venerdì 19 febbraio 2010

Clero e pedofilia. Benedetto XVI non sembra voler guardare in faccia a nessuno. Chapeau. L'analisi di Carlo Silini


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Clero e pedofilia

Al di là della cultura dei mea culpa

di CARLO SILINI

Il recente incontro in Vaticano di Benedetto XVI coi vescovi irlandesi segna, con ogni probabilità, la terza tappa del cammino della Chiesa cattolica verso la completa trasparenza nel gestire i casi di pedofilia del clero.
Fino a non troppi anni fa vigeva, di fatto, la «cultura dell’insabbiamento». L’ecclesiastico accusato o sospettato di pedofilia veniva più o meno nascostamente spedito dalla Diocesi a «farsi curare» la psiche e l’anima e poi veniva reinserito nel circuito della vita pastorale in una parrocchia dove nessuno lo conosceva, possibilmente in un’altra nazione. Di solito, ma non sempre, si usava l’accortezza di non metterlo più a diretto contatto coi minori.
Gli ecclesiastici finivano nelle aule dei tribunali solo se i loro accusatori «scavalcavano» le autorità ecclesiali.
Il problema della pedofilia del clero era in generale sottaciuto, se non addirittura negato, dalle istituzioni cattoliche. Inutile dire che in questo tipo di cultura l’interesse a tutelare il presunto colpevole prevaleva sulla necessità di risarcire, almeno moralmente, le vittime dei suoi abusi.
Sotto il pontificato di Giovanni Paolo II le cose sono cominciate a cambiare.
Papa Wojtyla ha infatti introdotto la «cultura dei mea culpa».
E fra le coraggiose autoaccuse, ne ha inserita una sugli abusi sessuali contro i minori da parte del clero. Condanna chiarissima e vigorosa. Ma ancora troppo teorica.
Nel gennaio del 2001, infatti, in un motu proprio sulle offese («delicta») dei sacerdoti ai sacramenti e ai costumi, Giovanni Paolo II menzionava anche il «peccato contro il sesto comandamento (non commettere atti impuri, n.d.r) commesso con un minore di diciotto anni».
Un delitto, spiegava, che era riservato esclusivamente alla giurisdizione del tribunale della Congregazione per la dottrina della fede, cioè al Vaticano.
Il che, sia chiaro, non precludeva processi civili, ma neppure li implicava. La svolta di Wojtyla resta però significativa: finito di negare l’esistenza del problema, da allora la Chiesa ha cominciato a ragionare in termini di prevenzione e di migliore preparazione umana e affettiva dei candidati al sacerdozio.
Papa Ratzinger sembra ora avere introdotto senza tentennamenti la «cultura della tolleranza zero».
Al punto che martedì, prima ancora di annunciare i risultati concreti dell’incontro col Papa, i vescovi irlandesi hanno promesso urbi et orbi che collaboreranno subito con le autorità giudiziarie, mettendo al primo posto le esigenze delle vittime. L’atteggiamento di Benedetto XVI toglie ogni dubbio sulla sua reale volontà di estirpare, costi quel che costi, la malapianta della pedofilia dalla Chiesa cattolica.
C’è tuttavia chi sospetta che tanto furore autopurificatorio, più che da ragioni spirituali, sia mosso da interessi assai prosaici. Qualche anno fa, negli Stati Uniti, lo scandalo della pedofilia del clero aveva indebitato e mandato in bancarotta alcune diocesi. Ma, soprattutto, aveva tolto a numerosi fedeli americani la voglia di sostenere economicamente la Chiesa cattolica. Può darsi che il pericolo di veder diminuire le entrate abbia spinto qualche prelato vaticano a correre ai ripari. Almeno sul piano dell’immagine.
Noi però siamo convinti che Papa Ratzinger, tra il danno alla credibilità della fede e quello alle casse del Vaticano, preferisca porre rimedio al primo. Lo ha dimostrato, qualche anno fa, autorizzando una commissione d’inchiesta sulla presunta pedofilia e abusi sessuali del fondatore della potente (anche dal punto di vista finanziario) congregazione di diritto pontificio dei «Legionari di Cristo», padre Marcial Maciel Degollado, oggi scomparso.
Non era affatto scontato, per un Papa, mettere alla gogna uno dei campioni della «nuova evangelizzazione» cattolica.
Si può discutere, a questo punto, sull’idea, espressa ancora lunedì da Ratzinger, secondo la quale «l’indebolimento della fede abbia contribuito in maniera determinante al fenomeno dell’abuso sessuale di minori», come indicava il comunicato della sala stampa vaticana.
A noi pare che la pedofilia non dipenda dalla debolezza generalizzata delle convinzioni religiose nella società, ma da percorsi personali e sessuali che avvengono indipendentemente dalla fede delle persone. Altrimenti, a rigore, non esisterebbero preti pedofili. In ogni caso, se si può dissentire dall’analisi ratzingeriana delle cause della pedofilia del clero, non si può che applaudire alla sua linea dura nei suoi confronti. Non è ancora detto che la «cultura della tolleranza zero» venga recepita e applicata con rigore e in modo ugualmente coraggioso da tutte le Diocesi del mondo, ma, su questo punto, Benedetto XVI non sembra voler guardare in faccia a nessuno. Chapeau.

© Copyright Corriere del Ticino, 19 febbraio 2010 consultabile online anche qui.

Io penso invece che sia essenziale analizzare le radici profonde del male.
Il Papa guarda giustamente alla vittime ma riflette anche su cio' che ha portato tanti sacerdoti a rinnegare i propri doveri verso i fedeli piu' piccoli. Per il resto non posso che concordare con Silini

R.

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