sabato 6 marzo 2010

Il problema della formazione dei preti. Coro di Ratisbona, Valli: a nessuno è lecito cercare surrettiziamente di coinvolgere il Pontefice


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Aldo Maria Valli

È difficile dire se il problema, come sostiene con grande sicurezza Hans Küng, sia il celibato. La questione è delicata e controversa.
Di certo, comunque, il dramma degli abusi commessi da sacerdoti deve indurre la Chiesa a un profondo ripensamento circa la formazione dei preti nei seminari. L’aspetto dell’affettività non può essere trascurato come non pertinente. In quanto uomo, il prete non è un essere anaffettivo. E il problema si pone fin dall’inizio, fin dai seminari minori frequentati da bambini e ragazzi di dieci, dodici anni. Occorre interrogarsi con coraggio e sincerità sulla relazione tra pedofilia e repressione della sessualità e dell’affettività. Occorre chiedersi chi sia il sacerdote: un funzionario di Dio, secondo la definizione di Drewermann, o un uomo completo? Proprio dal teologo e psicanalista tedesco arrivano sollecitazioni che la Chiesa non può più fingere di ignorare. Chi sono i candidati al sacerdozio? Chi approda nei seminari? Che cosa c’è dietro una vocazione? In Funzionari di Dio Drewermann (che il Vaticano ha sospeso dall’insegnamento) ha messo in chiaro che spesso ci sono personalità deboli in cerca di sicurezza, ci sono conflitti sessuali e parentali irrisolti, vere e proprie nevrosi, nodi psicologici assai intricati, di fronte ai quali la Chiesa agisce senza preparazione e spesso senza consapevolezza.
Ma se fa così, come può continuare a proclamarsi «esperta in umanità»? «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene».
L’esortazione di san Paolo, ripresa da Giovanni Paolo II, è più attuale che mai. Ma come fare il bene se non si riconosce la realtà per quella che è, se ci si rifugia in un mondo ideale e immaginario? Su questi temi cruciali il confronto fra cristiani di diverse confessioni rischia di ridursi a una battaglia per stabilire chi sia, fra tutti, il prete più stressato: il cattolico, il protestante o l’ortodosso? Ma che cosa si può costruire di valido in questo modo? L’arcivescovo Jean-Louis Bruguès, segretario della Congregazione per l’educazione cattolica, ha detto all’Osservatore romano che al termine dell’anno sacerdotale, nel prossimo giugno, il Vaticano diffonderà un testo “incisivo” sulla formazione dei seminaristi. Anche se una commissione è al lavoro, monsignor Bruguès ha già spiegato qual è il messaggio che si vorrà lanciare: «Siete stati scelti, è un onore, siate felici di essere sacerdoti».
Benissimo. Ma la felicità è qualcosa da proclamare o è un processo? Già nel modo di esprimersi la Chiesa dovrebbe abituarsi a fare i conti con la realtà.
Proprio in occasione dell’anno sacerdotale il modello proposto ai preti è stato quello di un grande santo come Giovanni Maria Vianney, vissuto centocinquant’anni fa.
È una proposta di altissima spiritualità, ma può bastare? Può dirsi adeguata, da sola, ai nostri tempi? E come evitare, in questo contesto, una riflessione su quelle che Benedetto XVI definisce giustamente «situazioni mai abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa a soffrire per l’infedeltà di alcuni suoi ministri»?
Lo scandalo che in queste ore tocca la Chiesa di Ratisbona e il coro della cattedrale (ma in nessun modo, occorre dirlo, il fratello del papa) è ancora tutto da chiarire e sembra che riguardi casi piuttosto lontani nel tempo.
Se da un lato occorre dire con forza che non è più tempo di coperture, insabbiamenti e omertà, deve essere altrettanto chiaro che a nessuno è lecito cercare surrettiziamente di coinvolgere il pontefice.
Il presidente dei vescovi tedeschi, Robert Zollitsch, di fronte ai casi di abusi commessi da sacerdoti ha dichiarato che per prevenire tutto ciò occorre una formazione adeguata nei seminari. È la via giusta, ma anche i vescovi hanno bisogno di formazione in proposito.
Formazione su come essere veramente padri e testimoni, e non soltanto superiori e burocrati.
Proprio Zollitsch fra pochi giorni, il 12 marzo, sarà ricevuto da Benedetto XVI in Vaticano per informare direttamente il papa.
È lo stesso metodo che Benedetto XVI ha utilizzato con i vescovi irlandesi. Ratzinger di certo non sta nascondendo la testa nella sabbia.

© Copyright Europa, 6 marzo 2010 consultabile online anche qui.

1 commento:

Maria R. ha detto...

Ovviamente d'accordo su quanto detto da Valli in merito al Papa ed a suo fratello (ma siamo sicuri che sia proprio il Valli che conosciamo?????), ma le riflessioni su affettività, completezza dell'uomo...mi lasciano un pò perplesse. Ogni persona è completa ed ha una sfera affettiva. Lo sono i padri di famiglia, gli insegnanti, il personale ata nelle scuole, i mariti...e quindi non è questione di "sessualità repressa". Le cause vanno cercate altrove, sicuramente anche con l'aiuto degli -psi, ma non tanto o non solo connesse al celibato. Se no tutti i celibi e le nubili sarebbero pedofili, a prescindere dallo stato (religioso, laicale etc etc). E consideriamo anche che, non tutti i religiosi che non riescono a tenere a freno certi istinti cadono nella pedofilia. Insomma, per me le due cose vanno distinte, altrimenti si rischia di fare di tutta un'erba un fascio. Cmq apprezzo Valli, che in due giorni sta dicendo sul Papa cose che non mi aspettavo da lui ed in maniera chiarissima.