sabato 15 maggio 2010

Il coraggio del Papa nel commento di Domenico Rosati


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Domenico Rosati

Quel che ha detto Benedetto XVI volando da Roma a Lisbona dissolve gran parte dell'armamentario delle iniziative «a difesa e a sostegno» che erano state architettate a ridosso delle vicende dei preti pedofili.
«Oggi vediamo in modo terrificante - sono le sue parole - che la persecuzione della Chiesa viene dall'interno, dai peccati che ci sono dentro la Chiesa stessa, e non dai nemici fuori». Non è la negazione dell'esistenza di focolai di ostilità esterna, amplificata dai media non favorevoli o prevenuti.
Ma l'attenzione è portata sulla vita stessa della comunità dei fedeli, sul modo in cui dentro i sacri recinti s'intrecciano i carismi, le relazioni ed anche i difetti (nel caso, gravissimi).
Pare con evidenza la conferma della volontà di portare a fondo l'impresa di purificazione e di trasparenza così come era delineata nella «lettera agli irlandesi», che del resto si è già fatta valere in situazioni tipiche con denunce esplicite, accoglimento di dimissioni, gesti di affettuoso rincrescimento verso le innocenti vittime degli abusi. In questo scenario si va realizzando a Roma, per domenica prossima, l'idea di una grande preghiera comune con il Papa, con la convocazione dell'universo delle associazioni e dei movimenti, le tante "tribù" che popolano il mondo dei credenti. Scontati un plebiscito di adesioni, un coro di consensi.
Ma il tutto si situa, ormai, in un clima diverso da quello immaginato quando, all'inizio, la reazione dei fedeli era stata indirizzata verso l'insidia del nemico esteriore, le sue manovre, i suoi complotti. «Padre Santo, è con lei il popolo di Dio, che non si lascia impressionare dal chiacchiericcio del momento, dalle prove che talora vengono a colpire la comunità dei credenti», aveva rassicurato il Cardinale Decano nel suo inusitato indirizzo pasquale di solidarietà al Papa. Nel frattempo il portavoce padre Lombardi ha fatto sapere che il pontefice «non mendica e non organizza manifestazioni di difesa e sostegno per puntellare la sua serenità spirituale nella fede e nella sua autorità».
Se certe espressioni hanno un senso, in esse non v'è spazio per quelle letture, proprie dell'area degli "atei devoti", volte per un verso a riattizzare una"guerra tra il laicismo e il cristianesimo" e per un altro a lasciar immaginare che per salvare il cristianesimo bisognerebbe evitare di smaltire, magari continuando ad occultarlo, il carico di sporcizia che è venuto alla luce. L'attenzione portata in modo così drammatico sul male interno alla Chiesa sbarra inoltre la strada alle esortazioni alla prudenza che si colgono nei mormorii di curia e che, nella sostanza, rimproverano al Papa un eccesso di asprezza (e di pubblicità) nella trattazione del caso.
La stessa sanzione (il "commissariamento") inflitta ai Legionari di Cristo è oggetto di sommesse critiche perché, si sussurra, malgrado le infamie accertate del Fondatore, si tratterebbe pur sempre di un'entità feconda di vocazioni sacerdotali e dunque produttrice di bene per la Chiesa.
Al contrario, l'opzione per la purificazione e per la trasparenza lascerebbe intendere che si mira ad un discernimento selettivo di finalità, di metodi e di gestione non solo in quel particolare movimento ma i tutte le aggregazioni che sono proliferate nell'esperienza cattolica e che, al netto delle benemerenze, tendono spesso, come è noto, ad identificarsi e ad amministrarsi come entità parallele. Pregare dunque in Piazza San Pietro, naturalmente «secondo le intenzioni del Sommo Pontefice», come recita la formula canonica, è cosa buona e giusta. Ma se le intenzioni sono quelle descritte si dovrà pur invocare il dono della forza necessaria per raddrizzare qualche sentiero e per mutare più di un'abitudine. Ne ha fatto un aspro catalogo esemplificativo Alberto Melloni: «Brama di denaro, intrinsechezza col potere, passione per i riflettori, vanità degli intellettuali, senso d'impunità di ogni piccolo potente, omologazione alla mondanità». Pregare insomma perché sia compiutamente compreso ed esteso il senso profetico della posizione assunta da Benedetto XVI, come impronta di questa fase del suo pontificato e della vita stessa della comunità cattolica. Fu in occasione del grande Giubileo del 2000 che tutti compresero, anche quando non condivisero, quanto grande fosse il valore simbolico insito nel fatto che un Pontefice romano chiedesse perdono a quanti, nel tempo, avevano subito ingiustizie od offese a causa di comportamenti dei seguaci di Cristo. Allora furono sconfitti coloro che, partendo dalla visione di una Chiesa come "società perfetta", inorridivano di fronte all'idea che essa potesse scusarsi di alcunché, fosse pure per episodi che erano acqua passata. Ma stavolta la profezia si svolge nel pieno del tempo presente, tra persone vive, sofferenze attuali, tracce sanguinose e durevoli nei corpi e nelle anime. È quanto basta, se si vuole, per rendersi conto che non è solo un pur coraggioso atto di governo ecclesiastico: si è in presenza del nucleo genetico, da sviluppare compiutamente, di un modo di vivere e comunicare la verità del Vangelo mediante un esercizio, nella Chiesa, di una riforma permanente. Il Concilio l'aveva indicata come via maestra; una pedagogia dei gesti profetici può renderla credibile persino al distratto mondo di oggi.

© Copyright Il Mattino, 12 maggio 2010

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