mercoledì 6 gennaio 2010

Se il Papa apre il cortile dei Gentili (Alberto Melloni)


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Se il Papa apre il cortile dei Gentili

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Alberto Melloni

«La Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di "cortile dei Gentili", dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l' accesso al suo mistero».
Così il Papa Benedetto XVI, nel discorso per gli auguri natalizi alla Curia romana, proponeva una formulazione del rapporto fra comunità credente e umanità in ricerca le cui suggestioni lessicali e storiche meritano di essere dipanate con cura.
Il «cortile» al quale il Papa si è riferito si trovava nel tempio di Gerusalemme, riadornato da Erode e terminato pochi anni prima che Tito lo distruggesse. In quella maestosa struttura, dopo le porte e i portici, c' era l' Atrio dei Gentili: una grande piazza dove stavano venditori e cambiavalute - quelli che Gesù scaccia per purificare con la foga del profeta anche quello spazio nel quale potevano entrare i non circoncisi dei popoli «altri», distinti da quello che era «il» popolo della promessa. Oltre una balaustra che delimitava l' Atrio, al di là di scritte che minacciavano la morte agli incirconcisi che avessero violato sacrilegamente quel confine sacro, stava il cuore del tempio coi luoghi destinati al culto e al sacrificio. Da queste zone erano esclusi i «popoli»: goym in ebraico, ethni in greco, in latino gentiles dal plurale di gens. Questi «popoli», che parlano le lingue nate da Babele, nella tradizione rabbinica non sono innumerevoli, ma sono commisurati alla Menorah, le cui sette candele, dice il testo ebraico Ohr Hachajim, «corrispondono alle nazioni gentili, che sono settanta. Ognuna allude a dieci, giacché esse brilleranno tutte di fronte al lume d' occidente», cioè Israele. Quando Girolamo, traducendo la Bibbia in latino, indica come Gentili i «popoli» della Torah, è ancora dentro una cultura che riconosce il ruolo infungibile di Israele. Quella che parla latino è Chiesa delle genti, figlia della Grazia, a fronte di una Chiesa dei giudei venuta dalla Legge già puntiforme: e ha in Paolo, «l' apostolo delle genti», l' accesso ad un Vangelo che prescinde ormai dalla circoncisione. Ma il termine Gentili cambia significato ogni qual volta nel cristianesimo si affaccia la pretesa di aver «rimpiazzato» Israele, di essergli «subentrato» nelle promesse (per questa ideologia si usa spesso l' anglismo supersessionismo), forzando le espressioni che il Nuovo Testamento pronuncia quasi come paradossi della Grazia. Si hanno varie tracce di questa rimodulazione del termine nella teologia patristica e medievale, fino all' opera di Tommaso d' Aquino intitolata Summa contra Gentiles: scritto attorno al 1260, questo trattato dedica tre dei quattro libri di cui si compone alle verità accessibili alla ragione, perché intende discutere con i musulmani, i Gentili del secolo XIII, la cui rivelazione coranica si vanta d' essere la più razionale fra il rigore dell' osservanza ebraica e la follia della Croce cristiana. Oggi chi sono i Gentili? Benedetto XVI - che da teologo aveva scritto un' opera su Il nuovo popolo di Dio (Queriniana) - ritorna su questa linea e indica come Gentili, evocando lo spazio dell' atrio nel tempio erodiano, non gli incirconcisi, ma gli atei.
Quei non credenti che davanti alla «nuova evangelizzazione» (parola d' ordine della Chiesa wojtyliana), dice il Papa, «si spaventano», perché «non vogliono vedere se stessi come oggetto di missione, né rinunciare alla loro libertà di pensiero e di volontà». A quelli che «desiderano il Puro e il Grande, anche se Dio rimane loro ignoto», Benedetto XVI offre un' attenzione pari a quella offerta dal predecessore agli uomini delle religioni e una interpretazione della loro inquietudine simile a quella della fallimentare predicazione di Paolo all' Aeropago di Atene sul Dio sconosciuto.
Il tema - cruciale già al Concilio nella commissione di cui era membro Wojtyla - è stato oggetto in questi anni di esperienze assai significative e distanti fra loro. Una è stata quella avviata 23 anni fa a Milano dal cardinale Martini e nota come la «cattedra dei non credenti»: essa nasceva, secondo Martini, dal fatto che «ciascuno di noi (ha) in sé un non credente e un credente che si parlano dentro, che si interrogano a vicenda, che rimandano continuamente domande pungenti l' uno all' altro»; la cattedra non era dunque uno spazio per estranei, ma un modo per appropiarsi di quel dialogo interiore senza il quale non si ha maturità umana e di fede. Di tutt' altro segno la visione del «progetto culturale» lanciato dal cardinal Ruini anni dopo: aprendo il recente convegno su Dio, egli esprimeva la convinzione che non la dinamica disobbedienza/Grazia accomuna l' umanità, ma la domanda di senso; «non vi è spazio per la neutralità: l' orientamento della vita si riverbera per tutti, credenti, atei, agnostici, sulla risposta e ancor prima sul peso che diamo alla domanda riguardo a Dio»; per l' ex presidente della Cei dunque, «l' esistenza del Dio personale, pur solidamente argomentabile, non è oggetto di una dimostrazione apodittica, ma rimane l' ipotesi migliore». Benedetto XVI fa una sua proposta per lo meno distinta da quelle: il Papa non s' appoggia sulla narratività evangelica (Gesù si mimetizzava fra i peccatori e i Gentili, a sentire il Battista e la stizza dei suoi); non sviluppa una teologia della Chiesa dei Gentili di tipo paolino. Egli parte dalla persuasione che Dio sia una questione che la Chiesa deve tenere aperta in tutti, una «nostalgia» che l' apostolato dei vescovi non deve lasciar spegnere: essa può essere coltivata in quell' Atrio dei Gentili citato in apertura e viene connessa non a caso al dialogo interreligioso. Quello di Benedetto XVI, infatti, è un tipo di approccio che la teologia delle religioni definirebbe «inclusivo», perché cerca di mostrare come la condizione che vive il non-cristiano fa già parte del disegno di salvezza annunciato da Gesù. Ma la storia insegna che le formule inclusive hanno destini bizzarri. Si prenda extra Ecclesiam nulla salus, «fuori dalla Chiesa non c' è salvezza»: era il modo in cui Origene spiegava come la prostituta Raab, che aiuta gli esploratori di Israele durante l' Esodo, era entrata a far parte della storia della salvezza e d' una Chiesa futura di cui partecipa nella fede; pochi secoli dopo quella formula così aperta veniva pronunciata in senso esattamente opposto: per dire che la salvezza sarebbe appartenuta solo ai figli della Chiesa romana e fondare una catechesi del disprezzo dell' altro di cui il Giubileo avrebbe fatto mea culpa nel Duemila. Cosa accadrà dell' auspicio papale lo dirà il tempo: per ora ha riportato nella discussione una figura - quella dei Gentili - che sembrava sparita dal lessico e che da sempre parla ai figli d' Abramo.

© Copyright Corriere della sera, 5 gennaio 2010 consultabile online anche qui.

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