giovedì 24 dicembre 2009

Natività e Passione nell'arte. Uno Stabat Mater a misura di presepe (Timothy Verdon)


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Natività e Passione nell'arte

Uno Stabat Mater a misura di presepe

di Timothy Verdon

Il tempo liturgico che inizia con la messa vigilare della solennità di Natale, il 24 dicembre, e termina con la festa del Battesimo del Signore, domenica dopo l'Epifania introduce i fedeli nel mistero non solo della nascita di Cristo ma anche della sua morte e risurrezione. Proprio questo duplice carattere del periodo è suggerito nell'immagine riprodotta a fronte, una piccola tavola trecentesca conservata in Vaticano, in cui sono raffigurate sia l'adorazione del neonato Gesù, in basso, che l'immagine del Vir dolorum, in alto, quasi a conferma dell'affermazione di san Leone Magno, secondo cui "l'unico scopo del Figlio di Dio nel nascere era di rendere possibile la crocifissione.
Nel grembo della Vergine ha assunto una carne mortale, e in quella carne mortale ha compiuto la sua passione" (Trattato, 48, 1: Corpus Christianorum Series Latina 138a, 279-280).
L'estrema sintesi della vita Christi offerta da Leone Magno - come poi dal dipinto riprodotto qui - nasce dal Nuovo Testamento. Già l'ultima domenica di Avvento, in quest'anno "c", la Chiesa ha ricordato il brano della lettera agli Ebrei in cui "entrando nel mondo, Cristo dice (al Padre): "Tu non hai voluto né sacrificio né offerta... un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare o Dio la tua volontà" (Ebrei, 10, 5-7)"; a scanso di equivoci, più avanti lo stesso testo specifica che "mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre" (Ebrei, 10, 10).
Non si tratta di una chiosa teologizzante, come qualcuno potrebbe pensare. In verità il primo cenno biografico a Gesù pervenutoci, una frase della lettera indirizzata da san Paolo ai cristiani della Galazia verso l'anno 57, dice la stessa cosa.
Con una concisione ancor maggiore di quella di san Leone Magno quattro secoli dopo, l'Apostolo afferma che "quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli" (Galati, 4, 4-5). Tale sintetica biografia di Gesù viene però introdotta, nella lettera ai galati, da riferimenti alla sua morte e risurrezione. La frase che ne ricorda la nascita e l'appartenenza al popolo d'Israele appare infatti all'interno di una lunga argomentazione dottrinale che apre - 32 versetti prima - con la domanda, "O stolti galati, chi mai vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso?" (Galati, 3, 1); nelle prime parole dell'epistola, poi, l'autore, Paolo, s'era già identificato come "apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomini, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti" (Galati, 1, 1).
L'ordine conoscitivo indicato dal posizionamento di questi rimandi - l'ordine delle informazioni intorno a Cristo che san Paolo dà per certe nei destinatari della lettera, cioè - è quindi l'opposto di quello cronologico: non nascita, morte e risurrezione, ma risurrezione, morte e nascita! Questo sarà anche l'ordine in cui, tra gli anni 50-60 e l'inizio del ii secolo, prenderanno forma i vangeli, i quali - pur riorganizzando il materiale agli scopi di una narrazione diacronica - nascono dalla previa convinzione che Cristo è risorto, poi dalla partecipazione emotiva e morale alla sua passione, e solo in ultimo dalla narrazione della sua vita storica.
La tendenza a non dissociare alcun momento della vita di Cristo, neanche la nascita, dalla sua morte e risurrezione viene poi concretizzata nella liturgia. Ogni festa liturgica, anche Natale, viene per forza ricondotta al mistero della passione-risurrezione dal fatto che vi si celebra la Messa, la quale ri-presenta in forma incruenta il sacrificio di Cristo sul Golgotha.
Le letture delle solennità e feste natalizie sono poi attraversate da allusioni alla futura Passione del Salvatore: già il fatto menzionato nel vangelo della messa di notte di Natale, che all'arrivo di Giuseppe e Maria nella città di Davide, Betlemme, "non c'era per loro posto nell'alloggio" (Luca, 2, 7), introduce il tema del rifiuto, esplicitato in chiave teologica nel Prologo giovanneo proclamato sia nella messa di giorno di Natale che nella seconda domenica che segue. "Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non l'hanno accolto" (Giovanni, 1, 9-11).
All'Epifania, poi, da rifiuto il tema si muta in ostilità quando Erode cerca di sapere il luogo in cui era nato Cristo, non per adorarlo ma per ucciderlo.
Il contenuto pasquale del Natale verrà enfatizzato soprattutto dal periodo del nostro piccolo dipinto in avanti, nella poesia religiosa e in inni popolari. Prendiamo il caso dello Stabat Mater, databile tra la fine del Due e l'inizio del Trecento, le cui parole, attribuite al francescano Jacopone da Todi, invitano a sentire emotivamente, come Maria aveva sentito, la sofferenza di Cristo. C'era anche una versione natalizia dell'inno, anche questa attribuita a Jacopone da Todi, in cui invece di parlare di Maria ai piedi della croce il testo la descrive accanto al presepe! Mentre la prima versione inizia Stabat mater dolorosa /juxta crucem lachrymosa, / dum pendebat Filius, questa fa Stabat mater speciosa, / juxta foenum gaudiosa, / dum jacebat parvulus. Per chi usava prima la versione natalizia, e poi, qualche mese dopo, quella pasquale, ci doveva essere una salutare contaminatio emotiva: la gioia della nascita, ricordata a Pasqua, intensificava il dolore della morte, come la consapevolezza della futura morte, avvertita a Natale, acutizzava il pathos del Pargolo vulnerabile.
Tale duplice mistero ha affascinato gli artisti di tutti i periodi, incluso quello attuale. La seconda opera riprodotta qui, una Santa Famiglia astratta del 2008, fa vedere il Salvatore nato come luce nel legno dorato di una croce a "tau" ("Egli avrà sulle spalle il dominio", avrà sulle spalle il peso terribile e glorioso della croce).
Nel dipinto, di mano di uno degli artisti invitati da Benedetto XVI all'incontro nella Sistina lo scorso 21 novembre, Filippo Rossi, il simbolo dorato s'incastra però col legno grezzo allusivo a san Giuseppe, rappresentante della storia d'Israele in cui il Figlio di Dio s'inserisce: legno non solo grezzo ma anche torturato, in anticipazione della passione; s'incastra anche con il bianco sfiorato dall'oro che allude a Maria.

(©L'Osservatore Romano - 24 dicembre 2009)

2 commenti:

mariateresa ha detto...

è con piacere che vi segnalo questo articolo di Guenois che dice in raffinato quello che io rozzamente sento a pelle e che ho cercato di comunicarvi nei miei post
http://www.lefigaro.fr/editos/2009/12/22/01031-20091222ARTFIG00438-mais-o-va-le-pontificat-de-benoit-xvi-.php

La fermezza di Benedetto XVI paga.
Normalmente Guenois mi piace come il formaggio sul pesce e quindi sono piacevolmente sorpresa da questi spunti di riflessione.

Anonimo ha detto...

Molto interessante l'articolo.
All'inizio Guenois si chiede se il 2009 sia stato l'anno peggiore del pontificato.

Io credo che sia stato il più importante finora perchè sono state prese decisioni che rimarranno e che segnano la storia di un pontificato.

Antonio