martedì 23 marzo 2010

La bellezza del sacerdozio in un tempo di sofferenza: sulla lettera del Papa ai fedeli irlandesi, i commenti di mons. Semeraro e del prof. Andreoli


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La bellezza del sacerdozio in un tempo di sofferenza: sulla lettera del Papa ai fedeli irlandesi, i commenti di mons. Semeraro e del prof. Andreoli

In questo periodo forte della Quaresima, la Lettera di Benedetto XVI ai fedeli d’Irlanda sullo scandalo degli abusi sessuali suscita profonde riflessioni nella Chiesa, ben al di là dei confini irlandesi. Un documento definito, da più parti, senza precedenti che invita tutti ad un cammino di rinnovamento. Sullo stile e il contenuto della Lettera del Papa, Federico Piana ha intervistato il vescovo di Albano, mons. Marcello Semeraro:

R. – Sono parole molto gravi e molto ponderate, quelle che il Santo Padre ha usato nella sua Lettera, e credo che esprimano e lascino anche a noi la possibilità di entrare nel suo animo. Vorrei ricordare il titolo della sua recente Lettera enciclica, “Caritas in veritate”: credo che a questo tema così doloroso il Papa si avvicini e si sia avvicinato esattamente con la carità e nella verità. Nella verità, perché egli considera la gravità della situazione e non si tira indietro nel tentare, nel fare, nel proporre un’analisi delle cause che hanno potuto a breve e a lungo termine indurre questa situazione così dolorosa; dall’altra, il Papa con somma carità esprime il proposito che tutti noi dobbiamo accogliere quando egli propone un cammino e lo sintetizza in questi tre momenti: la guarigione, il rinnovamento e la riparazione.

D. – C’è un passo molto bello, mons. Semeraro, che al punto 4 dice questo: “Negli ultimi decenni, tuttavia, la Chiesa nel vostro Paese ha dovuto confrontarsi con nuove e gravi sfide scaturite dalla rapida trasformazione e secolarizzazione della società irlandese”. Il Papa cerca in qualche modo, mons. Semeraro, di collocare questi abusi che sono avvenuti nella Chiesa?

R. – Il Papa, certo, fa riferimento ai processi di rapida trasformazione, alla secolarizzazione e quindi anche alla caduta di alcuni pilastri fondamentali che sono il riferimento ai Sacramenti – sia al Sacramento della Penitenza, sia a quello dell’Eucaristia. Però, insieme a questa visione un po’ generale sulla caduta della vita cristiana, il Papa indica un’altra serie di cause, che tocca più direttamente chi ha la responsabilità della guida pastorale nella comunità cristiana. Anzitutto, di procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa: questo è un punto fondamentale, valido ovviamente non soltanto in Irlanda ma anche da noi e dappertutto!

D. – Mons. Semeraro, come si fa a distinguere? Non c’è possibilità, alla fine qualcosa esce sempre, qualche maglia larga c’è sempre …

R. – Nella formazione dei futuri sacerdoti vanno evitare scorciatoie, e bisogna rispettare i tempi. Il seminario significa convivenza, convivenza di giovani, futuri presbiteri, insieme con i loro educatori, con i sacerdoti, con i professori. E la convivenza prolungata per molto tempo non può non aprire gli occhi sulle realtà da promuovere e quelle da correggere o quelle su cui intervenire. E in terzo luogo, chiamati al discernimento dei futuri sacerdoti non sono soltanto gli educatori del seminario ma occorre anche una partecipazione all’interno delle comunità parrocchiali da cui vengono; occorre veramente un discernimento oculato.

Sulla Lettera del Papa e il ruolo dei sacerdoti nella società di oggi, Alessandro Gisotti ha intervistato lo psichiatra Vittorino Andreoli, autore del libro “Preti. Viaggio fra gli uomini del sacro”:

R. – A me pare che i due punti fondamentali siano stati la condanna del peccato e l’amore per il peccatore. Perché, vede, dal mio punto di vista – io sono psichiatra – io penso alle vittime e al dolore delle vittime e quindi alla condanna di questo comportamento; ma non posso dimenticare, però, che la pedofilia è considerata dall’Organizzazione mondiale della sanità una malattia. Allora, se è così, bisogna anche pensare di curare le persone che sono cadute, responsabilmente e quindi, certamente con tutto l’iter della giustizia, sono comunque dei malati!

D. – Lei ha scritto un libro sui sacerdoti di oggi: quanto i laici, i fedeli comuni, possono aiutare i propri parroci a superare un momento doloroso?

R. – Bisogna dire che il prete è un personaggio della nostra società, è una figura che dedica la propria vita ad una missione che sembra folle, rispetto agli andamenti di questa società tesa al successo, tesa al denaro … Ci possono essere dei disturbi, delle malattie, delle difficoltà per poter realizzare questa missione. E io credo che sia necessario proprio stabilire una relazione con il proprio sacerdote: queste figure del sacro devono anche essere aiutate, perché il problema della solitudine, il problema – qualche volta – della depressione … a me pare che l’aiuto debba essere in qualche modo reciproco.

D. – La stragrande maggioranza dei casi di pedofilia, sappiamo, avvengono in famiglia. Eppure, c’è chi in questi giorni si è arrischiato ad associare quasi automaticamente celibato sacerdotale e pedofilia, come se il problema fosse il celibato …

R. – Guardi, questo non c’entra assolutamente nulla! Se lei pensa che la pedofilia è in gran parte legato a persone che sono sposate e che quindi, addirittura, hanno una vita sessuale con una moglie, è quindi da considerare una cosa staccata, è proprio una patologia! E voler legare i due fenomeni significa non aver capito da una parte il disturbo pedofilico, e dall’altra non aver dato il senso straordinario che invece ha il concetto di castità che è, appunto, una modalità per darsi a tutti e non legarsi ad una persona singolarmente. Insomma, il rinunciare alla vita sessuale, ad avere una famiglia vuol dire essere disposti ad essere padri di tutti!

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