sabato 15 maggio 2010

Papa Benedetto in Portogallo ha detto la verità, tutta la verità, sulla sua Chiesa (Fontana)


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Papa Benedetto in Portogallo ha detto la verità, tutta la verità sulla sua Chiesa

di Stefano Fontana

Più che in ogni altra occasione Benedetto XVI sembra aver voluto dire la verità, tutta la verità, nella sua visita in Portogallo. E non tanto la verità da annunciare al mondo, quanto la verità della Chiesa, perché solo se la Chiesa si riappropria della sua verità può anche essere un servizio al mondo, lo può richiamare quando sbaglia e indicargli la strada.
A Fatima il Papa ha usato parole chiare, come si fa in famiglia, dentro le mura domestiche, e si parla ai “nostri”, a quelli che sanno e che hanno visto. Un esame di coscienza in famiglia, fatto davanti agli umili, ai semplici, al popolo cristiano dei santuari e di Fatima in particolare: folle immense che però sembrano come sparire, assorbite dalla superficie porosa di un mondo che tutto metabolizza, quando il papa lascia le spianate ove celebra le messe. Come se il mondo, per conto suo, continuasse ad andare per la sua strada e tutto ciò non avesse influenza.
Tre discorsi di Benedetto XVI a Fatima hanno costituito come un colloquio interno alla Chiesa. Il 12 maggio, ai cattolici impegnati nel sociale il Papa ha invitato ad una presenza, ad una viva testimonianza nel mondo. Ha anche indicato esplicitamente la necessità di rifarsi, in questo impegno, all’orizzonte della Dottrina sociale della Chiesa: «Lo studio della sua dottrina sociale, che assume come principale forza e principio la carità, permetterà di tracciare un processo di sviluppo umano integrale che coinvolga le profondità del cuore e raggiunga una più ampia umanizzazione della società. Non si tratta di semplice conoscenza intellettuale, ma di una saggezza che dia sapore e condimento, offra creatività alle vie conoscitive ed operative tese ad affrontare una così ampia e complessa crisi». Si è trattato di un forte invito alla presenza, «Consapevoli, come Chiesa, di non essere in grado d’offrire soluzioni pratiche ad ogni problema concreto, ma sprovvisti di qualsiasi tipo di potere, determinati a servire il bene comune, e pronti ad aiutare e ad offrire i mezzi di salvezza a tutti», ma non perciò rinunciatari o dimessi, bensì consapevoli di doverci essere, insieme, sotto la guida della Chiesa e della sua dottrina sociale.
Questo invito, rivolto a grandi masse di persone impegnate, oggettivamente però contrastava con l’evoluzione recente della società portoghese, oggetto di una secolarizzazione molto violenta che nel giro di pochi anni ha permesso l’approvazione di leggi fortemente contestate dal Papa come l’aborto e il riconoscimento delle unioni omosessuali. Questo contrasto ha fatto da sfondo a tutto il viaggio di Benedetto XVI, ormai missionario in una terra sconsacrata più che pellegrino in una nazione cristiana. Le grandi folle al suo passaggio non hanno potuto nascondere questa realtà. E allora, ecco il grande tema: cosa resta dell’impegno sociale e politico dei cattolici, cosa della loro Dottrina sociale, cosa delle loro attività caritative se viene meno la fede, se attorno l’apostasia dalle radici cristiane si allarga e se Dio è sempre meno presente nella scena pubblica perché è sempre meno presente nelle coscienze? Torna il problema fondamentale a cui sembra aver dedicato tutte le sue forze questo Pontefice, il tema della famosa Lettera sul ritiro della scomunica ai vescovi di Ecône: «Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l´accesso a Dio. Non ad un qualsiasi Dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell´amore spinto sino alla fine - in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia é che Dio sparisce dall´orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l´umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più. Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo».
Qualcosa di analogo è stato detto anche a Fatima, il giorno precendente 11 maggio: «precisamente oggi la priorità pastorale è quella di fare di ogni donna e uomo cristiani una presenza raggiante della prospettiva evangelica in mezzo al mondo, nella famiglia, nella cultura, nell’economia, nella politica. Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista». Si parla di sogni di nuove generazioni di politici cattolici, ma i cattolici sono sempre di meno; si parla di presenza pubblica del cristianesimo, ma i cristiani sono sempre di meno. Queste cose sono state dette davanti a delle folle, e perciò appaiono così incisive. Non si può negare che questo Pontefice abbia rilanciato, e motivato con grande profondità teologica e con fine sapienza ecclesiale, la necessità della presenza storica del cristianesimo, soprattutto in Occidente, ma lo ha fatto segnalando egli stesso la prima grande carenza che dall’interno si oppone a questo progetto e che lo rende difficoltoso e problematico: la diminuzione della fede, che rende impossibile qualsiasi altro obiettivo.
Durante il viaggio, parlando con i giornalisti, il Papa – prontamente ripreso dai media - ha detto che la Chiesa non è mai veramente perseguitata dall’esterno, ma sempre prima di tutto dall’interno, ossia dal peccato dei cristiani. Insomma, le sue difficoltà sono sempre e solo dovute ad una mancanza di fede. La frase è stata letta in relazione alla pedofilia, ma aveva un significato molto più vasto e profondo. «Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?». Come non vedere, in questo ultimo passaggio, un riferimento alle numerose proposte di maggiore collegialità nella Chiesa, di riforma della Curia romana, di revisione della struttura monarchica della Chiesa come se ciò fosse la panacea di tutti i mali?
Benedetto XVI ha l’idea che all’origine c’è un problema di fede, che governare la Chiesa significhi prima di tutto pregare ed aver fede, che la presenza pubblica dei cristiani si estinguerà se non alimentata dalla fede e che il mondo stesso ne sarà impoverito. Tutto ciò, infatti, è stato ribadito a Fatima non solo davanti alle folle ma anche davanti alla Madonna.

© Copyright L'Occidentale, 15 maggio 2010

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