lunedì 26 luglio 2010

La grandezza di Pio XII nel diario di Celso Costantini (Filipazzi)


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Nel diario di Celso Costantini

La grandezza di Pio XII

di Antonio Filipazzi

Quando il cardinale Celso Costantini decise di pubblicare le sue annotazioni raccolte negli anni 1938-1947, scelse di intitolarle Ai margini della guerra. È il titolo che fedelmente riporta il volume curato da monsignor Bruno Fabio Pighin ed edito da Marcianum Press (Venezia, 2010, pagine 638, euro 50), a oltre cinquant'anni dalla morte del porporato. L'allora segretario di Propaganda Fide, oggi Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, intendeva così mettere sull'avviso il lettore: egli non si proponeva di fare la storia completa della seconda guerra mondiale, ma solo di riferire, come egli scrive, quanto di essa era "caduto sotto il breve angolo di visuale di uno spettatore posto ai margini del conflitto e fuori da ogni partito". Quando, però, si giunge al termine della lettura dell'opera, viene da domandarsi se Costantini non abbia forse un po' esagerato nella modestia. Infatti, le sue pagine ce lo presentano come un uomo che ha vissuto ben dentro le vicende dell'ultimo conflitto mondiale, dai suoi prodromi al primo dopoguerra.
Certo non ci dà una descrizione completa delle vicende belliche, ma segue attentamente gli eventi, a cominciare da quelli che interessano più direttamente l'Italia. Vive sia in prima persona sia attraverso i suoi innumerevoli contatti le fasi del conflitto e le sue conseguenze nella vita di tante persone. Non sembra un caso che i tragici anni 1943 e 1944 siano quelli che occupano la parte maggiore delle memorie del presule. A testimoniare questa partecipazione agli eventi stanno, ad esempio, il drammatico racconto del bombardamento di Roma il 19 luglio 1943, nel quale si trovò personalmente coinvolto, o il resoconto della sua visita alla villa del Collegio Urbano di Castel Gandolfo bombardata il 10 febbraio 1944, oltre alle frequenti descrizioni della Roma colpita dai bombardamenti, invasa da tanti poveri e sfollati, terrorizzata dai nazifascisti e in lotta contro fame e borsa nera.
Inoltre, il segretario di Propaganda Fide giocò un ruolo non marginale in alcuni snodi storici, come quello del 25 luglio 1943 (nella sua casa si svolse l'incontro fra il sostituto Montini e l'onorevole De Stefani, il quale informò così la Santa Sede sulla seduta del Gran Consiglio che portò alla caduta di Mussolini). Per alcuni mesi, dall'8 febbraio 1944 alla liberazione di Roma, fu suo "caro ospite" Alcide De Gasperi, il quale non è però l'unico personaggio di spicco il cui nome compare nelle pagine del diario. Colpiscono infatti gli innumerevoli contatti con uomini politici, diplomatici, intellettuali e artisti, che sono per Costantini fonte preziosa di informazioni e spunto per analisi e riflessioni sugli eventi della guerra, le sue cause e le prospettive del futuro.
Vivere dal di dentro la storia non significa però solo essere coinvolti o assistere ai fatti, ma, e forse ben di più, saper leggere gli avvenimenti, comprendendo che cosa li ha prodotti e quali conseguenze potranno avere. Il diario di Costantini è soprattutto ricco di una riflessione del genere: per lui comprendere il perché di ciò che accade non è meno importante e interessante che riferirne lo svolgimento. Nel far questo, fra l'altro, egli ricorre spesso a lunghe citazioni di articoli di stampa - compresa "l'Unità!" -, nei quali egli vede rispecchiate la sua analisi e il proprio giudizio.
Soffermandosi sulle cause del conflitto in corso, a più riprese, ritorna sotto la sua penna la critica ai Trattati di Versailles, che posero fine alla prima guerra mondiale e nella cui impostazione dei rapporti fra i popoli egli ravvisa una delle cause della nuova conflagrazione bellica: "Versailles edificò una pace non cristiana, ma ispirata agli egoismi e agli interessi dei vincitori, quindi su fondamenti precari, minati dalle correnti del sottosuolo" (1 novembre 1939); altrove usa espressioni forti e colorite, parlando di "sinedrio di Versailles", di "pietra putrida del Trattato di Versailles", di "pace senza Dio".
Ma è soprattutto il fascismo a essere l'oggetto dell'acuta e spesso amara riflessione del presule friulano. Egli non dimentica certo i meriti, a cominciare dalla Conciliazione ("una delle migliori opere di Mussolini") e riconosce anche una giusta aspirazione a ottenere domini coloniali ("Bisognerà che una nazione di 45 milioni di uomini abbia le necessarie risorse vitali", scrive l'11 febbraio 1941). Tuttavia, prevale la condanna di un movimento politico che "toglieva la libertà e offendeva la dignità umana" e che, invece, secondo il Costantini, avrebbe dovuto "evolversi verso il diritto comune" (10 febbraio 1939), cioè verso la democrazia (lo stesso vale per il comunismo).
