martedì 9 febbraio 2010

Due letture della «Caritas in veritate»: i commenti di Arrigo Miglio e Andrea Olivero (O.R.)


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Due letture della «Caritas in veritate»

Una nuova prospettiva per la giustizia

Si è svolto a Pavia un incontro sul tema "L'enciclica Caritas in veritate parla al mondo", organizzato dalla diocesi e introdotto dal vescovo Giovanni Giudici. Pubblichiamo stralci delle relazioni del vescovo di Ivrea e, a destra, del presidente nazionale dell'Associazione cristiana lavoratori italiani.

di Arrigo Miglio

La situazione europea e mondiale e la crisi finanziaria ed economica degli ultimi due anni hanno fatto sentire a molti, non solo cattolici, il bisogno di una parola autorevole della Chiesa per imparare a "riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità". (Caritas in veritate, 21).
L'attesa non è andata delusa, anche se bisogna riconoscere che l'orizzonte è molto più ampio rispetto ai problemi e alle preoccupazioni del momento. Abbiamo in mano sì un'enciclica sociale, che prosegue il cammino iniziato, nei tempi moderni, con la Rerum novarum, ma al tempo stesso abbiamo un testo di grande ricchezza teologica e antropologica, attento ad annunciare tutta la ricchezza del Vangelo per la vita dell'uomo e della società del nostro tempo: con le altre due encicliche benedettine, forma una trilogia da considerare nel suo insieme.
È anzitutto la parola Amore, Caritas, Agape, il termine chiave che il Papa utilizza per introdurci nel cuore della dottrina sociale della Chiesa: Deus caritas est - Caritas in veritate.
La dottrina sociale della Chiesa ha qui le sue radici, Caritas è il vero nome di Dio, una Verità che non può essere stravolta da nessuno, e "solo nella verità la carità risplende" (3), manifesta la sua forza di liberazione e di salvezza.
L'enciclica ricorda "che tutti gli uomini avvertono l'interiore impulso ad amare in modo autentico: amore e verità non li abbandonano mai completamente perché sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo". Ma questo impulso ha bisogno di essere purificato e liberato da Gesù Cristo; ogni esperienza di amore umano ha bisogno di questa purificazione.
La Carità è dono, Dio che si dona, dono che diventa chiamata, vocazione anzitutto a lasciarsi amare, ad accogliere l'Amore nel dono dello Spirito Santo. L'Eucaristia è il sacramento di questo dono: non semplice rito ma Sacramento che ci arricchisce dell'amore divino. "La dottrina sociale della Chiesa risponde a questa dinamica di carità ricevuta e donata" (5), non è un'appendice del suo insegnamento.
Carità e Giustizia! Quante volte le due parole vengono messe in contrapposizione, quasi fossero un'alternativa; il risultato è una visione solo "legale" della giustizia, con la carità ridotta a opzione volontaria, facoltativa. Se invece la giustizia è "la prima via della carità" (Caritas in veritate, 6) e questa completa e supera la giustizia, si apre una nuova prospettiva. Già nella Deus caritas est il Papa ricordava (n.28) che anche se lo Stato o la società raggiungessero una perfetta realizzazione della giustizia, questa resterebbe comunque bisognosa della carità: l'Amore-Caritas sarà sempre necessario anche nella società più giusta. Perciò la parola dono può entrare a buon diritto in una visione nuova dell'economia. Viene qui sviluppato e applicato un principio già enunciato nella Deus Caritas est: la dottrina sociale della Chiesa illumina e purifica la ragione, la muove e la spinge a cercare, vedere e realizzare ciò che è giusto. Quindi i cristiani possono e debbono portare nell'impegno politico tutta la loro fede, che illumina la ragione e li aiuta a saper "portare delle ragioni" per trovare soluzioni che siano veramente al servizio di tutto l'uomo e di ogni uomo.
