lunedì 21 giugno 2010

L'omelia del Papa e quella di Sepe nel commento di Michele Esposito


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Il Papa: "Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica. Per essere considerato, dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente; dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi. Un uomo che imposti così la sua vita, un sacerdote che veda in questi termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo se stesso e, paradossalmente, finisce per perdere se stesso" (Monumentale omelia)

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Michele Esposito

ROMA

Duecento chilometri e forse un feeling mai del tutto sbocciato hanno separato, ieri mattina, le parole pronunciate da Benedetto XVI e dal cardinale Crescenzio Sepe in due città, in due chiese, di fronte a due platee diverse.
Omelie pronunciate però quasi in contemporanea, all'indomani della notifica dell'avviso di garanzia all'arcivescovo di Napoli.
E proprio l'inchiesta sulla "cricca" dei grandi appalti ha fatto da sfondo alla dura requisitoria di un pontefice, stanco e visibilmente provato da un carico di responsabilità che derivano da anni passati e che ora tocca a lui addossarsi: Benedetto XVI ha lanciato un monito a tutti quegli ecclesiastici che percorrono la strada del sacerdozio per «soddisfare le proprie ambizioni».
Mentre, nel capoluogo campano, l'ex "papa rosso" celebrava «il grande» Giovanni Paolo II che lo aveva nominato prima regista del Giubileo e poi responsabile del più ricco dicastero vaticano.
Durò un quinquennio, la permanenza di Sepe alla più prestigiosa carica della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, ex Propaganda Fide, dicastero d'Oltretevere dal patrimonio immobiliare di 9 miliardi di euro, disseminati tra le vie più lussuose del centro storico di Roma. Nel 2006, tuttavia, Benedetto XVI decise il trasferimento del porporato a Napoli e chiamò l'indiano Ivan Dias, personaggio lontano dagli intrighi di palazzo, alla direzione della congregazione.
Ratzinger, del resto, fu tra i pochi a tenersi in disparte dall'organizzazione del Giubileo del Duemila.
Tanto da confidare ai giornalisti di essere «tra quelle persone che hanno difficoltà a trovarsi in una struttura celebrativa permanente» e da citare, poi, un giudizio di Giovanni Papini, che paragonò il Giubileo del 1950, ad «una fruttuosa stagione turistica». Adesso, le parole del pontefice e dell'arcivescovo di Napoli sono giunte ai fedeli quasi contemporaneamente, ma su due binari paralleli. Da San Pietro, Benedetto XVI rivolgendosi ai fedeli, all'alto clero e a 14 nuovi preti, ha ammonito: «il sacerdozio non può mai rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale».
Gli ecclesiastici, ha ribadito il pontefice, «aspirando al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere fraintendono alla radice il senso di questo ministero e saranno sempre schiavi di loro stessi e dell'opinione pubblica».
Dalla piccola chiesa di Sant'Onofrio dei Vecchi, intanto, Crescenzio Sepe, nel corso della messa domenicale ricordava ai fedeli «il grido del grande papa» Woytjla. «Non abbiate paurà, nonostante queste correnti contro, quelli che tentano di mortificare la fede, quelli che tentano un pò di emarginarla, di sopprimervi, di oscurare la testimonianza dei cristiani, non abbiate paura», sono state le parole dell'arcivescovo, che poi ha ribadito: «Noi che possediamo il Signore, noi che siamo coerenti con la nostra fede non dobbiamo aver paura». Sullo sfondo, l'applauso dei numerosi presenti.
Ma anche le presunte accuse a Propaganda Fide su una gestione "disinvolta" dei beni missionari che, solo qualche giorno fa, la Santa Sede aveva girato «ai precedenti responsabili».

© Copyright Gazzetta del sud, 21 giugno 2010

Il Papa stava benissimo ma di certo non e' piu' l'ora di fare salti di gioia.
R.

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