Da allora non cessa di mettere a disagio – tra ammirazione e polemiche – gli architetti di ogni parte del mondo. Barcellona aveva anche allora questa luce da Napoli, da Genova, da Pisa. E aveva come ora grandi ombre.
Un libro appena edito da Jaca Book – curato, tra gli altri, da Maria Antonietta Crippa – ci racconta e ci fa vedere la vicenda della Sagrada Familia che è molto più di un romanzo. Ci fu l’impeto iniziale, la polemica rinuncia del primo architetto (avevano in mente una cosa tipo il Sacro Cuore di Montmartre, a Parigi, sorta pochi anni prima con lo stesso metodo di sottoscrizione popolare e per espiazione in un’epoca dura per la fede). E poi ci fu il genio rampicante, vegetale e arioso di Gaudí. Uno che mai separò la fede dall’ispirazione. Che finì la vita dormendo nel ventre della sua creatura che stava crescendo. E morì per le ferite che gli procurò una carrozza di tram investendolo una sera, mentre andava a Messa. Lo cercavano, lo avevano ricoverato in una corsia affollata di poveracci, andava in giro con una vestaglia e in ciabatte. Il mondo era la sua casa. Era il ’26. Aveva chiesto soldi a tutti, c’era crisi. I suoi amici si diedero un gran daffare. Dopo furono incendi, persecuzioni.

Durante la guerra civile tra repubblicani e franchisti – il regime poi provò a usare la Sagrada Familia, ma di fatto non ne favoriva la edificazione – negli anni ’37-’39 ci furono dodici uccisi tra le file dei continuatori e aiutanti di Gaudí. Insieme a Isabel e a Antoni, oggi fanno festa anche don Gil, Consol, Clodomir, don Anton, Ramon suo fratello, Ramon B., Frances Xavier, Francese de Paula, don August J, Francese e Mercé Dieguez e altri di cui nessuno sa il nome, ma il cui destino, il cui sangue e la cui possibile santità è legata a questa supplica di pietra e di luce che oggi grida nel lembo estremo d’Europa.
Anche il successore di Gaudí nella guida della fabbrica, Dominich Sugranyes fu di fatto vittima della violenza. Di fronte all’incendio che i gruppi di comunisti e di anarchici avevano compiuto nella Sagrada Familia mormorò: «Ormai tutto è perduto », e morì di crepacuore qualche settimana dopo. Ma nella luce di Barcellona, invece, la chiesa ha continuato a salire. I catalani hanno ridato soldi. Il popolo e i signori. I fedeli e quelli con una fede così così. A dispetto di intellettuali alla moda e di polemiche. Un esempio di arte totale. Quella che negli stessi anni di Gaudí un altro testimone cristiano, Pavel Florenskij, di cui arrivano nuovi scritti ora in Italia per Mondadori grazie alla bella cura di Natalino Valentini, metteva al centro della sua riflessione. Anche lui vedeva nel Monastero della Trinità e di San Sergio quel che è diventata la Sagrada Familia: «Una sorta di stazione sperimentale, di laboratorio per lo studio dei problemi più importanti dell’estetica contemporanea».
Barcellona ha una luce da Napoli, da Genova. Da fine del mondo. Ha molte ombre. E ora la sua Sagrada Familia – monumento e simbolo – viene abitato dalla Messa. Dall’evento del Dio che ci fa carne. Benedetto XVI è venuto a deporre al centro della chiesa e della sua storia di luci e di ombre il corpo di Dio che si fa cibo. Lo scandalo e la tenerezza cristiana. Fino a ieri e per sempre l’opera di Gaudì, di Isabel e dei loro amici sarà uno spettacolare monumento di bellezza tra le luci e le ombre di Barcellona e del mondo. Ma oggi la Sagrada Familia è anche una cesta, una tavola, quasi una gavetta, panierino, un fazzoletto annodato, un sacchetto di carta. Oggi qui non solo si ammira con sgomento e umiltà lo slancio dell’uomo all’infinito e la fioritura dei simboli cristiani, ma ci si nutre. Ora è un posto dove l’infinito diviene corpo, e Dio si fa pasto per ogni nostra sperduta e profondissima fame.

© Copyright Avvenire, 7 novembre 2010

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