venerdì 5 marzo 2010

In questo panorama sconfortante Benedetto XVI si staglia ogni giorno di più come l’unico punto di riferimento credibile (Valli). Da incorniciare!


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Traditore e gentiluomo

Aldo Maria Valli

Ricordo che anni fa, quando incontrai un alto esponente della curia vaticana, l’eminentissimo mi confidò con un sospiro quanto gli costasse dover firmare ogni giorno diplomi e onorificenze di vario genere.
«Ma che ci posso fare? Le cose vanno così…».
Il cardinale era evidentemente contrario a quell’andazzo, ma il suo fatalismo rivelava che pure lui, nonostante la posizione di comando, non ci si poteva opporre.
Avevo rimosso l’episodio, ma mi è tornato in mente quando sono uscite le notizie circa il “gentiluomo” Balducci e i suoi traffici.
Sull’annuario pontificio si legge che quella di gentiluomo di sua santità è una dignità che viene attribuita «a persone che si distinguono per prestigio personale e che hanno acquisito particolari benemerenze verso la Santa sede».
Non dubitiamo che tra loro ci siano autentici gentiluomini, ma la formula è davvero troppo generica per non far nascere domande e perplessità. Come viene misurato il prestigio personale, e quali sono queste benemerenze? Si intravede qui una zona grigia rispetto alla quale è impossibile reprimere i sospetti. Come avrebbe detto Totò, siamo uomini di mondo perché abbiamo fatto il militare a Cuneo, e quindi sappiamo che un’istituzione come il Vaticano vive anche di favori, conoscenze altolocate, amicizie che contano, lasciti, donazioni, e molto spesso sono proprio queste le benemerenze che portano poi a ottenere titoli, medaglie e nastrini. Tuttavia non riusciamo a reprimere una domanda: ma che c’entra tutto questo con il Vangelo?
Benedetto XVI, che in questo panorama sconfortante si staglia ogni giorno di più come l’unico punto di riferimento credibile, già cinque anni fa, prima di diventare papa, aveva lanciato un famoso grido di dolore denunciando la “sporcizia” che c’è all’interno della Chiesa.
E in seguito non si è mai tirato indietro quando si è trattato di denunciare i peccati e i reati commessi da uomini di Chiesa, come si è ben visto di recente nel caso dei preti irlandesi accusati di molestie e abusi. È significativo che Ratzinger, nella lettera di indizione dell’anno sacerdotale, abbia citato quel passo esemplare della Evangelii nuntiandi di Paolo VI, là dove Montini dice che «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni».
Il dovere della testimonianza è sempre stato decisivo per la Chiesa, e lo è a maggior ragione nei tempi nostri, che sono tempi di comunicazione.
Benedetto XVI insiste sulla questione degli stili di vita, e lo fa perché è consapevole che il messaggio evangelico passa prima di tutto attraverso di essi, molto più di quanto non passi attraverso le prediche e i documenti.
Di fronte a casi che provocano sconcerto e suscitano scandalo, la Chiesa deve avere il coraggio di operare con severità e trasparenza colpendo i responsabili e facendo davvero piazza pulita di legami, compromessi e orpelli che rappresentano altrettante enormi e pesantissime pietre d’intralcio sulla via della testimonianza evangelica.
Se la sporcizia c’è, com’è ormai assodato, ci sia anche la ramazza in grado di fare pulizia.
Non è un problema di immagine.
È un problema di conversione. Altrimenti chiunque avrà sempre di più il diritto di chiedersi, magari in tono beffardo, da che pulpito viene la predica.
Benedetto XVI, che ha vissuto trent’anni della propria vita fra le mura vaticane e conosce la curia meglio di chiunque altro, in un’intervista del 1985 confidò che stando a Roma aveva a poco a poco imparato «l’arte del soprassedere», qualcosa di ben poco tedesco ma di molto utile, spiegò, perché permette alle situazioni di decantarsi, alle polemiche di sopirsi, alle voci di placarsi. C’è in questo atteggiamento una saggezza curiale che sicuramente avrà dato frutti lungo i secoli, ma che oggi va messa decisamente da parte perché incompatibile con la società della comunicazione e con quel bisogno di testimonianza di cui lo stesso pontefice si è fatto interprete con tanta efficacia.
In ballo non ci sono soltanto le malefatte di un “gentiluomo” e di un corista che evidentemente non aveva il gregoriano come unico hobby.
C’è la credibilità della Chiesa. Non è davvero poco. Si abbia allora il coraggio di prendere spunto da queste tristi vicende per una riforma che, usando sempre un’espressione pregnante del cardinale Ratzinger, dovrebbe consistere in una ablatio, cioè un togliere tutto ciò che offusca l’immagine di Cristo.
Togliere onorificenze poco chiare, togliere legami poco trasparenti, togliere carrieristi ambiziosi, togliere servitori poco o per nulla fedeli.
È questa una riforma che dovrebbe essere perenne ma che in certi frangenti ha bisogno anche di gesti e decisioni esemplari.

© Copyright Europa, 5 marzo 2010 consultabile online anche qui.

Sottoscrivo ed approvo dalla prima all'ultima parola! Aggiungo anche che oggi sono possibili questi discorsi proprio grazie all'esempio ed alla trasparenza di Benedetto XVI che ci mostra quotidianamente la bellezza della fede cristiana.
R.

2 commenti:

Maria R. ha detto...

Valli ha parlato chiaramente...ha espresso le domande che si fanno in molti, in questi giorni, o semplicemente le constatazioni che girano nelle case, pensando alle innegabili commistioni tra favoritisimi e onorificenze. Personalmente, sono convinta che laddove il Papa riesca a essere pienamente al corrente delle cose, abbia già la ramazza in mano. E credo che dopo la vicenda Boffo, oltre a quella, tenga pure un bell'interfono gigante;)

Buona giornata a tutti :)

sam ha detto...

"Benedetto XVI, .. in un’intervista del 1985 confidò che stando a Roma aveva a poco a poco imparato «l’arte del soprassedere», qualcosa di ben poco tedesco ma di molto utile, spiegò, perché permette alle situazioni di decantarsi, alle polemiche di sopirsi, alle voci di placarsi. C’è in questo atteggiamento una saggezza curiale che sicuramente avrà dato frutti lungo i secoli, ma che oggi va messa decisamente da parte perché incompatibile con la società della comunicazione e con quel bisogno di testimonianza di cui lo stesso pontefice si è fatto interprete con tanta efficacia."

A me è piaciuta molto questa considerazone di Valli.
La tecnologia della comunicazione ha radicalmente cambiato il mondo.
La Chiesa dovrà trovare una via, muovendosi all'interno delle tradizioni e del Vangelo, per stare al mondo senza essere del mondo anche nei tempi moderni, in cui anche la virtù della prudenza deve esser capace di pigiare sull'acceleratore e restare in strada.

Ma prima di tutto, prima di qualsiasi altra cosa, c'è bisogno di aiutare il Papa e la Madonna a diffondere sempre e ovunque in ogni luogo questo concetto evangelico primario e sempre valido, che Valli ha sintetizzato perfettamente:

Non è un problema di immagine.
È un problema di conversione.