martedì 26 gennaio 2010
Visita del Papa in sinagoga: le interviste de "Il Consulente Re" al rabbino Di Segni ed al card. Kasper
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Riceviamo e con piacere e gratitudine pubblichiamo le interviste del direttore de "Il Consulente Re" al rabbino Di Segni ed al card. Kasper in occasione della visita del Papa alla sinagoga di Roma:
DOPO LA VISITA IN SINAGOGA/ 1
Il card. Kasper: Continuare un dialogo paziente e rispettoso
Giuseppe Rusconi
Domenica 17 gennaio papa Benedetto XVI ha varcato la soglia della Sinagoga (Tempio Maggiore) di Roma: una visita molto attesa nel giornata di riflessione ebraico-cristiana e a 217 anni dal Mo’èd di piombo: quel giorno del 1793 il popolo romano assalì il ghetto - dopo aver ucciso il diplomatico francese Hugo de Basville - ritenendo gli ebrei simpatizzanti della Révolution, incendiò le porte, ma improvvisamente il cielo si oscurò e aprì le sue cataratte così da spegnere incendio e furore popolare. La visita è stata preceduta e accompagnata da polemiche di vario tipo soprattutto in campo ebraico; è però innegabile che Benedetto XVI è stato accolto assai cordialmente da larga parte della Comunità romana ed anche molto applaudito in alcuni momenti del suo discorso. In precedenza avevano parlato il presidente della Comunità romana Riccardo Pacifici (con un discorso franco e accorato), il presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna, il Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. Nel Tempio era presente anche una delegazione musulmana. Per un commento alla giornata abbiamo intervistato il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani e della Commmissione per i rapporti con l’ebraismo - due compiti non facili che il porporato tedesco assolve con grande serenità, cercando di sdrammatizzare gli eventi laddove è possibile e di infondere speranza, pur non tacendo le difficoltà - e il Rabbino-capo Riccardo Di Segni (vedi la seconda intervista sull’argomento). Incominciamo con il cardinale Kasper...
Eminenza, a quasi 24 anni di distanza dalla visita storica di Giovanni Paolo II, qual è il significato profondo della visita di Benedetto XVI?
La caratteristica più importante di questa visita del Papa nella Sinagoga di Roma è stata la visita stessa, da intendersi come continuazione della storica visita di Papa Giovanni Paolo II 24 anni fa. In questo senso, la visita di Giovanni Paolo II non è rimasta un evento singolare e straordinario, ma ha iniziato una tradizione. Con la sua visita, Papa Benedetto XVI ha confermato la svolta conciliare ed il miglioramento postconciliare nei rapporti della Chiesa cattolica con il Giudaismo; con la visita la svolta è divenuta una realtà sperimentata e vissuta, il che avrà certamente conseguenze positive e costruttive per i futuri rapporti con la Comunità ebraica di Roma.
Secondo Lei quella vena antigiudaica propria negli atteggiamenti di una parte dei cattolici nel passato è scomparsa del tutto?
L’atteggiamento antigiudaico, che non va confuso con l’antisemitismo, risale ai primi secoli della Chiesa ed ha una lunghissima tradizione. Tali atteggiamenti e mentalità non possono essere superati da un giorno all’altro. Tuttavia, la palese dichiarazione del Papa, che nel suo discorso, in continuità con il Concilio, ha rifiutato nuovamente e senza mezzi termini ogni antigiudaismo ed ogni antisemitismo, aiuterà molto lo sviluppo futuro tra Chiesa e Giudaismo.
La visita di papa Benedetto XVI è stata preceduta dalle polemiche di una parte dell’ebraismo per la firma da parte dell’attuale Pontefice del decreto sull’eroicità delle virtù di Pio XII. Tali polemiche, da cui è scaturita una ‘nota’ della Sala Stampa della Santa Sede, hanno rischiato di mettere in forse la visita?
Non ci credo. I responsabili delle due parti, ed in primo luogo lo stesso Papa, non hanno mai messo in forse la visita. Il dialogo non si interrompe quando ci sono difficoltà, anzi quando ci sono problemi e polemiche è meglio intensificarlo per costruire un’atmosfera di fiducia in cui i problemi possono essere discussi in maniera ragionevole, costruttiva e pacifica.
Eminenza, Pio XII è stato ringraziato calorosamente da molti ebrei per la protezione offerta soprattutto nel periodo dell’occupazione nazista almeno fino alla morte, nel 1958. Pochi anni dopo, con la rappresentazione del dramma di Hochhut, invece il clima nella comunità ebraica è cambiato e ormai da decenni si fa sentire da non pochi la critica per i ‘silenzi’ del Papa nella Seconda Guerra mondiale. E’ accaduto anche in Sinagoga...
