mercoledì 13 gennaio 2010

Di Segni: «Il Papa in Sinagoga, dialogo che continua» (Muolo)


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«Il Papa in Sinagoga, dialogo che continua»

Di Segni, rabbino capo di Roma: indietro non si torna

DA ROMA MIMMO MUOLO

Una visita che «ha valore in sé». «Come segno di continuità», dice il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, che domenica prossima riceverà Benedetto XVI, quasi 24 anni dopo la storica prima volta di Giovanni Paolo II. A pochi giorni dal nuovo evento Di Segni ci riceve nel suo studio privato e in questa intervista ad Avvenire affronta con la consueta franchezza tutti i punti più importanti dell’agenda comune ebraicocattolica. A cominciare dal cambiamento di clima che nel giro di 12 mesi ha ribaltato una situazione di forte tensione. Perciò l’esponente ebraico afferma convinto: «Indietro non si torna». Grazie al dialogo sono stati realizzati «sostanziali passi avanti».

Rabbino, giusto un anno fa la giornata dell’amicizia tra ebrei e cattolici non fu celebrata. Domenica prossima invece il Papa si recherà nella Sinagoga di Roma. Che cosa ha determinato questo netto miglioramento?

La sospensione della celebrazione della giornata era dovuta alle turbolenze in merito alla preghiera del venerdì santo «pro Judaeis» che toccava un nervo scoperto della sensibilità ebraica. Se, infatti, il dialogo serve alla conversione degli ebrei, noi lo rifiutiamo per principio. Il dialogo serve invece per conoscerci e per rispettarci, cioè per farci più forti nelle nostre fedi, conoscendo meglio l’altro. Se invece ha altri scopi, per noi non ha senso. Su questo erano necessari dei chiarimenti che grazie al dialogo sono arrivati e questo ha reso possibile rasserenare il clima.

E quest’anno la celebrazione assume un aspetto assolutamente eccezionale. Qual è il significato di questa visita?

La visita ha valore di per sé come gesto di continuità, poiché si colloca sulla scia di un grande gesto compiuto da Giovanni Paolo II. Il fatto che il gesto venga ripetuto significa che non resta isolato, che questa linea è tracciata e che Benedetto XVI non ha intenzione di tornare indietro. Perciò si crea un modo di rapportarsi ed una tradizione da seguire.

Papa Ratzinger è già alla sua terza visita in una Sinagoga, è stato al Muro del Pianto e allo Yad Vashem, ha reso omaggio alla Shoah recandosi ad Auschwitz. E tutto questo in meno di cinque anni di pontificato. Chi è oggi per il mondo ebraico Benedetto XVI?

È un Papa che ha una forte sensibilità per il nostro mondo, ma anche un pensiero complesso. E infatti, accanto ad aspetti di grande simpatia per la realtà ebraica ha anche dei momenti di pensiero ben fermo, di posizioni che non incontrano ovviamente il nostro favore. Tuttavia non è certamente un Papa che interrompe il dialogo o che dice: «Bisogna tornare indietro», anzi va avanti con la sua precisa formazione. D’altra parte se fossimo d’accordo su tutto, non ci sarebbe neppure motivo di dialogare.

Quali sono i punti più urgenti di questo dialogo?

In primo luogo c’è una questione di clima sereno. Certo, ogni tanto possono esserci incidenti e inciampi, ma quello che deve essere forte è la volontà di risolverli. L’altro punto fondamentale è che dobbiamo chiederci: che senso ha che i nostri due mondi si confrontino?

E lei che risposta dà a questa domanda?

La nostra amicizia deve servire a dimostrare che si può testimoniare la propria fede in un modo non offensivo, non aggressivo e non violento nei confronti degli altri credenti e degli altri esseri umani. Ed è un messaggio importantissimo nella fase attuale. Vorremmo anzi che il messaggio di questa visita si allarghi e coinvolga altre comunità.

Recentemente la pubblicazione del decreto sulle virtù eroiche di Pio XII ha suscitato nuove reazioni da parte ebraica. Qual è la sua opinione al riguardo?

