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ISLAM E OCCIDENTE
Mai l’uno senza l’altro
Intervista all’islamologo gesuita padre Samir Khalil Samir
Il fascino ed il valore di una presenza: si potrebbe definire così la minoranza cristiana in Medio Oriente se non fosse che violenze, abusi e persecuzioni ne mettessero in discussione la sua stessa esistenza. Il numero dei cristiani si assottiglia sempre di più, la loro sopravvivenza è a rischio così come è a rischio la qualità della vita di questa area del mondo, strategica per i destini di pace e di guerra che si intrecciano in maniera indissolubile. I cristiani, come testimoniano le ultime vicende irachene, vivono una situazione sofferta ma anche ricca di potenzialità. I cristiani mediorientali hanno, all’interno delle loro comunità, figure di spicco che producono riflessione e contenuti senza i quali lo stesso mondo musulmano è destinato ad un’involuzione. La presenza cristiana significa alterità e la sua scomparsa non decreta solo la fine di chi scompare ma anche la crisi di chi resta. Un discorso che riguarda anche l’Occidente. Di questi temi ne abbiamo parlato con il gesuita, padre Samir Khalil Samir, islamologo tra i più ascoltati da Benedetto XVI.
I cristiani d’Oriente vivono una fase sempre più critica, ed il loro numero è in costante diminuzione. Cosa potrebbe significare per il Medio Oriente la loro scomparsa?
“Questo aumenta la tendenza a lasciare il medio Oriente. Per l’Iraq le ultime, gravissime, violenze rappresentano un colpo durissimo. La strage nella chiesa siro-cattolica spingerà molti cristiani a emigrare in Occidente. Vista la loro condizione di fragilità ogni colpo è portato proprio con l’obiettivo di farli fuggire dal Paese. I vescovi e il recente Sinodo per il Medio Oriente, insistono nel dire che si deve provare a restare anche per la missione che i cristiani hanno nel mondo arabo e islamico. La fuga dei cristiani dal Medio Oriente, e quindi la loro scomparsa da questa regione, sarebbe una doppia perdita: prima per il Cristianesimo – senza il Cristianesimo orientale la Chiesa universale perderebbe una tradizione essenziale alla sua vita, come ricordava Giovanni Paolo II quando parlava dei due polmoni della Chiesa, quello occidentale e quello orientale, impedendole di respirare a pieno –; ma anche, anzi soprattutto, per il mondo musulmano”.
Per quale motivo sarebbe una perdita anche per il mondo islamico?
“I cristiani rappresentano un elemento di diversità ed il mondo islamico ne ha bisogno, soprattutto in questo momento in cui tende a ripiegarsi su se stesso e ad opporsi a tutto ciò che è diverso, l’Occidente in primis e a chiunque rappresenti un’alterità, fosse anche un musulmano dell’altro gruppo. Lo vediamo in Paesi come Iraq e Pakistan in cui sunniti e sciiti lottano tra loro. Inoltre la fuga dei cristiani priverebbe il Medio Oriente di un contributo importante a due livelli: in primo luogo, sul piano della competenza e della capacità. I cristiani, infatti, sono persone che hanno un livello culturale piuttosto elevato, superiore alla media. La loro partenza rischia d’indebolire la qualità della società. Ma c’è di più: essi rappresentano principi diversi, insistono sui diritti umani, sull’uguaglianza fra tutti intendendo per tutti, credenti e non credenti. I cristiani hanno un approccio più aperto e rivolto alla dignità della persona umana ed insistono sul concetto di democrazia e, aspetto molto importante, sulla distinzione tra politica e religione. I cristiani hanno il seme della laicità, nel senso della libertà di coscienza, che si trova nel Vangelo: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio”. Una distinzione che non è stata sempre fatta nella storia della Chiesa, anche se c’è stata una presa di coscienza progressiva, a partire dal Vangelo, che ha portato popoli di tradizione cristiana, in Europa in particolare, a capire, che davanti alla politica tutti devono essere uguali anche se non cristiani. La fuga dei cristiani rappresenterebbe, anche per questo motivo, una grave perdita per i musulmani, come ha riconosciuto durante il Sinodo, Muhammad Al-Sammak, consigliere politico del Gran Mufti del Libano per l'islam sunnita, che nella sua relazione ha insistito sia sul contributo culturale dei cristiani nella storia moderna e contemporanea, sia sull’aspetto dei diritti umani e della libertà”.
Strangolando la presenza cristiana quale messaggio invia l’Oriente all’Occidente?
“Bisogna dire che si tratta di atteggiamenti assunti da gruppi deboli e in opposizione tra loro. Il primo nemico di questi gruppi terroristici sono gli stessi musulmani – e lo si vede negli attentati che ordiscono, contro la loro gente – essi attaccano chi è totalmente indifeso. In Iraq sciiti, sunniti e curdi hanno gruppi armati, i cristiani invece non hanno armi avendo scelto la non violenza. Tocca alle istituzioni difendere la comunità cristiana, come richiesto più volte dai suoi stessi esponenti. Attaccare l’Occidente attraverso i cristiani, che reputano legati ad esso a causa della fede, è un atteggiamento vile in quanto i cristiani iracheni non hanno nessun legame particolare con l’Occidente, ancor meno con la politica occidentale. Essi, infatti, sono più orientali (e anche arabi) dei musulmani, in quanto abitano questa terra prima dei musulmani. I cristiani orientali non sono legati all’Occidente, né politicamente né militarmente”.