La questione “Pio XII e la Shoah” è molto complessa. Ci sono fatti e aspetti oggettivi storici che, secondo la mia conoscenza storica, parlano piuttosto in favore di Papa Pio XII; ma ci sono anche valutazioni, difficilissime da farsi nella situazione attuale e del tutto diversa da allora, soprattutto quasi 70 anni dopo questi eventi tragici e dolorosi. Sulle valutazioni si discuterà probabilmente fino alla fine del mondo. Solo Dio potrà dire l’ultima parola. Si comprende tuttavia che da parte delle vittime prevalgano sentimenti di dolore e di lutto, a differenza di una presa di posizione oggettiva, ma più distanziata, degli storici. Perciò bisogna continuare un dialogo paziente e rispettoso.
Il decreto sull’eroicità delle virtù di Pio XII non vuole dare o precludere una valutazione strettamente storica, ma dà una valutazione morale e spirituale, che dice che questo Papa nella totalità della sua vita ha fatto la volontà di Dio, lui personalmente con i suoi specifici doni umani e nella situazione del tutto straordinaria che nella sua coscienza ha potuto comprendere. Ciò non esclude che altri in una situazione simile avrebbero forse visto anche altre possibilità di azione. Ma chi può mai giudicare?
Quanto è pesato nella visita l’argomento ‘Terrasanta’, Terra di Gesù dilaniata da persistenti, gravi contrasti?
L’argomento “Terrasanta” preoccupa fortemente il Papa e la Santa Sede, nel senso sia della ricerca della pace che per la situazione dei cristiani. Ma in un solo discorso non si possono affrontare tutte le questioni complesse. Così il Papa durante la sua visita nella Sinagoga non ha fatto diretto accenno a questo argomento, come lo aveva fatto durante la sua visita in Terrasanta solo alcuni mesi fa, ma di certo se ne parlerà durante l’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi nell’ottobre di quest’anno.
Eminenza, da presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani e della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, Lei ha già vissuto diversi momenti importanti nella storia dei rapporti interconfessionali e interreligiosi. Quale valutazione finale dà della visita papale di domenica 17 gennaio?
Penso che la visita sia stata un grande ed importante evento con forti momenti di emozione emersi nel luogo della razzia del 16 ottobre 1943, dall’incontro con i sopravvissuti dell’Olocausto e con il già Rabbino Capo Emilio Toaff, per i discorsi del Presidente e del Rabbino Capo della Comunità ebraica di Roma. Per quanto ho potuto seguire, l’eco internazionale sull’evento è stata prevalentemente positiva. Certamente, la visita non ha risolto e non poteva risolvere tutti i problemi, ma sono convinto che ha contribuito alla soluzione; essa ha rafforzato i legami già esistenti, ha dato una nuova spinta ai nostri dialoghi e ci ha trasmesso la speranza che anche dopo una storia difficile e complessa sia possibile costruire rapporti di amicizia e di vicinanza. Personalmente ne sono stato contento.
http://www.ilconsulentere.it/articolo.php?id=246
DOPO LA VISITA IN SINAGOGA
Rabbino Di Segni: cammino tormentato, speriamo irreversibile
Giuseppe Rusconi
Dopo aver ascoltato le considerazioni del cardinale Walter Kasper sulla visita di Benedetto XVI in Sinagoga, saliamo ad intervistare nel suo ufficio il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni. Nato nel 1949, primario di radiologia presso l’ospedale San Giovanni di Roma, Di Segni guida religiosamente la comunità della capitale dal novembre del 2001, successore di Elio Toaff. Non è questo un momento particolarmente facile per i rapporti tra ebraismo e cattolicesimo; lo si evince anche dai contenuti dell’intervista che segue. Del resto, se una larga maggioranza della comunità romana ha accolto cordialmente papa Benedetto XVI, alcuni nomi di rilievo dell’ebraismo italiano hanno criticato la visita, dal rabbino Giuseppe Laras (presidente dell’Assemblea Rabbinica Italiana) a Amos Luzzatto (già presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane) a Piero Terracina, uno degli ultimi sopravvissuti di Auschwitz. Anche l’Unione degli studenti ebrei ha espresso perplessità sull’avvenimento in un volantino distribuito subito dopo il ritorno del Papa in Vaticano. Tuttavia l’incontro in Sinagoga ha avuto diversi momenti di forti emozioni, come quando spontaneamente il Papa si è alzato in piedi per rendere omaggio ai sopravvissuti della Shoah presenti nel tempio o durante alcuni passi del discorso dello stesso Pontefice. Al Rabbino capo di Roma abbiamo chiesto di spiegarci tra l’altro il senso di alcune considerazioni espresse nel suo discorso. A seguire le sue risposte, non certo prive di contenuti assai vivaci.
