lunedì 18 gennaio 2010

Il Papa si è presentato in Sinagoga come l’umile successore dell’ebreo Pietro (Tornielli)


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Applausi per il Papa, è la visita del disgelo

di Andrea Tornielli

Roma
C’è soltanto un chilometro che separa il Vaticano dal Tempio Maggiore della comunità ebraica di Roma. Un chilometro che negli ultimi tempi è sembrato dilatarsi, approfondendo le differenze. Benedetto XVI lo percorre accorciando nuovamente le distanze e aprendo la strada al disgelo: la novità principale è l’agenda comune che il vescovo di Roma e il rabbino capo hanno individuato.
Il Papa si è presentato in Sinagoga come l’umile successore dell’ebreo Pietro, nel giorno del Mo’èd di Piombo, l’acquazzone che spense le fiamme appiccate alle porte del ghetto nel 1793 dal popolino romano convinto che tutti gli ebrei proteggessero i sostenitori delle idee rivoluzionarie francesi.
Appena sceso dall’auto Ratzinger sosta davanti alla lapide che commemora i 1.021 deportati del ghetto di Roma nell’ottobre 1943. Solo in 17 poterono tornare a casa. Poi viene salutato da un uomo simbolo del dialogo, il rabbino Elio Toaff, che nel 1986 accolse Papa Wojtyla. Un altro momento della memoria è la visita al monumento che ricorda Stefano Taché, il bimbo di due anni ucciso nell’attentato dei terroristi palestinesi fuori della Sinagoga nell’ottobre 1982. Il Papa saluta i familiari di Stefano, e i feriti sopravvissuti.
In Sinagoga, il vescovo di Roma è accolto dal canto del Salmo 126, «Coloro che seminano nelle lacrime raccoglieranno con giubilo», e poi con vari e ripetuti applausi. Dentro lo attendono più di mille persone. In prima fila ci sono il presidente della Camera Fini, il sindaco Alemanno, il sottosegretario Letta. S’inizia con un minuto di silenzio per i terremotati di Haiti. Poi prende la parola il presidente della comunità di Roma, Riccardo Pacifici, che cita le persecuzioni subite oggi dai cristiani in molti Paesi e lancia un allarme sul «fondamentalismo islamico» e sui propositi degli Stati - il riferimento è all’Iran - che programmano la distruzione d’Israele. Pacifici, pur ricordando commosso di aver avuto salva la vita grazie ad alcune suore fiorentine e rendendo onore ai «numerosi religiosi si adoperarono, a rischio della loro vita», per salvare gli ebrei, non rinuncia a un affondo polemico su Pio XII, il cui «silenzio di fronte alla Shoah - dice - duole ancora come un atto mancato». E chiede infine «che gli storici abbiano accesso agli archivi del Vaticano».
Di tutt’altro tono è l’intervento del rabbino capo Riccardo Di Segni, che non cita direttamente Pacelli, pur affermando che «il silenzio dell’uomo ci sfida e non sfugge al giudizio». Di Segni ricorda che «sono le aperture del Concilio che rendono possibile» il rapporto tra cristiani ed ebrei: «Se venissero messe in discussione non ci sarebbe più possibilità di dialogo». Un modo per chiedere al pontefice la rassicurazione che il dialogo con i lefebvriani non segnerà passi indietro rispetto al Vaticano II.
Il rabbino capo, però, guarda avanti, alle «visioni condivise» e agli «obiettivi comuni che devono essere messi in primo piano», proponendo al Papa un lavoro in difesa dell’ambiente, della santità della vita, della libertà, della pace. Un impegno che coinvolga ebrei, cristiani e musulmani.
Quando finalmente Benedetto XVI, seduto a fianco del rabbino capo, prende la parola, rievoca lo storico gesto di Wojtyla, più volte citato e lungamente applaudito anche negli interventi precedenti, assicurando di voler «confermare e rafforzare» il cammino da lui tracciato e manifestando la «stima e l’affetto» della Chiesa per gli ebrei.
Ratzinger spiega che il Concilio è «un punto fermo a cui riferirsi costantemente nell’atteggiamento e nei rapporti con il popolo ebraico» e che il cammino di dialogo iniziato è «irrevocabile». Cita quindi i passi più significativi in questo senso avvenuti sotto il suo pontificato, dalle visite alle Sinagoghe di Colonia e New York, al viaggio in Terra santa. E afferma: «La Chiesa non ha mancato di deplorare le mancanze di suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo».
Ricorda con parole commosse il «dramma sconvolgente» della Shoah e la tragedia degli ebrei romani e, pur senza nominare Pio XII, fa un accenno all’opera da lui svolta: «La Sede apostolica svolse un’azione di soccorso, spesso nascosta e discreta». Anche il Papa guarda oltre, invitando a lavorare insieme a partire dalle radici comuni dei Dieci comandamenti, «la fiaccola dell’etica», e propone un impegno per il rispetto della vita, del valore di ogni persona umana, specie se debole o straniera. La visita si conclude con il colloquio privato con Di Segni e l’inaugurazione della mostra che espone antichi pannelli (forzatamente) preparati dalla comunità nel 1700 per salutare l’elezione del nuovo Papa.

© Copyright Il Giornale, 18 gennaio 2010 consultabile online anche qui.

4 commenti:

Fabio ha detto...

Cara Raffaella guarda il titolo di
TGCOM
http://www.tgcom.mediaset.it

Benedetto XVI: "La Chiesa ha chiesto perdono per l'antisemitismo".

La Shoah sembra sia stata ideata e fatta dalla Chiesa Cattolica anziché dal nazionalsocialismo. Possibile che la testata di Mediaset sia così superficiale da non saper distinguere tra antisemitismo e antigiudaismo? L'idea della razza superiore (e delle altre inferiori) non nasce con Darwin e l'evoluzionismo?
Certi giornalisti hanno proprio il gusto di offendere. E' una vergogna!

Raffaella ha detto...

Ciao Fabio, temo sia un vezzo diffuso come quello di attribuire sempre e solo a Benedetto XVI il ripristino (ripristino?) della Preghiera del Venerdi' Santo.
R.

Anonimo ha detto...

condivido la preoccupazione di Fabio. Ho la brutta sensazione che in questi ultimi anni si stia spingendo verso un'interpretazione della Shoah come catastrofe voluta e accettata dai cristiani, invece che come responsabilità del regime nazista. Spero che i miei nipoti non se lo troveranno direttamente sui libri di storia.

laura ha detto...

Scusatemi l'aidità, ma la richiesta del inuto di silenzio per le vittime dl terreemoto di Haiti è stata l'unica frase condivisibile degli ebrei che sono pieni di risentimento, di rncore, di vittimismo, di rabbia, di pregiudizi e hanno una capoccia durissim. Non m'interessa se il mio commento non può essere pubbblicato perchè potrebbe offndere la sensibilità dei nostri fratelli ebrei, ma lo hanno detto loro stessi che la storia dei fratelli nella Bibbia è sempre stata una storia fatta di sangue e di lotte, di sofferenza e di incomprensioni. Ci sarà pure un motivo?!!! oppure è sempre colpa degli altri e tutti ce l'hanno con loro?