domenica 17 gennaio 2010
La rete clandestina di Papa Pacelli che aiutava gli ebrei braccati (Rino Cammilleri)
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La rete clandestina di Pacelli che aiutava gli ebrei braccati
di Rino Cammilleri
Non tutte le voci ebraiche sono irriconoscenti nei confronti di Pio XII. Anzi, sembra proprio che i denigratori, in questo ambito, siano una minoranza. Certo, non di rado si tratta di una minoranza qualificata, in grado perciò di vanificare, agli effetti pratici, la marea di testimonianze di gratitudine a Papa Pacelli per avere salvato con la sua opera più di ottocentomila ebrei dalla persecuzione nazista. Nella benemerita opera di sfatare la leggenda nera sui cosiddetti «silenzi» di Pio XII si distingue la newyorkese Pave the Way Foundation - organizzazione internazionale ebraica creata da Gary Krupp e rappresentata in Italia dall’avvocato Daniele Costi- che ha trovato una testimonianza straordinaria della rete clandestina di aiuto agli ebrei braccati posta in essere da Pio XII tramite preti e religiosi cattolici in tutto il mondo. Lo straordinario in questa testimonianza è sia il fatto che riguarda un protagonista, sia che quest’ultimo sia ancora vivo. Si tratta di don Giancarlo Centioni, 97 anni e una memoria perfettamente lucida.
Intervistato da Jesùs Colina dell’agenzia Zenit.org e in video da www.h2onews.org il 14 gennaio scorso, l’anziano sacerdote ha raccontato di essere stato cooptato nella rete di soccorso in quanto cappellano della Milizia fascista e, pertanto, più libero di muoversi nella Roma occupata.
I padri Pallottini tedeschi (nome ufficiale della congregazione fondata da S. Vincenzo Pallotti: Società dell’Apostolato Cattolico) avevano creato ad Amburgo la «Raphael Verein» (associazione intitolata a san Raffaele, l’arcangelo che nella Bibbia accompagna e protegge Tobia) per aiutare gli ebrei a fuggire dalla Germania attraverso l’Italia, la Svizzera o il Portogallo, contando sui confratelli residenti in questi Paesi. Il loro superiore era il p. Josef Kentenich, di Schönstatt (poi arrestato e internato a Dachau fino alla fine della guerra). Il p. Anton Weber ne dirigeva la filiale romana di Via Pettinari 57 (più di dodici religiosi, quasi tutti tedeschi) in stretto contatto col Papa tramite la Segreteria di Stato vaticana. La rete forniva denaro e passaporti agli ebrei. Di essa faceva parte anche un poliziotto, il vicequestore Romeo Ferrara, che (potendo contare su acquiescenze all’interno della polizia italiana) segnalava gli indirizzi della gente da aiutare. Il Centioni, nell’intervista, ricorda in particolare la famiglia Bettoja, proprietaria di alberghi. Ci andò di notte e dovette giurare di essere un prete per farsi aprire. Si salvarono tutti, con i loro bambini. In quell’occasione fu il vicequestore Romeo a fornirgli una divisa da cappellano militare per non dare nell’occhio. La sede della rete serviva anche a nascondere ebrei troppo noti per poter fuggire inosservati. Come il famoso letterato Melchiorre Gioia e l’allora celebre compositore viennese Erwin Frimm. Ma anche lo stesso Centioni corse dei rischi. Come quando, per esempio, fornì aiuto all’ebreo Ivan Basilius senza sapere che costui era una spia dei russi: le SS acciuffarono il fuggitivo e nel suo taccuino trovarono il nome di don Centioni. Questi riuscì a sottrarsi di misura all’arresto con la fuga grazie a una soffiata da parte di un prelato tedesco, mons. Hudal, in Vaticano. Centioni, in qualità di cappellano della Milizia, era in contatto col comandante della Gestapo, Herbert Kappler, colui che ordinò - per rappresaglia all’attentato partigiano di via Rasella - l’esecuzione dei 335 italiani, ebrei e non, alle Fosse Ardeatine. Subito dopo l’eccidio, don Centioni ricorda di avere chiesto al Kappler come mai non erano stati ammessi i cappellani militari sul luogo delle fucilazioni.
L’ufficiale tedesco aveva risposto che, se l’avesse fatto, avrebbe dovuto eliminarli, compreso don Centioni. Quest’ultimo venne poi insignito dal governo polacco in esilio di un’alta onorificenza, la Croce d’oro con Spade; motivazione: «Per la nostra e la vostra libertà». Ma la memoria più grata sono le manifestazioni di riconoscenza da parte delle centinaia di ebrei salvati, i Maroni, i Di Tivoli, i Tagliacozzo, i Ghiron. Tutti costoro - assicura il testimone oculare (nonché, ricordiamolo, protagonista e ultimo sopravvissuto) - erano perfettamente a conoscenza del fatto che il vero motore dell’iniziativa era Pio XII, il quale agiva attraverso i suoi uomini. L’arzillo quasi centenario ci tiene a sottolinearlo. Servirà, quest’ulteriore prova? Temiamo di no.
Com’è noto, la sordità di chi non vuol sentire è invincibile. I «silenzi» di Roosevelt e Churchill non valgono quelli di Pio XII.
© Copyright Il Giornale, 17 gennaio 2010 consultabile online anche qui.
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