Signor Rabbino Capo di Roma, Lei avrà visto titoli e commenti sulla visita di papa Benedetto XVI in Sinagoga...
Sì...
Riguardo al cammino di fratellanza tra ebrei e cattolici, si pone in genere l’accento su due aggettivi, ritenuti in questo caso complementari: un cammino irreversibile e tormentato... E’ questa una lettura corretta in riferimento alla visita del Pontefice?
Che il cammino sia tormentato è indubbio, che sia irreversibile è una speranza.
A tale proposito nell’editoriale pre-visita del mensile ebraico Shalom, a firma di Giacomo Kahn, si leggeva tra l’altro: “Se non ci sarà chiarezza di contenuti e di finalità, sarà forte la tentazione di interrompere il dialogo, perché in fondo ciascuna delle due fedi ha in sé la certezza stessa - o forse l’arroganza - di pensare che noi esistiamo a prescindere da voi”...
... con una differenza però: gli ebrei si possono permettere il lusso di pensare che gli altri non esistano, perché loro esistono prima. Invece i cristiani, che sono radicati nell’ebraismo, se vogliono pensare questo, dovrebbero tagliare le loro radici... a volte l’hanno fatto, ma...
Come ha detto Giovanni Paolo II, in occasione della visita del 13 aprile 1986, gli ebrei sono i “fratelli maggiori”...
Questa definizione è molto ambigua dal punto di vista teologico, poiché i “fratelli maggiori” nella Bibbia - ne ho parlato nel mio discorso - sono quelli cattivi, quelli che perdono la primogenitura... Parlare quindi di “fratelli maggiori” dal punto di vista teologico significa dire: Voi c’eravate, adesso non contate più niente!
Perché ha citato nel Suo discorso quattro esempi di coppie di fratelli , a partire da Abele e Caino, Isacco e Ismaele, Giacobbe e Esaù, infine ha ricordato Giuseppe e gli altri fratelli?
Devo dire che il mio discorso non è nato in una notte. Considerata l’importanza dell’avvenimento, ho consultato diverse personalità rabbiniche. Una di loro mi ha suggerito di parlare di questo tema, che è molto suggestivo e rappresenta effettivamente il senso del difficile procedere come fratelli. E’ stata per me una sorpresa constatare che l’argomento ha toccato profondamente il Papa: dalla posizione ieratica in cui si era messo all’inizio della cerimonia, ha incominciato a mostrare grande interesse. Non solo: alla fine del mio discorso m’ha detto che l’argomento era molto importante, ciò che ha evidenziato ancora nel nostro colloquio privato.
Però, restando sull’argomento, c’è qualcosa che vorrei mi spiegasse: nelle coppie di fratelli, chi rappresenta gli ebrei, chi i cristiani? Secondo la primogenitura sarebbe chiaro...
Su questo c’è una divergenza teologica fondamentale. Se Lei prende la Lettera ai Romani, gli ebrei sono Esaù. In quella ai Galati addirittura siamo i figli della serva. Invece nell’immagine tradizionale ebraica Esaù è Roma...
Quale Roma?
Roma imperiale e poi la sua erede Roma cristiana. C’è un conflitto di pensieri simbolici su questo argomento.
Lei, signor Rabbino Capo, ha fatto nel Suo discorso un’altra precisazione, certo non casuale, sulla Terra santa: “La terra è la terra d’Israele, e in ebraico letteralmente non è la terra che è santa. Ma è eretz haQodesh, la terra di Colui che è Santo”. Anche qui, perché la precisazione?
Anche questa è una cosa che ha fatto molta impressione all’Illustre Ospite. Noi non idolatriamo la terra, ma noi prestiamo il culto al Signore che dà sacralità alle cose. Ho introdotto la precisazione per ribadire che quella specifica terra è prediletta dal Signore, che la dà a chi vuole Lui. E’ un tema biblico fondamentale.
Nel suo discorso papa Benedetto XVI ha richiamato alcuni campi di auspicabile “collaborazione e testimonianza”: l’azione per risvegliare nell’uomo la dimensione del Trascendente, quella per il rispetto e la protezione della vita, quella per conservare e promuovere la santità della famiglia formata da uomo e donna. Inoltre anche nell’esercizio della giustizia e della misericordia, ha detto il Papa, richiamando un “mirabile detto dei Padri d’Israele”. Lei condivide in toto, si riconosce in questi campi di collaborazione così come evidenziati da Benedetto XVI?
Direi che sono tutti campi condivisibili...
Condivisibili o condivisi?
Sono sostanzialmente condivisi...
Sostanzialmente?
Sì... poi nelle applicazioni incominciano le discussioni... ma non sono gli unici. Per esempio io ho parlato ad esempio dell’ambiente, aggiungerei anche la sacralizzazione del tempo...