Nelle pagine del diario ritornano sovente le critiche alla figura del duce, "un gigante di cartone" (12 aprile 1941), "un falso idolo" (25 luglio 1943), e al suo "assolutismo sciocco e arbitrario" (18 gennaio 1941). Anche nei suoi confronti Costantini sa però trovare aspetti di bene e soprattutto, esprime sentimenti di pietà. Il 25 luglio 1943 scrive del duce: "Lui mi fa pietà! E non si può e non si deve dimenticare il bene che ha fatto". Alla notizia della sua tragica morte, pur ribadendo la condanna per "un mondo di prepotenze, di immoralità, di arbitri", osserva: "Si possono e si devono ricordare anche le cose buone che Mussolini aveva fatto in vent'anni" (29 aprile 1945).
La critica di Costantini si allarga a comprendere la figura di Vittorio Emanuele iii, sovrano "scettico e chiuso, (...) assente" (4 aprile 1943), la classe politica dell'epoca fascista ("Si sente vergogna per la Camera, che non fa altro che applaudire", commenta il 12 giugno 1941), il generale Badoglio, "politicamente un uomo mancato" (11 giugno 1944) e la stessa stampa di regime, "che ha, tutta, un'intonazione falsa" (12 ottobre 1943).
Ma, dopo l'8 settembre 1943, non mancano osservazioni amare sui nuovi partiti politici ("non si pensa che siano i partiti per l'Italia, ma l'Italia per i partiti", commenta il 24 dicembre 1944), su certe frange della Resistenza ("peccato che tra i partigiani, animati da puro patriottismo, si siano intrufolati dei teppisti, che, sotto colore di patriottismo, compiono atti di crudeltà, di rappresaglia, di ruberie", annota il 9 marzo 1944) e sul meccanismo della "nefanda epurazione" ("colpire i colpevoli sì; ma lasciar vivere le persone oneste e capaci, anche se sono state fasciste": è ciò che auspica il 22 marzo 1945).
Le considerazioni del diario si allargano, oltre l'Italia, agli altri attori del conflitto mondiale. Vi è sia un totale ripudio di Hitler, paragonato all'anticristo (10 aprile 1940), "nuovo Gengis Khan, (...) nuovo Tamerlano" (1 novembre 1939) e del nazismo con le sue forze repressive ("i vampiri della Gestapo"), sia il timore per la diffusione del comunismo ("ma guai a noi - scrive il 30 maggio 1945 - se sorgerà un nuovo fascismo con la dittatura: il comunismo!"), che pure viene identificato con l'anticristo (7 maggio 1945). Il giudizio del segretario di Propaganda non risparmia gli stessi Alleati, "implacabili e crudeli" (4 settembre 1943), criticati sia per la loro "strategia-lumaca" (6 dicembre 1943), che ha portato i combattimenti fino alle porte di Roma sia per l'atteggiamento verso l'Italia durante e dopo il conflitto ("continuano a trattare l'Italia come se fosse quella di Mussolini e del re") sia per "l'unione delle democrazie dell'America e dell'Inghilterra con quell'altro dittatore, Stalin" (7 maggio 1945). Si intravede in lui il timore che, chiuso il terribile conflitto che ha insanguinato il mondo, non se ne apprenda l'amara lezione e si instauri un sistema di rapporti che riproponga la situazione creatasi dopo la prima guerra mondiale: paventa "una super-Versailles, che conterrà in sé germi di una nuova rivolta e di una nuova guerra" (2 novembre 1943). È significativo che già nel maggio 1945 egli parli di "guerra fredda", che segue a quella guerreggiata ed è opera degli "spiriti non disarmati". Ritiene necessaria, invece, "una pace fondata sui principi della giustizia e della carità; altrimenti saremo daccapo" (15 agosto 1945).
Su questo sfondo particolarmente oscuro e triste si staglia nelle pagine di questo volume la luminosa figura della Chiesa cattolica, di Papa Pio XII e degli altri suoi pastori: "Sopra la tenebra che si distende sull'Europa brilla la luce inestinguibile della Chiesa" (17 maggio 1940). In essa il presule vede realizzato il contrario dell'odio e della contrapposizione che la guerra in corso enfatizza: dopo aver presieduto il pontificale dell'Epifania al Collegio Urbano, servito da seminaristi di varie nazioni, alcune in guerra fra loro, Costantini esclama: "Miracolo di armonia in questo selvaggio disordine del mondo!" (6 gennaio 1944).
