martedì 23 febbraio 2010

Con le parole della sua lingua, Papa Ratzinger ha infranto vecchi tabù richiamando la schiettezza evangelica (Accattoli)


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Con le parole della sua lingua, Ratzinger ha infranto vecchi tabù richiamando la schiettezza evangelica

di Luigi Accattoli

Con l’angelus di domenica e la lectio di giovedì il Papa ha dettato un pentalogo di ciò che è umano e di ciò che non lo è – e che dunque inclina al disumano – usando parole che suonano insopportabili ai nostri orecchi dimentichi di ogni responsabilità morale.
Ha detto che sono fuori dall’umano la menzogna, il furto, l’inganno e l’adorazione del potere, l’orgoglio e la presunzione.
Forse Benedetto XVI non mirava a questo – nella prima delle due occasioni parlava ai preti di Roma – ma ne è venuta una provvidenziale denuncia del degrado della nostra vita pubblica.
Il 17 febbraio – mercoledì delle Ceneri – la Corte dei Conti ci informa che quel degrado galoppa: nel 2009 le denunce di atti di corruzione alla Guardia di Finanza sono aumentate del 229 per cento rispetto al 2008 e quelle per concussione del 153 per cento.
Il 18 – primo giovedì di Quaresima – il Papa argomenta parlando a braccio che «si dice: “ha mentito”,“è umano”; “ha rubato”, “è umano”; ma questo non è il vero essere umano: umano è essere generoso, è essere buono, è essere uomo della giustizia, della prudenza vera, della saggezza».
Considero una fortuna per la predicazione cristiana nel nostro Paese che a un Papa polacco sia succeduto un Papa tedesco: una fortuna anche linguistica, che ci fa percepire in maniera nuova parole antiche.
Grazie alla difficoltà della lingua una volta Giovanni Paolo chiamò «confratelli» i musulmani e un’altra volta – alla vigilia dell’elezione – il cardinale Ratzinger parlò di «sporcizia» nella Chiesa. Due parole che un Papa italiano non avrebbe usato e che ci hanno dato la sveglia.
Metto in questa serie degli scarti linguistici che aiutano la predicazione anche il richiamo della settimana scorsa all’alienazione dall’umano che comporta la legittimazione del furto e della menzogna: «Settimo non rubare, ottavo non dire falsa testimonianza». E ci metto anche «l’adorazione del potere» di cui ha parlato domenica. Tanto più appare forte il doppio monito se badiamo alla serie positiva delle parole che il Papa teologo ha contrapposto a quella negativa, segnalando come rispondenti alla “vera umanità” la generosità, la giustizia, la bontà, la saggezza e la compassione.
Sissignori: la generosità, la bontà, la compassione! È diventato un luogo comune irridere a queste parole della tradizione quando si rivendica – poniamo – l’esigenza di essere duri e puri nel combattere il buonismo e il perdonismo. Baget Bozzo, che pure era un prete, aveva scritto negli ultimi anni pagine accese contro «il primato della compassione» nel cristianesimo contemporaneo.
La chiamata del Papa al rispetto dei comandamenti che sono alla base della convivenza sociale – e a cogliere il carattere idolatrico degli “inganni” del potere – è arrivata al culmine di una stagione della nostra vita pubblica segnata da ogni sorta di scandali intrecciati tra sesso, denaro e potere: nel nostro Paese – come dice la Corte dei Conti – «la corruzione è diventata un fenomeno di costume».
E disponiamo di neologismi in gran quantità per rendere comprensibile – e forse anche accettabile – il carattere pervasivo di questo fenomeno: “gelatina criminale” ha detto ultimamente un magistrato, ma c’erano già i “furbetti”, i “mariuoli”, i “birbantelli”, la “cricca” e la “casta”.
E le escort, i trans, i massaggi, la segretaria amante, l’arte delle “note spese”, l’inserimento nelle liste, il favore nelle commesse: nessun partito esente, nessuno schieramento restato senza macchia.
«Avete capito che non sono un santo» aveva detto di sé – ma anche, senza volerlo, a nome di tutti – il premier il luglio scorso e se ne risentì il povero Dino Boffo su Avvenire tirandosi addosso l’ira fredda del povero Feltri che ora va giurando che gli dispiace «davvero molto» di avergli fatto del male usando carte false contro di lui .
Ci voleva un Papa tedesco per far risuonare – in questo contesto – un “no” di sapore biblico al furto e alla menzogna e all’idolo del potere che instancabilmente li legittima. Benedetto ha un suo candore che sempre ci sorprende nell’usare la parola proibita e che io ritengo debba essere interpretato sia come guizzo dell’intellettuale che vuole nominare il tabù, sia come schiettezza evangelica: «Il vostro parlare sia sì sì, no no».
Quella volta in aereo fu lui a usare per primo la parola “preservativo” e ora è stato lui a dirci che stiamo imboccando una china “disumana” se cediamo all’idea che rubare e mentire sia proprio dell’uomo e dunque di ognuno e perciò veniale, anzi innocente.

www.luigiaccattoli.it

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IL “PENTALOGO” DEL PONTEFICE

MENZOGNA GIUSTIZIA
FURTO BONTÀ
POTERE SAGGEZZA
ORGOGLIO GENEROSITÀ
PRESUNZIONE COMPASSIONE

Ecco le “parole chiave” con cui Benedetto XVI, nell’Angelus di domenica scorsa e nella lectio di giovedì, ha denunciato il degrado morale della nostra vita pubblica. A sinistra ciò che il Pontefice che considera non degno dell’essere umano, a destra i sentimenti che viceversa danno conto della pienezza dell’umanità.

© Copyright Liberal, 23 febbraio 2010

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