Ecco, questa è una questione che divide, è un problema di interpretazione storica, sul quale bisognerà tener presente che la sensibilità ebraica è completamente diversa. Noi vorremmo che si andasse avanti con e- strema cautela e non con gesti avventati. Il problema, infatti, dal nostro punto di vista è ben lontano dalla sua soluzione.

Che cosa intende per «estrema cautela » e quali sarebbero invece i «gesti avventati»?

Estrema cautela significa che esistono tantissimi documenti ancora da studiare, mentre i gesti avventati sono quelli di chi dice: «La situazione è perfettamente chiara, abbiamo chiuso il discorso e basta».

Tutto chiarito invece sulla questione della preghiera del venerdì santo alla quale lei accennava prima?

Sull’argomento direi che è stato raggiunto un armistizio 'politico', più che una pace vera. Nel senso che è stato chiarito dalle più alte autorità della Chiesa che la conversione non si riferisce all’immediato, ma è trasferita alla fine dei tempi.

Non crede che dalla visita verrà anche l’ennesimo fortissimo no all’antisemitismo?

Francamente penso che oggi il problema sia l’antigiudaismo, che è una cosa differente, ma non meno pericolosa. L’antisemitismo è un odio su base razziale e la Chiesa non può essere razzista. Ma l’ostilità antiebraica può esistere anche a prescindere dall’odio razziale ed è su quello che dobbiamo fare chiarezza, anche se devo riconoscere che sono stati fatti dei progressi sostanziali in questi ultimi anni.

© Copyright Avvenire, 13 gennaio 2010

6 commenti:

sonny ha detto...

Sto contando.....sono arrivata a 10.250 .....che pazienza....ahhhhh...chiudo!

tridentino ha detto...

la preghiera del Venerdì santo,nella sua penultima formulazione,non è stata introdotta da Benedetto XVI,che anzi l'ha modificata sua sponte e inutilmente,per andare incontro al mondo ebraico,ma risale al messale del beato giovanni XXIII(il "papa buono").
nessuno ha mai protestato per quella formulazione nonostante l'indulto di Giovanni Paolo II che concedeva,a certe condizioni (disgraziatamente dietro autorizzazione del vescovo locale),la possibilità di celebrare la santa messa secondo il rito tridentino.
Peccato che,ancora una volta,gli intervistatori,in particolare dei quotidiani cattolici,e gli intervistati omettano di ricordare questo "piccolo" particolare.

Anonimo ha detto...

adesso ci contesta l'antigiudaismo. sottile il rabbino!

l'antigiudaismo è nota quando i cristiani sono stati espulsi dalla sinagoga e comunque antigiudaismo non significa demonizzare gli ebrei, ma consapevolezza do far parte della nuova ed eterna Alleanza in Cristo... se vogliono il dialogo, liberi di disapprovare ma devono rispettarci e smetterla di inserirsi nella nostra vita liturgica ed oltre... nelle gerarchie mi sembra ci sia troppa condiscendenza

Anonimo ha detto...

dimentica anche, il rabbino, che noi il venerdì santo formuliamo una preghiera, loro ogni giorno recitano maledizioni... perchè nessuno glielo dice?

Anonimo ha detto...

Secondo me ha ragione chi, in campo tradizionalista,denuncia un inaccettabile atteggiamento di appiattimento della Chiesa, da parte delle sue più alte cariche, sulle ricieste ed aspettative ebraiche. Queste giornate di "dialogo e reciproca conoscenza" a cosa servono? Solo a spendere fumose e inconcludenti parole e continue riverenze verso chi vede dietro ad ogni dichiarazione il velo dell'antisemitismo (che sia ben chiaro è da condannare). Insomma Gesù Cristo è o non è il Figlio di Dio? Ci ha detto o no di predicare a tutto il mondo la conversione, agli Ebrei compresi? matteo

Anonimo ha detto...

La questione della preghiera del Venerdì Santo è davvero sconcertante.

E' stato un atto di cortesia e invece lo si legge come un affronto.

E' davvero difficile capacitarsene.

Ma forse è la chiave di lettura di tutto.

E' la prova del grande pregiudizio che sta dietro a tutto ciò.

Ma il giochetto non potrà durare per sempre.

Antonio