venerdì 28 maggio 2010

Pedofilia, intervista di Padre Lombardi a Jesus: rigore e rinnovamento (Scaramuzzi)


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Il portavoce vaticano: rigore e rinnovamento

di Iacopo Scaramuzzi

Da mesi è in prima linea.
Padre Federico Lombardi aveva iniziato il suo incarico di direttore della Sala stampa della Santa Sede, nel 2006, precisando subito di non essere il «portavoce del Papa», come era stato Joaquin Navarro Valls con Giovanni Paolo II. Il gesuita intendeva avere un profilo più defilato, un ruolo più da amministratore dell’informazione vaticana che da protagonista della scena mediatica mondiale. La crisi della pedofilia ha stravolto i suoi piani. Volente o nolente, Lombardi si è ritrovato catapultato in una delle maggiori tempeste che abbia mai investito la Chiesa cattolica mondiale. Da protagonista. Ha risposto alle domande dei network internazionali; ha ribattuto alle contestazioni del ruolo presente e passato svolto da papa Ratzinger; ha spiegato, precisato, chiarito. Sempre in prima persona, spesso da solo, arrabbiandosi raramente. E diventando, sempre di più, il volto e la voce del Pontificato. In contatto sempre più stretto con Benedetto XVI e con la squadra della Curia che gestisce giorno per giorno l’emergenza – se non è un’unità di crisi, poco ci manca –, padre Lombardi è divenuto il divulgatore unico e autorizzato della linea di «tolleranza zero» che il Pontefice ha voluto esporre nei confronti dei preti pedofili. In questa intervista, il gesuita non anticipa le modifiche normative che la Santa Sede va elaborando da mesi sulle sanzioni agli abusi sessuali sui minori da parte dei preti, ma fa il punto della situazione sulla crisi che ha più ferito la credibilità della Chiesa e, paradossalmente, ha forse dato forma, più di ogni altro episodio del passato, al pontificato di Joseph Ratzinger.

La Chiesa è sotto attacco? In tutto il periodo nel quale è scoppiato lo scandalo pedofilia, i mass media hanno alimentato il pregiudizio o aiutato la purificazione?

«La comunicazione nel mondo di oggi è varia, ha aspetti positivi e negativi, presenta grandi rischi e grandi potenzialità. Bisogna saper discernere in un panorama che è molto vario e che esprime punti di vista, posizioni, interessi molto differenziati tra di loro. Certamente il fatto che i media siano globalizzati ha portato a un’eco molto grande del tema della pedofilia che, in realtà, presenta differenze da Paese a Paese, responsabilità differenti e differenti tempi in cui si è manifestata. Il rischio è stato che si creasse un clima in cui diventava più difficile affrontare con precisione le diverse situazioni. Ciò non toglie che la Chiesa ha vissuto questa pressione – espressa, a volte, con valutazioni non obiettive o superficiali – come stimolo alla conversione. La Chiesa, come ha detto anche il Papa soprattutto nelle ultime settimane, ha vissuto una forte esperienza di sofferenza e un forte stimolo a rendersi conto dell’urgenza della purificazione e dell’impegno a evitare in tutti i modi che questi errori si ripetano».

Lei ha detto: «Si tratta di riscoprire e riaffermare senso e importanza della sessualità, della castità e delle relazioni affettive nel mondo di oggi». La "rivoluzione sessuale" non deve essere oggetto di demonizzazione, ma di discernimento?

«Ritengo che si debba inserire la problematica della Chiesa in quella più ampia della società. Ci si è concentrati molto sugli abusi sessuali sui minori da parte dei preti. Allarghiamo lo sguardo. Non guardiamo solo ai preti, ma alla gravità degli abusi sui minori in generale. Inoltre, non ci sono solo gli abusi sui minori. Un abuso su una ragazza che ha 17 anni è gravissimo e quando ne ha diciotto non è più grave? Può diventare un alibi per la Chiesa dire che la pedofilia non è solo nella Chiesa, ma può diventare un alibi per gli altri prendersela solo con i preti. Bisogna rendersi conto che, nella società attuale, i rapporti sessuali sono sfidati dal modo in cui le comunicazioni sociali presentano la sessualità, da una visione di libertà e di soggettivismo che non riconosce l’importanza di regole e di norme in questo campo. Poniamoci la domanda di come il sesto comandamento e la morale sessuale si confrontano con questa situazione. Quello della pedofilia nella Chiesa è un punto specifico, forse più grave, ma riguarda l’ordine e il disordine dei rapporti sessuali. Non si tratta solo di dire ai preti "non dovete abusare dei minori di diciotto anni", ma di aiutarli a vivere la propria sessualità in modo maturo, sereno e moralmente responsabile in tante dimensioni, dall’uso degli strumenti della comunicazione al modo in cui entrano in rapporto con gli altri, anche maggiorenni, uomini e donne».

Civiltà cattolica scrive che può essere illusoriamente attratto dal mondo del seminario chi ha una sessualità immatura e malata. C’è chi, ad esempio alcuni vescovi del mondo germanofono, è arrivato a mettere in dubbio l’obbligo del celibato. Come affrontare il problema della formazione dei preti?

«Devo dire che quando mi guardo attorno non vedo, tra gli uomini che incontro fuori dal seminario, tutte persone sessualmente mature! Non nego che ci siano problemi specifici in un mondo principalmente maschile di giovani che vivono insieme. E volerli approfondire e affrontare adeguatamente è giustissimo. Ma non è che tutti i problemi siano solo nel seminario. I problemi, a ogni modo, possono essere affrontati adeguatamente senza togliere il celibato».