La Caritas in veritate vuol farci comprendere la necessità di riscattare la parola caritas dall'irrilevanza cui spesso è condannata in ambito sociale, giuridico, culturale, politico ed economico; ridotta a un "guscio vuoto da riempire arbitrariamente", a una "riserva di buoni sentimenti utili per la convivenza sociale ma marginali".
La chiara visione neotestamentaria della caritas che Benedetto ripresenta, insieme alla visione completa di autentico sviluppo umano già presente nella Populorum progressio dovrebbero aiutare finalmente a superare la dicotomia ancora troppo diffusa tra valori "etici" e valori "sociali". Ambedue questi gruppi di valori sono irrinunciabili e soprattutto sono inseparabili, perché nascono da una visione antropologica completa e non riduttiva, che attraversa ad esempio tutta la Gaudium et spes.
La crisi che stiamo vivendo ha fatto sentire a molti che c'è bisogno di etica nel campo del mercato e della finanza: l'enciclica allarga lo sguardo al campo del mondo globalizzato, sottolineando che questo nuovo contesto ha posto forti limiti al potere politico degli Stati, ma d'altra parte c'è oggi ancor più bisogno di una governance che possa assicurare la dimensione etica a tutti i livelli, attraverso i pubblici poteri e l'azione politica nazionale e internazionale che si realizza attraverso l'azione delle organizzazioni operanti nella società civile. Al n. 57 si parla di un'autorità organizzata in modo sussidiario e poliarchico, mantenendo strettamente uniti i principi di sussidiarietà e di solidarietà.
Vorrei concludere queste brevi note richiamando due paragrafi di grande attualità, che toccano sfide oggetto di discussione quotidiana. Il 56 ci aiuta a comprendere il valore della vera laicità, oltre il laicismo, mentre il 57 tocca il problema del dialogo tra fede e ragione, necessario per incentivare la collaborazione tra credenti e non credenti, chiamati a lavorare insieme per il bene comune.
Si fronteggiano oggi due visioni opposte di libertà, alternative in rapporto allo sviluppo dell'umanità, di ogni uomo e di ogni donna. L'enciclica si pone in modo netto, in veritate, di fronte a una mentalità e cultura che hanno prodotto in questi decenni uno sviluppo sbilanciato e generatore di nuove ingiustizie, corresponsabile di milioni di morti, che forse non ci turbano il sonno solo perché sono caduti appena un po' lontano dalla soglia di casa nostra. È il frutto di una cultura che confonde diritti con desideri, che esalta il libertarismo individuale senza considerare la persona nella sua dimensione relazionale e sociale.
Il Papa parla in veritate e non sempre la verità è facile da accettare, ma riesce al tempo stesso a parlare infondendo speranza e invitando a non perdere mai di vista quella caritas che sta all'origine della nostra stessa vita e continua a offrirci la sua forza straordinaria.

