giovedì 21 gennaio 2010
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DIALOGO
LA VISITA DI BENEDETTO XVI ALLA SINAGOGA DI ROMA
UN TERRENO COMUNE
Nella comunità ebraica rimane la divisione rispetto alla Chiesa, ma oggi prevale la necessità di continuare a dialogare, soprattutto sul tema dell’ambiente.
Alberto Bobbio
Alla fine il Papa è piaciuto, anche se nella comunità ebraica italiana le voci discordanti non mancano sulla visita alla Sinagoga di Roma.
Se il rabbino capo della capitale Riccardo Di Segni parla di «clima rasserenato», il presidente dell’Assemblea rabbinica d’Italia, Giuseppe Laras, che ha disertato l’incontro, dice di «non aver colto elementi di novità che inducano a un maggior ottimismo sui rapporti tra ebraismo e cattolicesimo».
Ma anche questa non è una novità.
La comunità ebraica italiana, pure ai suoi vertici, si conferma divisa in relazione alla Chiesa cattolica.
È la questione controversa dei presunti silenzi di Pio XII ad aver inquinato la vigilia e per alcuni anche lo svolgimento della visita di Benedetto XVI alla Sinagoga. Il Papa non ha citato mai Pacelli. Ha denunciato che molti «purtroppo rimasero indifferenti» di fronte alle deportazioni, ma molti «anche fra i cattolici italiani reagirono con coraggio, aiutando gli ebrei braccati e fuggiaschi a rischio della propria vita e meritando una gratitudine perenne». Poi ha aggiunto: «Anche la Sede apostolica svolse un’azione di soccorso, spesso nascosta e segreta».
È stato invece il capo della comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici a parlare direttamente di Pio XII.
Un giudizio condiviso
Ha raccontato di suo nonno morto ad Auschwitz e di suo padre Emanuele, salvato nel convento delle suore di Santa Marta a Firenze. Ha riconosciuto il ruolo dei conventi, che salvarono la vita agli ebrei «senza chiedere nulla in cambio». Ma ha detto che il "silenzio" di Pio XII «duole ancora come un atto mancato». Poche parole, che ribadiscono la posizione tradizionale della maggior parte della comunità ebraica mondiale. Eppure ha chiesto un «giudizio condiviso», osservando tuttavia che Pio XII «forse non avrebbe fermato i treni della morte, ma avrebbe trasmesso un segnale, una parola di estremo conforto, di solidarietà, per i nostri fratelli trasportati verso i camini di Auschwitz».
Benedetto XVI ha ripreso le parole pronunciate ad Auschwitz sulla Shoah e ha rafforzato il concetto definendola dramma che rappresenta «il vertice di un cammino di odio che nasce quando l’uomo dimentica il Creatore e mette sé stesso al centro dell’universo». E ha ripetuto che nessuno può dimenticare.
Sul piano del dialogo il Papa ha assicurato che «la visita si inserisce nel cammino tracciato per confermarlo e rafforzarlo».
E a Di Segni, che chiedeva che le conquiste del Vaticano II «non vengano messe in discussione» altrimenti «non ci sarà alcuna possibilità di dialogo», ha risposto che il Concilio è stato un «decisivo impulso» e un «cammino irrevocabile». La Chiesa, ha ricordato il Papa, «non ha mancato di deplorare» le sue "mancanze", ha chiesto "perdono" per tutto ciò che ha favorito «le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo», esclamando: «Possano queste piaghe essere sanate per sempre». Sia il Papa che i rappresentanti ebraici hanno sottolineato che si può lavorare insieme, per «la pace, la dignità, la libertà, i diritti dell’essere umano», per la «protezione della vita contro ogni ingiustizia e sopruso».
Un’ecologia non idolatrica
Benedetto XVI ha indicato una "regola" che impegna ebrei e cristiani oggi a esercitare «una generosità speciale verso i poveri, le donne, i bambini, gli stranieri, i malati, i deboli e i bisognosi».
Ma c’è un’altra indicazione che ha dato il Papa e riguarda l’impegno contro la «tentazione di costruirsi altri idoli», perché «molti non conoscono Dio o lo ritengono superfluo». È un «servizio prezioso», ha spiegato, che ebrei e cristiani «possono offrire insieme».
L’altro campo di impegno, indicato da Benedetto XVI, è il lavoro comune per l’ambiente. Di Segni ha confermato che «su questo punto abbiamo visioni comuni e speciali da trasmettere», se si condivide un «progetto di ecologia non idolatrica» dove all’apice della creazione «c’è l’uomo», per cui si deve lavorare per la «santità della vita, la dignità dell’uomo, la sua libertà, la sua esigenza di giustizia e di etica».
Di Segni ha rilevato che bisogna vivere la propria religione «con onestà e umiltà, come potente strumento di crescita e promozione umana, senza aggressività, senza strumentalizzazione politica». Gli ebrei hanno anche denunciato il fondamentalismo islamico, ma hanno rilevato che ebrei e cristiani non sono soli in questo cammino, ma lavorano insieme a tutti coloro che si riconoscono nell’eredità spirituale di Abramo: «Ebrei, cristiani e musulmani sono chiamati a questa responsabilità di pace».
Il Papa ha chiesto pace per tutto il mondo, in particolare per la Terra Santa. Di Segni ha ribadito che «nella coscienza ebraica è irrinunciabile» considerare la Terra Santa «terra di Israele». Pacifici ha espresso al Papa la solidarietà per gli assalti ai cristiani nel mondo: «Abbiamo la sensazione che il mondo occidentale non esprima sufficientemente il proprio sdegno».
© Copyright Famiglia Cristiana n. 4/2010
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