Perché in passato non c’era la giusta sensibilità sul problema della pedofilia? Perché papa Wojtyla e il suo entourage non furono in grado di affrontarlo, come dimostrano, ad esempio, i casi di padre Maciel e del cardinale Groër?

«Io ritengo che non si debba guardare solo alla Chiesa o alla Santa Sede. Nella società in generale quello della pedofilia non era un argomento di cui si parlasse in modo tanto esplicito, frequente e chiaro. Non è questione di Wojtyla o della Curia. Giovanni Paolo II era inserito in un mondo nel quale non se ne parlava, non se ne era così consapevoli, non venivano presentate le denunce così frequentemente. Alcuni dei casi riportati in queste ultime settimane negli Stati Uniti erano stati denunciati alla polizia che non aveva fatto nulla... Non è stata solo la Chiesa ad aver affrontato la questione in modo inadeguato. La cultura della riservatezza su questi temi nella Chiesa può avere dei suoi aspetti specifici, ma il problema è stato di cultura generale».

Perché allora, secondo lei, oggi c’è la tendenza concentrarsi così tanto sulla Chiesa?

«La Chiesa ha un suo aspetto specifico perché, presentandosi come un’autorità morale con un insegnamento sulla sessualità particolarmente rigoroso nella società attuale, la contraddizione delle mancanze o dei crimini in questo campo risalta maggiormente. Mi sembra innegabile. Per questo la Chiesa non tende a ributtare le questioni sugli altri. I problemi che in lei diventano più gravi e più moralmente criticabili, però, non sono solo suoi. In questo senso, spero che l’esperienza di particolare sofferenza e impegno che la Chiesa deve mettere per affrontare ed emendare i suoi errori possa essere anche utile ad altri».

Considera superate le critiche rivolte a Ratzinger come arcivescovo di Monaco e cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede? Il caso Hullerman, il caso Murphy, una normativa, quella del 2002, che non impedisce la denuncia alle pubbliche autorità, ma neppure la prescrive...

«A me sembra che una valutazione obiettiva e una conoscenza effettiva del suo ruolo faccia emergere che il Papa ha indicato una linea di rigore morale e di rinnovamento. Mi sembra assolutamente chiaro che egli è un testimone del cammino giusto dell’istituzione della Chiesa per affrontare il problema. Egli ha fatto, anche come prefetto, un suo cammino di consapevolezza e di crescente comprensione del problema, nonché dell’urgenza e dei modi necessari per affrontarlo. Non voglio dire che in passato ci sia stato il comportamento o la soluzione più perfetta in tutti i singoli casi. Siamo su questa terra. Ma mi pare che nessuno degli argomenti portati contro di lui si sia manifestato minimamente tale da mettere in questione la valutazione della sua funzione positiva nella Chiesa».

Paradossalmente, e con tutto il dolore che ha comportato, si può affermare che nessun episodio come la crisi della pedofilia abbia dato forma al governo Ratzinger? Che, tra le dimissioni di vescovi, gli incontri con le vittime e i continui interventi in materia che formano quasi un magistero a parte, sia venuto fuori con maggiore chiarezza che in passato il profilo del suo pontificato?

«Io invito ad avere uno sguardo un po’ più ampio nel tempo. Sono due o tre mesi che i giornali hanno difficoltà a vedere altro che la questione della pedofilia. Ma credo che questo pontificato abbia degli aspetti di continuità e di coerenza di magistero su diversi aspetti. Certo, la problematica della pedofilia, soprattutto in rapporto all’opinione pubblica e alla capacità della Chiesa di riferirsi alla mentalità della società circostante, è una fase importante del pontificato e la personale impostazione del Papa ha dato, con continuità e coerenza, un contributo determinante. Sicuramente questa vicenda costituisce una linea del suo pontificato identificabile come un punto critico importante».

Sono previsti altri incontri del Papa con le vittime? Come valuta le iniziative su questo punto a livello delle Chiese locali?

«Come è noto, iniziative di questo genere non si sono mai annunciate o anticipate. A ogni modo, non mi consta nessun particolare progetto che riguardi il Papa. Benedetto XVI ha dato il suo esempio e credo che questo sia significativo anche per i vescovi ai quali si ponga il problema».

Dopo la crisi pedofilia, come vede la Chiesa e il Vaticano di domani?

«La crisi non è superata. Penso a tutte le persone che si stanno rivolgendo ai centri di ascolto che si sono aperti o che hanno intensificato la loro attività. Sono vicende da affrontare con processi molto lunghi di risanamento e di dialogo. Mi auguro che, come frutto positivo di questa crisi, diventi una realtà l’invito del Papa alla conversione, alla penitenza, al rinnovamento e all’impegno affinché queste cose non avvengano più. E mi auguro che, al di là dello specifico degli abusi sui minori, sia anche un’occasione e uno stimolo ad approfondire le questioni che riguardano la protezione dei bambini e dei giovani nella società, nonché la maturità e la coerenza dei comportamenti sessuali da parte dei preti e di tutte le persone».

http://www.stpauls.it/jesus/1006je/1006je54.htm

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bravo Padre Lombardi !

Antonio

Anonimo ha detto...

Sì, bravo padre Lombardi. Bello leggere un'intervista non banale, lucida e interessante. Forse merito anche delle domande. Avrei approfondito un po' il "che fare ora?"... credo che il recupero di credibilità della Chiesa cattolica dovrebbe passare per una vera rivoluzione, di regole e di prassi.