lunedì 17 maggio 2010

Regina Coeli, dal Papa nessuna volontà di potenza, nessun cedimento alle seduzioni del mondo, nessuna paura del mondo (Casavola)


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La folla a San Pietro

SE LA FEDE BUSSA ALLA PORTA DEL MONDO

di FRANCESCO PAOLO CASAVOLA

LA FOLLA che si è riunita in piazza San Pietro per ascoltare il Papa e insieme (testimoniargli affetto e fiducia nella difficile congiuntura che la Chiesa sta attraversando, per i casi dei preti pedofili, si somma nelle immagini a quella che appena qualche giorno fa aveva accolto il Papa a Fatima, in Portogallo. Siamo dinanzi a segni eloquenti di quel bisogno di Dio che torna a palpitare, ora consolando ora inquietando, nel cuore di una umanità, che avrebbe dovuto invece, secondo i presagi della cultura della secolarizzazione, vivere la nuova era della morte di Dio. Quella cultura, per la parte in cui aveva alimentato i totalitarismi di destra e di sinistra, è stata la storia a sconfiggerla. E per la parte in cui teorie scientifiche e filosofiche avrebbero dovuto sostituire le fedi religiose, l’esperienza delle società contemporanee ne rivela il fallimento. Di questo ritorno a provare nelle nostre esistenze il bisogno di Dio, abbiamo sentito una eco nelle parole del Papa: “Dio rimane nella trama della storia umana, è vicino a ciascuno di noi e guida il nostro cammino; è compagno dei perseguitati a causa della fede, è nel cuore di quanti sono emarginati, è presente in coloro a cui è negato il diritto alla vita”.
Il Papa era emozionato, e lo ha dichiarato, per la vista della immensa moltitudine di Fatima e di piazza San Pietro. Ma per chi guida la Chiesa le folle hanno tutt’altro significato che quello da cui sono ispirati capi politici o leader sociali. Per il Papa, così come per l’ultimo dei cristiani, la moltitudine è un richiamo all’insegnamento evangelico radicale: siamo nel mondo, ma non apparteniamo al mondo.
Nessuna volontà di potenza, dunque, nessun cedimento alle seduzioni del mondo, nessuna paura del mondo.
Il nemico non è il mondo, è in noi. Il nostro male spirituale è il peccato, che “a volte contagia purtroppo anche i membri della Chiesa”.
Benedetto XVI ha saputo trovare le parole giuste. Non ha taciuto su vicende che possono essere occasione di una rinascita spirituale. La conversione è una esperienza mai conclusa nella vita cristiana.
Anche i sacerdoti sono chiamati costantemente a convertirsi come qualsiasi credente. Ogni incontro con il nostro prossimo sta ad un bivio, per un itinerario di conversione o per uno di peccato. Ma non deve essere un’ossessione di solitudine. Pecca fortemente, ma credi più fortemente, insegnava Lutero.
Il Papa ci esorta a radicarci in Dio, solidali nel bene, nell’amore, nel servizio. Questa è la comunità cristiana. Ancora una volta ci viene una grande lezione da questo Pontificato, forse ancora non bene compreso nell’intera sua cifra dottrinale e pastorale. Certo, “possiamo ascoltare, vedere e toccare il Signore Gesù nella Chiesa, specialmente mediante la parola e i gesti sacramentali dei suoi Pastori”. Ma poi nella vita quotidiana della società e dovunque nel mondo è l’intero popolo di Dio. Sono gli uomini e le donne, i bambini, i giovani, gli anziani, ricchi e poveri, colti e illetterati, fortunati e sventurati, con le loro gioie e le loro tragedie, tutti nelle disuguaglianze dei loro corpi e delle loro biografie, e nella universalità della loro fede a realizzare nella storia umana quello stendimento del corpo di Cristo, come con suggestiva metafora si espresse Sant’Agostino. Se dobbiamo trarre dalle circostanze presenti occasione per ripensare la vita cristiana nella Chiesa e nel mondo, cominciamo da questo nastro di partenza, che ci allinea tutti, dal Papa all’ultimo laico, insieme per un cammino comune.

© Copyright Il Messaggero, 17 maggio 2010

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