***

Quella bussola nel caos della politica e dell'economia

di Andrea Olivero

Più la rileggo e rifletto sull'ultima enciclica di Benedetto XVI, più mi rendo conto di avere davanti un testo veramente innovativo, "un prontuario sociale cristiano per il XXI secolo" (Bartolomeo Sorge), una bussola per orientarci sui temi della politica, dell'economia, del lavoro e della tecnica, ossia della questione sociale di ieri che si è trasformata nella questione antropologica di oggi. Per realizzare questa missione di verità, è necessario innanzitutto compiere una svolta culturale per dare vita a un "nuovo pensiero", a una nuova mentalità, ad una metànoia, come dice il Vangelo, poiché senza tale discontinuità tutto resterebbe immutato. Abbiamo dunque bisogno di un nuovo pensiero che vada oltre l'individualismo moderno e si apra a una antropologia della relazione e dell'interdipendenza. Questa "mancanza di pensiero" che era già stata denunciata più di quarant'anni fa da Paolo vi nella Populorum progressio (85) è diventata oggi, come dice Benedet- to XVI, "mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli" (Caritas in veritate, 19).
Questa enciclica mostra un coraggio insolito e chiama le cose per nome, introducendo categorie di pensiero non abituali nel linguaggio politico. La parola fraternità, ad esempio, ricorre 39 volte nel testo, in cui si aggiunge che la giustizia è la misura minima della carità, ma che quest'ultima la supera e la completa con la logica del dono, della gratuità e del perdono. È attorno a questa concezione più ampia e più dinamica che viene visto e approfondito l'insieme dei fenomeni connessi allo sviluppo, al lavoro, alla globalizzazione, alla crisi economica, all'ambiente.
Proprio perché la carità è "la principale forza propulsiva per lo sviluppo di ogni persona e dell'umanità", è giusto evitare quelli che il Papa chiama "sviamenti e svuotamenti di senso a cui la carità è andata e va incontro, con il conseguente rischio di fraintenderla" (2). C'è un sentimentalismo, ad esempio, che la svuota dall'interno, "preda delle emozioni e delle opzioni contingenti dei soggetti".
"La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli" (19); proprio la fraternità è allora il criterio decisivo, capace di dare il giusto risalto anche a quei criteri dell'agire morale che vengono presentati al termine dell'enciclica, come il principio di sussidiarietà, di solidarietà e di reciprocità, strettamente collegati con la giustizia e il bene comune (57-58). La ragione, da sola, è certamente in grado di cogliere l'uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità (19).
Sul rinnovamento della politica vorrei fare ancora un'osservazione e richiamare l'invito del presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, ai "cattolici impegnati in politica ad essere sempre coerenti con la fede che include ed eleva ogni istanza e valore veramente umani". L'essere fratelli esprime un legame costitutivo, che "precede" la nostra libera decisione di agire in modo solidale. In altre parole, si può dire che la fraternità (che riceviamo da Dio) fonda la vera solidarietà.
Aprire le porte della politica e dell'economia al principio di fraternità significa allora promuovere finalmente la civilizzazione della politica e dell'economia, farla finita con lo schema ideologico amico-nemico e con il clima di continua delegittimazione che è agli antipodi del bene comune.
Nella Caritas in veritate la fraternità viene inoltre tradotta laicamente nella cultura del dono che si collega all'antropologia della relazione, al tema della condivisione, al gesto dello "spezzare il pane", in una parola, alla tradizione francescana dell'economia civile. "L'essere umano - afferma il Papa - è fatto per il dono, che ne esprime e attua la dimensione di trascendenza" (34).
Benedetto XVI vuole che la logica del dono entri "nel" mercato e dice un secco "no" al mito dell'efficienza che discrimina le persone e premia i più forti; è una prospettiva che non solo scardina la tradizionale visione dell'economia capitalistica, ma allarga anche le responsabilità della società civile.
Nell'enciclica vengono elogiate le attività non profit, anche al di là del cosiddetto terzo settore, il commercio equo e solidale, le attività mutualistiche e sociali, il microcredito e la cosiddetta economia civile e di comunione che sono apparse negli ultimi decenni e che non trovano spazio nel mercato tradizionale. Purtroppo queste attività non vengano adeguatamente favorite dal sistema fiscale, giuridico, troppo legato alla logica del profitto. Non si tratta soltanto di creare settori o segmenti etici dell'economia e della finanza, ma - dice il Papa - "l'intera economia e l'intera finanza siano etiche e lo siano non per un'etichettatura dall'esterno, ma per il rispetto di esigenze intrinseche alla loro stessa natura" (45). Il tema del "lavoro decente" è particolarmente caro alle Acli poiché da un decennio lo abbiamo assunto, in seguito alla raccomandazione che Giovanni Paolo II fece nel Giubileo dei lavoratori a Roma nel 2000. Qualcuno ricorderà che su questo stesso tema della coalizione mondiale per il lavoro dignitoso le Acli hanno anche organizzato un Forum internazionale con la partecipazione di tutte le organizzazioni cristiane dei lavoratori in ogni parte del mondo.
Il Papa elogia lo sviluppo - "l'uomo è costitutivamente proteso verso l'"essere di più"" (14) - ma "senza la prospettiva di una vita eterna", lo sviluppo "rimane privo di respiro. Chiuso dentro la storia, è esposto al rischio di ridursi al solo incremento dell'avere".

(©L'Osservatore Romano - 8-9 febbraio 2010)

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