martedì 12 gennaio 2010

La forza delle parole del Papa sta nella loro evidenza di verità. Non urlata, ma testimoniata con forza mite (Brunelli)


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Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

Il commento di Lucio Brunelli

Sia nell’Angelus del 10 gennaio sia nel discorso di ieri al Corpo diplomatico il papa ha unito la questione degli immigrati clandestini a quella delle minoranze cristiane nel mondo musulmano.
Realtà naturalmente diverse, eppure Benedetto XVI ha voluto legarle in un unico commento. Situazione entrambe di sofferenza, dove è in gioco però lo stesso valore di fondo: l’accoglienza della ‘diversità’.
Le sue parole, specialmente quelle pronunciate domenica scorsa, hanno avuto grande e meritata eco nei mass media.
“Bisogna ripartire dal cuore del problema, bisogna ripartire dal significato della persona” ha detto commentando i fatti drammatici di Rosarno. E mentre in molti ambiti cattolici cresce la preoccupazione per la ‘invasione’ islamista Benedetto XVI ha ricordato verità semplici, che dovrebbero risultare familiari a una sensibilità cristiana.
Anche l’immigrato, benché diverso da noi per lingua, cultura e provenienza, è una persona umana, da rispettare. Dietro il suo volto c’è un’anima, una storia e “Dio lo ama come ama me”. Parole che non sono suonate retoriche né liquidabili come espressione di un ottuso buonismo cattolico.
Analogamente, parlando ai 178 ambasciatori accreditati in Vaticano, il papa ha menzionato il dramma di milioni di persone costrette dalla guerra, dai flagelli della povertà e della fame, ad abbandonare la propria terra. “Di fronte a tale esodo – ha detto – invito le Autorità civili ad agire con giustizia, solidarietà e lungimiranza”. In entrambe le occasioni il papa ha fatto seguire a queste parole “considerazioni simili” sulla sorte dei cristiani in alcuni paesi islamici. Denunciando nel primo caso le violenze in Egitto e Malesia e nel secondo caso l’emigrazione di molti cristiani dal Medio Oriente, dovuta anche alla mancanza di una piena libertà religiosa.
Il Papa non ha usato il termine reciprocità. Proprio, crediamo, per non dare l’impressione di una sorta di do ut des politico che potrebbe suonare così: noi cattolici difendiamo i diritti degli immigrati di fede musulmana in Occidente ma solo se voi, in cambio, riconoscete alle nostre minoranze uguale trattamento. Non è questa la logica e nemmeno l’animo di questo Papa.
Perché non è la logica del cristianesimo. Logica di gratuità assoluta. Benedetto XVI ha posto la questione nei termini del rispetto che si deve a ogni persona in quanto tale. A prescindere dalle opinioni e dai convincimenti religiosi, tanto più dal colore della pelle. Ha detto quello che ha detto non perché speri di averne un ricavo politico nel dialogo con l’islam. Ma perché semplicemente crede e sente così. Davvero i clandestini non sono essere subumani che possono essere trattati come i padroni bianchi trattavano gli schiavi neri nelle coltivazioni di cotone negli Stati Uniti del XIX secolo. Non pagare l’operaio con un giusto salario è uno dei peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio: ce l’ha insegnato non Marx ma il catechismo della nostra infanzia, quello di san Pio X, che si imparava a memoria. La forza delle parole del Papa sta proprio nella loro evidenza di verità. Non urlata, ma testimoniata con la forza mite della testimonianza. E da ingenui sperare che questa testimonianza e questa verità possano, sia pur lentamente, indurre il mondo musulmano ad aprire le legislazioni ma soprattutto la mentalità del popolo a principi di maggior rispetto verso i cristiani? O è forse più realistico, anche sul piano politico, assumere un atteggiamento ostile e solo recriminatorio? Questo papa non nasconde i problemi e chiede rispetto. Ma sta percorrendo una via nuova, diversa sia dai facili irenismi ecumenici sia da un altrettanto facile e inconcludente atteggiamento di chiusura e rivalsa.

© Copyright Eco di Bergamo, 12 gennaio 2010

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