lunedì 25 gennaio 2010
Comunicazioni sociali: la prospettiva indicata da Benedetto XVI (Adriano Fabris)
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COMUNICAZIONI SOCIALI - Farsi ascoltare
La prospettiva indicata da Benedetto XVI
Adriano Fabris
docente di etica della comunicazione
Università di Pisa
Quest’anno il messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali è rivolto ai sacerdoti. Essi sono chiamati a “esercitare il proprio servizio alla Parola e della Parola”.
Questo riferimento non deve stupire: tenendo conto che stiamo appunto celebrando l’Anno sacerdotale. E tuttavia, per il suo tema e per il modo in cui esso è trattato, il messaggio s’inquadra all’interno di una riflessione più ampia, che da tempo viene condotta dal Papa, dal Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali e dalla stessa Chiesa cattolica italiana: quella sui nuovi media, sulle forme corrette della loro fruizione e sul modo in cui essi possono contribuire alla diffusione della Parola di Dio. Su questi temi, d’altronde, è in preparazione un grande convegno Cei, che si svolgerà nel prossimo aprile e che sarà intitolato “Testimoni digitali”.
Il titolo del messaggio è esplicito: “Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola”. In esso viene preso atto dell’ormai definitivo imporsi della comunicazione in rete, del suo integrarsi con le altre forme di trasmissione digitale, del suo essere modo di espressione privilegiata del mondo giovanile, delle grandi opportunità di collegamento che tutto ciò offre. Sulla scia di precedenti documenti della Chiesa cattolica – mi riferisco in particolare a due testi del 2002, sempre redatti dal Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali: “Etica in Internet” e, soprattutto, “La Chiesa e Internet”, che rappresenta lo sfondo più adeguato per comprendere il messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali di quest’anno – il Papa sottolinea però il carattere ambiguo di questa multimedialità diffusa. Essa infatti, accanto a evidenti opportunità, comporta anche possibili rischi. Nel messaggio è evidenziato soprattutto uno di questi rischi: l’esigenza di utilizzare le nuove tecnologie unicamente allo scopo di “rendersi presenti”; la volontà di considerare il web “solo come uno spazio da occupare”. E invece è necessario adoperarsi per “dare un’anima all’ininterrotto flusso comunicativo della rete”, evitando di essere semplicemente a rimorchio del progresso tecnologico.
Tutto questo, d’altronde, costituisce una vera e propria sfida sul piano pastorale. Compito primario del sacerdote è, infatti, quello di “annunciare Cristo, la Parola di Dio fatta carne”. E ciò ha sempre comportato, da San Paolo in poi, la necessità di un utilizzo consapevole e adeguato delle modalità comunicative a disposizione. Oggi però quest’annuncio può essere compiuto in forme inedite. Il messaggio, anzi, parla di una “storia nuova”, al cui inizio viene a trovarsi il sacerdote del nostro tempo. Infatti, “quanto più le moderne tecnologie creeranno relazioni sempre più intense e il mondo digitale amplierà i suoi confini, tanto più egli sarà chiamato a occuparsene pastoralmente, moltiplicando il proprio impegno, per porre i media al servizio della Parola”.
In particolare, ciò che caratterizza questa “storia nuova” è il mutamento dell’idea di “universalità” che l’utilizzo delle nuove tecnologie comporta e, di conseguenza, il mutamento del concetto stesso di “cattolicità”. Nel mondo digitale, ormai, tutti siamo connessi con tutti. Almeno virtualmente. Il problema primario, dunque, non è più quello di raggiungere le persone alle quali annunciare il Vangelo, ma è quello di riuscire a farsi ascoltare. Ciò è tanto più difficile in un contesto di overdose informativa e di confusione, nella società dello spettacolo, di elementi essenziali e superflui, sacri e profani.
Proprio a partire da ciò Benedetto XVI delinea una vera e propria “pastorale nel mondo digitale”, che tenga conto “anche di quanti non credono, sono sfiduciati e hanno nel cuore desideri di assoluto e di verità non caduche”. E lo fa mettendo al centro una cura rivolta ai contenuti (che sono frutto di adeguata preparazione teologica), diretta a coltivare la spiritualità dei sacerdoti, animata da quelle motivazioni che debbono trasparire anche nell’impegno pastorale sul web. In altre parole, il modo adeguato per riuscire a farsi ascoltare è quello che poggia sulla credibilità del testimone: di colui che, anche nell’odierno mondo digitale, è in grado di attestare quella “vita sempre nuova” che viene “generata dall’ascolto del Vangelo di Gesù”.
Il testo sul “sacerdote e la pastorale nel mondo digitale” si rivolge anzitutto a coloro che sono chiamati ad annunciare il Vangelo. Essi sono invitati a farlo cogliendo le singolari opportunità offerte dalla moderna comunicazione. Lo debbono fare con saggezza, certo, ma senza paura. Cercando alleanze anche con gli uomini di buona volontà che operano in maniera più o meno professionale all’interno dei processi comunicativi. Il tutto allo scopo – come veniva ricordato nel messaggio dello scorso anno – di “promuovere una cultura di rispetto per la dignità e il valore della persona umana”. Anche all’interno del mondo digitale.
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