Per lui è soprattutto il Papa con il suo insegnamento (nel diario si citano ampi brani dei discorsi di Pio XII) il punto sicuro di riferimento per una società disorientata e afflitta ("anche i non credenti guardano al Vaticano", annota nel maggio-giugno 1940): Pio XII è "unico custode e vindice della giustizia, della libertà e della pace" (22 luglio 1943), e i suoi discorsi sono una vera summa "anche sociale e politica" (13 maggio 1942). Il Pontefice è più volte paragonato a Gregorio Magno, Consul Dei, è il Defensor Urbis, come il popolo romano - compresa "la bandiera dei comunisti" - lo acclama il 5 giugno 1944.
Sotto la guida del Pontefice, le istituzioni della Santa Sede e della Chiesa - fra le quali anche Propaganda - realizzano una vera fantasia di carità per rispondere ai più disparati bisogni del momento, anche a prezzo dell'incolumità, verso tutti: ebrei, prigionieri di guerra, vittime dei bombardamenti, sfollati, perseguitati politici, giovani e lavoratori razziati dai nazifascisti, militari dell'esercito disciolto. "Quando saranno aperti gli Archivi Vaticani di questi torbidi tempi - scrive Costantini il 29 gennaio 1944 - si potrà constatare la multiforme e sconfinata carità di Pio XII". E a rappresentare gli effetti benefici di una tale multiforme azione di carità si può emblematicamente prendere la pagina quasi poetica del diario, che al 23 aprile 1944 racconta la prima comunione dei figli di un gruppo di infelici sfollati nell'Urbe.
Né meno ammirevole, secondo Costantini, fu l'azione dei vescovi: dal coraggioso monsignor von Galen, il "leone di Münster", ai vescovi olandesi, ai presuli Montalbetti e Bologna caduti sotto i bombardamenti. Nell'appendice al diario il futuro cardinale raccoglie alcune testimonianze sull'attività svolta nei giorni dell'aprile 1945 da Schuster a Milano, Boetto e Siri a Genova, Piazza a Venezia e Nogara a Udine: "I vescovi, intermediari fra i tedeschi e i vincitori, hanno fatto una magnifica opera di salvezza e di pace" (29 aprile 1945). E accanto a essi, viene esaltata pure l'opera dei parroci, dei cappellani militari, dei missionari, di un clero, che, benché esso pure vittima della guerra, fece opere di carità verso tutti.
Costantini fu una personalità poliedrica: pastore e diplomatico, responsabile nella Curia romana e promotore dell'arte sacra. Tutti questi aspetti si colgono come in sottofondo, leggendo il suo diario di guerra, dal quale traspare soprattutto una sua caratteristica: egli è qui l'ecclesiastico animato da grande e sano patriottismo, da un amore sincero, ma non cieco per l'Italia. Costantini, ben consapevole che il suo ufficio e i tempi difficili della guerra gli impongono di "tacere e pregare" (è la sua consegna ai seminaristi di Propaganda il 10 giugno 1940, giorno dell'entrata in guerra dell'Italia), non è per questo meno trepidante e partecipe delle sorti del suo Paese: "Io, come segretario della Propaganda, mi pongo al di sopra dei conflitti, su un piano cristiano, in cui tutti, di qualsiasi nazione, si incontrano e si riconoscono fratelli (...) Però, come persona privata, io rimango cittadino italiano; e questa agonia dell'Italia mi stringe il cuore. Io l'ho amata l'Italia, e ora mi pare di amarla anche di più, perché più sventurata che colpevole" (23 gennaio 1941). Di questo equilibrato amor di patria è riprova in negativo il suo chiaro rifiuto del nazionalismo, che lo guidò già negli anni trascorsi come primo delegato apostolico in Cina, e, in positivo, l'auspicio di una realizzata "internazionalizzazione del Sacro Collegio e della Curia Romana" (25 dicembre 1945), che egli vide con soddisfazione attuarsi, ad esempio, nella creazione cardinalizia voluta da Pio XII nel 1946.
Le pagine di questo diario ci restituiscono l'immagine di una personalità umana, intellettuale e spirituale di grande spessore. "Dice un proverbio cinese: quando il sole è basso, anche gli uomini piccoli fanno l'ombra lunga": così il presule friulano descriveva la società italiana di quegli anni di guerra (12 giugno 1941). Riprendendo l'immagine, si potrebbe dire che l'ombra lunga che egli ha lasciato non si deve solo a dei "tempi di incredibile decadenza", ma alla reale elevatezza della sua figura!
Sappiamo però anche che non basta una tale grandezza a garantire la memoria e lo studio di un personaggio. Occorre che vi sia una terra, quella friulana, una Chiesa, la Diocesi di Con-cordia-Pordenone, e soprattutto delle persone appassionate, che realizzino iniziative come quella di questa pubblicazione. La fortuna postuma di Costantini è di poter godere da alcuni anni tutto ciò e così di essere divenuto oggetto di quell'attenzione e quell'approfondimento che la sua vita, le sue opere e i suoi scritti giustamente meritano.

