martedì 4 maggio 2010

Il Papa davanti al volto del Mistero (Corradi)


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Il Papa davanti al volto del Mistero
Alla «sorgente» della Sindone

DAL NOSTRO INVIATO A TORINO

MARINA CORRADI

Le porte del Duomo sono spalancate. Da fuori entra il fruscio della pioggia e l’eco, dai maxischermi, dei canti dei ragazzi in piazza San Carlo. Ma dentro c’è silenzio. Gli anziani canonici della cattedrale e 180 monache di clausura venute dai monasteri di tutto il Piemonte siedono immobili, aspettando il Papa . Davanti a loro, sull’altare centrale, la Sindone. Gli occhi delle monache fissi su quel telo, sull’impronta di quel corpo martoriato.
Ne contemplano la faccia, il costato, le mani – ritornano al volto. Molte sono anziane, da tutta la vita in clausura: forse, la Sindone non l’hanno mai vista. È denso tanto che pare si possa toccarlo quel silenzio claustrale, mentre si attende il Papa.
Guardi le suore, alcune sembrano avere più di novant’anni; una, in carrozzella, piccola e come prosciugata dal tempo, potrebbe averne anche cento. Guarda la Sindone e ha sulla faccia l’ombra di un sorriso. Come dicesse: «Eccoti», a un amore per tanto tempo atteso e cercato.
Benedetto XVI arriva da piazza San Carlo, ha ancora addosso la festosità dei ragazzi, e negli occhi le loro facce ridenti. Entra e va a inginocchiarsi insieme al cardinale Poletto davanti al crocifisso. Si alza, ora è di fronte alla Sindone. Si inginocchia ancora, solo. Il Duomo è muto, attorno. Cinque lunghi minuti di perfetto silenzio, intonso quanto, prima, quello delle monache. Anche gli occhi del Papa fissi sull’impronta di quel corpo; gli occhi spalancati a guardare, a riconoscere ad una ad una le ferite. È come un faccia a faccia; è un incontro. Infine, il Papa si alza, e si volta verso di noi.
Sono già stato qui una volta, dice, ma questa volta attendevo molto questo momento: «Forse perché il passare degli anni mi rende ancora più sensibile al messaggio di questa straordinaria icona» (già, il passare degli anni, quell’invecchiare che fa vedere ogni cosa più in profondità: lo sanno bene i canonici e le monache qui in Duomo); «e direi soprattutto – aggiunge Benedetto XVI – perché sono qui come successore di Pietro, e porto nel mio cuore tutta la Chiesa, anzi tutta l’umanità ». L’intera Chiesa dunque portata davanti alla Sindone, dal Papa – l’intera Chiesa, e l’umanità tutta, presentata in cinque minuti di silenzio dal successore di Pietro in ginocchio.
Che cosa legge il Papa in quel lino dove l’impronta di un uomo crocifisso è stampata, ma come lievemente, e inspiegabilmente l’immagine si fa più netta nei negativi fotografici? «È un telo sepolcrale, che ha avvolto la salma di un uomo crocifisso, in tutto corrispondente a quanto i Vangeli ci dicono di Gesù», afferma. Ci offre l’immagine «di com’era il suo corpo disteso nella tomba durante quel tempo », aggiunge. E su quel tempo, cronologicamente così breve, un giorno e mezzo, si sofferma e incide la sua meditazione il Papa.
Su quel tempo breve «ma immenso, e infinito». Il giorno in cui «Dio morì nella carne e scese a scuotere il regno degli inferi». Il «giorno del nascondimento»; e pare di avvertire, nella penombra Duomo, la drammaticità di quel lungo istante in cui il creato rimase come in sospeso, in bilico sul nulla, aspettando che il suo Signore tornasse dalla morte: dagli abissi, dal fondo del buio.
La Sindone, icona del Sabato Santo. Benedetto XVI, il Pontefice tedesco che conobbe il nazismo (quali, delle rughe della sua faccia, vengono dai ricordi di quegli anni di adolescenza e di guerra?) sa molto bene quanto il nascondimento di Dio faccia parte della spiritualità contemporanea: «In maniera esistenziale, quasi inconscia, come un vuoto nel cuore ». Sa bene come il Nietzsche che cita, quello che scrisse che Dio è morto, abiti anche in noi, e come l’oscurità del XX secolo ancora e profondamente ci riguardi.
«E tuttavia...». Una delle ultime frasi del Papa inizia così. E tuttavia quel sudario, immagine apparente di pura morte, «ha un aspetto opposto ». Singolarmente, nota il Papa , la Sindone si comporta come un documento fotografico, dotato di un positivo e di un negativo. Nel negativo l’immagine risalta di più. Commenta Benedetto: «Il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini». Spiega il Papa che in una notte breve e infinita Dio ha condiviso il nostro morire e anche il nostro rimanere nella morte. È sceso nella nostra morte, in quel buio che ci atterrisce. Come quando, da bambini, abbiamo paura del buio, e solo la presenza di una persona a- mata ci rassicura. (Quale immagine è più umana e comprensibile di questa? Dio come la madre che da bambini, svegliandoci di notte, spaventati chiamiamo e subito ci è accanto). «Nel regno della morte è risuonata la voce di Dio». La Sindone, passata dentro la notte più profonda, «è al tempo stesso luminosa». Quelli che vengono a venerarla vedono anche luce.
Nella icona «scritta col sangue», immagine di un uomo annientato, i fedeli vedono la vita, e la vittoria sugli inferi attraversati. Paradossale signoria, dice il Papa , quella che promana dal sudario di un morto: «Come una sorgente che mormora nel silenzio», nel silenzio di ogni nostro intimo Sabato Santo. Nel Duomo di Torino, 2 maggio 2010, a lezione dal Papa : come si ascolta il silenzio, davanti a un sudario che fasciò il corpo un uomo martoriato. E cosa c’è davvero, al fondo del buio. (La suora che forse ha cent’anni, in prima fila, ora ha una faccia raggiante, da bambina).
Gli occhi delle monache fissi su quel telo, sull’impronta di quel corpo martoriato
Ne contemplavano il volto, il costato, le mani.
Era denso tanto che si poteva toccare il raccoglimento in attesa del Santo Padre.

© Copyright Avvenire, 4 maggio 2010

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