sabato 20 marzo 2010
La lettera agli Irlandesi è stata scritta per non nascondere il male compiuto e soprattutto per guardare avanti (Vian)
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Davanti a Dio e davanti agli uomini
Di fronte alla situazione grave e vergognosa che la Chiesa in Irlanda sta vivendo ormai da troppi anni Benedetto XVI ha preso la decisione di indirizzare ai cattolici del Paese una lettera che per il suo coraggio è senza precedenti: un documento evangelico per rispondere a un inaudito oscuramento della luce del Vangelo che il Papa ha voluto pubblicare dopo avere incontrato i vescovi irlandesi convocati a Roma. Dichiarando la sua profonda preoccupazione, Benedetto XVI afferma di condividere il turbamento, lo sgomento e il senso di tradimento provati da molti cattolici per atti peccaminosi e criminali e per il modo in cui questi sono stati affrontati dalle autorità della Chiesa nel Paese.
L'amarezza e la severità del testo papale evocano la lettera, perduta, che l'apostolo Paolo ricorda di avere scritto ai Corinzi "col cuore angosciato e tra molte lacrime", non per aumentare la tristezza della loro comunità ma per sostenerla con il suo amore.
Così il documento indirizzato ai cattolici d'Irlanda è stato scritto per non nascondere il male compiuto - davanti a Dio e davanti agli uomini - e soprattutto per guardare avanti. Innanzi tutto, perché l'orrenda colpa degli abusi perpetrati sui minori sia riparata secondo la giustizia e secondo il Vangelo.
Per fare questo, i cattolici irlandesi devono ripensare alla loro grande e spesso eroica storia cristiana, della quale negli ultimi decenni la Chiesa nel Paese non ha saputo essere degna, trascurando il patrimonio della tradizione e fraintendendo il rinnovamento voluto dal Vaticano ii.
In particolare, non si è osservato il diritto canonico, che è al servizio del Vangelo e della persona umana, con conseguenze disastrose sull'ammissione al sacerdozio e sulla formazione degli ecclesiastici, coprendo infine le mancanze per evitare scandali.
La diagnosi lucida e severa della lettera è perfettamente coerente con l'operato quasi trentennale del cardinale Ratzinger, riassunto dalla sua esclamazione durante la Via crucis il 25 marzo 2005, pochi giorni prima della morte di Giovanni Paolo ii: "Quanta sporcizia c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!".
Ed è coerente con quanto da Papa ha fatto sin dal giorno dell'elezione, anche per l'Irlanda: già il 28 ottobre 2006 esortò i vescovi del Paese a "stabilire la verità di ciò che è accaduto in passato, prendere tutte le misure atte ad evitare che si ripeta in futuro, assicurare che i principi di giustizia vengano pienamente rispettati e, soprattutto, guarire le vittime e tutti coloro che sono colpiti da questi crimini abnormi".
A chi ha sofferto gli abusi il Papa rivolge "con umiltà" parole chiare e toccanti, dichiarando ancora una volta vergogna e rimorso, cosciente che per alcune vittime è ora "difficile anche entrare in una chiesa" ma assicurando loro che potranno essere guarite proprio dalle ferite di Cristo. E ai giovani raccomanda di tenere fissi gli occhi su Gesù, "perché lui non tradirà mai la vostra fiducia".
Fiducia tradita invece dai colpevoli, che dovranno risponderne a Dio e ai tribunali. A essi, e ai vescovi che hanno mancato, la lettera riserva espressioni molto severe per contribuire a un processo, che sarà lungo, di penitenza e guarigione. Con lo sguardo rivolto all'unico Signore che può far nuove tutte le cose.
g. m. v.
(©L'Osservatore Romano - 20-21 marzo 2010)
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