E’ sufficiente, a suo parere, per allentare la morsa sui cristiani, chiarire al mondo islamico che né l’Occidente rappresenta il Cristianesimo, né i cristiani d’Oriente rappresentano un’estensione dell’Occidente?
“I musulmani compiono un doppio errore di principio: considerano il mondo arabo musulmano e quello occidentale cristiano. L’Occidente, è vero, nasce da una tradizione cristiana, ma oggigiorno non accade che l’Occidente, da tempo secolarizzato, si rifaccia al Vangelo per emanare delle leggi. Il cristiano d’Oriente, a causa della propria fede, può comprendere meglio l’Occidente che ha una radice cristiana. Il cristiano serve da mediatore, tra il mondo islamico (al quale appartiene per storia, lingua e cultura) e il mondo occidentale (al quale aderisce per via del Vangelo e della fede cristiana). Aggredire chi fa da mediatore è un suicidio vero e proprio, ed è ciò che stanno facendo”.
Una cultura del rifiuto che i musulmani che giungono in Occidente, così come quelli che già vi vivono, potrebbero portare con sé con esiti negativi per lo stesso Occidente dove si è diffusa una certa islamofobia…
“Sono due fenomeni correlati: quando i musulmani arrivavano in Occidente e cercavano di integrarsi nella cultura occidentale e non avevano esigenze o rivendicazioni proprie non si verificavano casi di islamofobia, ma solo casi di razzismo non riconducibili alla fede musulmana. Oggi invece la situazione è cambiata. Assistiamo ad un’emigrazione islamica massiccia in Europa che porta dei musulmani con una cultura fortemente connotata e integralista”.
Vale a dire?
“Un cristiano d’oriente, che è un arabo esattamente come un musulmano, che giunge in Europa non afferma le sue esigenze relative all’abito, al cibo, alle usanze tradizionali, anzi cerca di integrarsi imparando la lingua, la cultura e le leggi del Paese che lo accoglie. Non così il musulmano che invece ha un progetto politico per natura stessa dell’Islam, cioè una determinata visione della società che vuol realizzare, e ciò crea difficoltà. Si stabiliscono due modelli, quello Occidentale e quello islamico formatosi dal VII secolo in poi. Il cinese, per esempio, non pretende un luogo di culto dallo Stato, ma se lo vuole si adopera, nel rispetto delle norme vigenti, a farlo. La nuova tradizione islamica, che risale ad almeno 40 anni fa, prevede un progetto abbastanza aggressivo di islamizzazione della società, cominciando con i Paesi orientali (penso, ad esempio, all’Indonesia e all’Egitto). Tutto il mondo islamico è cambiato in peggio negli ultimi 40 anni, e non tanto verso gli altri quanto verso loro stessi, proponendo un modello salafita di ritorno al VII secolo, un modello difficilmente adattabile alla modernità alla luce di richieste e pretese, sempre più numerose, come volere moschee (chi ti impedisce di comprare un terreno dove costruirle, nel rispetto delle norme urbanistiche del Paese?), fare le pause dal lavoro per pregare (è un problema della tua fede) o pretendere, nel Ramadan, di uscire prima da lavoro per adempiere ai riti previsti e preparare la cena. Nessun altro credente fa richieste del genere: penso alle ragazze musulmane che non possono praticare sport a scuola insieme ai ragazzi, alle donne islamiche che in ospedale possono essere visitate solo da medici donna. Altre richieste concrete sono il velo, il niqab, il burka che non sono dettami islamici ma solo di alcuni Paesi”.
Tutto ciò ha dato un’immagine dell’Islam come di un gruppo che non vuol integrarsi nella società occidentale…
“L’Islamofobia è la paura di questa forma di Islam salafita, che è una minoranza ma che è molto attiva e fa molto rumore. La soluzione è nota: i musulmani controllino la propria comunità, accettando la cultura ed i principi della società che li ospita. L’Europa dal canto suo deve autodefinirsi, riscoprire la propria identità, aiutando anche quei Paesi da cui provengono migranti musulmani. Potrebbe essere utile, allora, istituire centri culturali nei Paesi di provenienza che preparino coloro che vogliono emigrare insegnando loro la lingua, la cultura e le leggi del Paese ospitante. Occorre da ambo le parti una presa di coscienza del fenomeno migratorio. E questo per me rappresenta un’urgenza per l’Europa”.
Quanto detto al recente Sinodo potrà aiutare le Chiese orientali a fare fronte comune per arrestare l’esodo dei cristiani e riguadagnare quel posto che spetta loro quali abitanti originari di questa terra, allontanando la tentazione all’auto ghettizzazione che pesa sulle comunità locali?
“Il Sinodo ha ribadito che non servono risposte solo per i cristiani. Noi facciamo parte di un popolo. Ogni cosa deve essere fatta con i musulmani. Ogni legge deve essere emanata per tutti i cittadini, senza discriminazione. La laicità, nel senso della libertà di credere o meno, non è qualcosa di antireligioso ed il Sinodo ha insistito su questo punto. È necessario partire da principi comuni. Non vogliamo uno Stato contro la religione e nemmeno uno Stato in cui una religione sia contro un’altra. Non vogliamo dare privilegi a nessuno. Il punto che fa soffrire tutti sono le ingiustizie ed il dispotismo per questo vogliamo uno stato che tenga conto dei bisogni e dei diritti dei più poveri. Le religioni danno priorità agli orfani, alle vedove, ai malati, ai poveri. Servono leggi ad hoc e sacrifici da parte di chi è più ricco. Urge solidarietà”.
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