Può spiegare che cosa intende con quest’ultima espressione?
C’è un tempo per costruire, uno per riposare, per riflettere sulla nostra posizione di esseri creati che devono rispettare la Creazione... il tempo è ritmico secondo la scadenza del Sabato, che per noi ha un valore religioso fondamentale. Ciò proprio per insegnare all’uomo a rapportarsi correttamente alla Creazione. E’ un discorso essenziale nel nostro mondo contemporaneo.
Un altro passo del Suo discorso ha suscitato un vivo interesse, quando ha richiamato le “aperture” del Concilio ecumenico vaticano II, aggiungendo: “Se venissero messe in discussione, non ci sarebbe più possibilità di dialogo”. Perché ha voluto inserire questo ‘ammonimento’?
E’ stata l’ultima aggiunta al discorso, dopo che venerdì mattina 15 gennaio c’è stata una strana apertura ai lefevriani...
Perché strana? Il Papa in quell’occasione ha parlato alla Congregazione per la Dottrina della fede riunita nell’annuale assemblea plenaria. Ed è tale Congregazione che si occupa oggi dei lefevriani... il Papa ha solo espresso l’auspicio che vengano “superati i problemi dottrinali che permangono per il raggiungimento della piena comunione con la Chiesa” da parte dei lefevriani...
Se la pace con i lefevriani significa rinunciare alle aperture del Concilio, la Chiesa dovrà decidere: o loro o noi!
Signor Rabbino Capo, c’è un momento durante la visita che L’ha coinvolta particolarmente?
Ci sono stati vari momenti: l’ingresso del Papa in Sinagoga è sempre un gesto di estrema radicalità, poi quando il coro ha cantato Anì Maamin, il canto dei deportati...
Il fatto che Benedetto XVI si sia alzato spontaneamente per rendere omaggio ai sopravvissuti di Auschwitz L’ha colpita?
Sì, decisamente sì.
Anche chi assisteva ha vissuto con ulteriore emozione quel momento, come si è evinto dagli applausi. Un’ultima domanda: sebbene nel testo scritto non apparisse, il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici all’inizio ha voluto ringraziare la Comunità di Sant’Egidio, molto applaudita...
La Comunità di Sant’Egidio è un bell’esempio di collaborazione, è stata fondamentale. Ha fatto di tutto per promuovere la visita, ha fatto molto per salvarla nel momento della crisi.
http://www.ilconsulentere.it/articolo.php?id=244
Davvero interessantissima l'intervista.
Mi permetto di ricordare al rabbino Di Segni che non si possono accettare ultimatum in nome del dialogo.
R.
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4 commenti:
Cara Raffaella,
siccome adesso ho l'occasione, data da un po' di tempo, vorrei sottoporti la seguente questione, apparentemente formale ma in realtà sostanziale, poichè in certi ambiti la forma è sostanza.
Ho seguito la famosa visita in diretta e, siccome non ricordavo alcuni passaggi, l'ho seguita in differita notturna e, dato che ero stato colpito da alcune frasette, l'ho seguita di nuovo grazie alla registrazione presso un amico.
Gli illustri ospitanti quando parlavano del Papa regnante evitavano il più possibile di rivolgersi a lui direttamente ed utilizzavano molti complementi oggetti. Quando, non potendo farne a meno, dovevano utilizare i vocativi si rivolgevano all'illustre ospite in maniera non consona: Papa Benedetto, Lei, addirittura signor Pontefice.
Se i miei studi non mi tradiscono e la memoria non m'inganna, nel medioevo si parlava del signor Papa ma mai in vocativo.
Ecco la domanda che è in realtà una richiesta: come si comportarono gli allora illustri ospitanti con Giovanni Paolo II?
Se il comportamento fu identico si può tentare di comprenderli per via teologica, altrimenti ...
Certo il galateo istituzionale imporrebbe altro, specialmente nei riguardi di un capo di stato monarchico: e si tratta di colui che ha la precedenza diplomatica anche sull'Imperatore del Sol Levante.
Ripeto: non è questione di lana caprina, si tratta di quelle piccolezze che fanno comprendere molto sulle intenzioni.
Scusami per la lunghezza.
Piero
Ciao Piero, purtroppo non so dire che cosa accadde durante la visita di Giovanni Paolo II.
Bisognerebbe trovare i discorsi di allora.
R.
Ok.
Vedrò io stesso tra alcuni giorni. Grazie, carissima.
Piero
Ho seguito varie interviste e telegiornali quel giorno (per lavoro). Nessuno ha detto Santità, solo ad Alemanno è uscito, durante l'intervista al Tg2 delle 20,30, un Santo Padre.
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