(©L'Osservatore Romano - 25 luglio 2010)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Il probabile neo-cardinale Mons. Ranijth indice l'Anno Eucaristico da agosto 2010 nell'arcidiocesi di Colombo con ammirevoli istruzioni ai sacerdoti:
1) triduo di digiuno, preghiera e Adorazione eucaristica prima dell'inizio;
2) uso frequente ed intenso del Sacramento della Riconciliazione;
3)partecipazione a una Convention di 3 giorni sulla Sacra Liturgia da parte di tutti i sacerdoti (chi non può deve farsi esentare personalmente dall'Arcivescovo);
4) coinvolgimento delle scuole cattoliche;
5) attenersi alla guida liturgica loro distribuita (Liturgical Guardian) senza mettere in atto idee personali (definite "autoidolatria");
6) eliminazione di tutte le pratiche errate in merito alla celebrazione della SS. Eucaristia, dei sacramenti, della liturgia delle Ore, e nella costruzione e ristrutturazione di chiese;
7) rendere comuni i canti in latino (almeno Kyrie, Gloria, Sanctus e Agnus Dei)
8) il latino deve rimanere la lingua liturgica principale ("In Sri Lanka abbiamo sbagliato ad abbandonarlo")
9) i sacerdoti possono celebrare secondo il Summorum Pontificum (lo stesso Arcivescovo si augura di farlo presto con Messa solenne in Cattedrale)
10) nessun rinnovo architettonico senza autorizzazione
11) particolare attenzione a paramenti e vesti liturgiche

http://www.archdioceseofcolombo.com/news.php?id=1014

Un grande Arcivescovo. Un prossimo grande Cardinale.
Alberto

Anonimo ha detto...

Secondo Golias il più grande oppositore alla celebrazione in rito antico e alla riconciliazione con i lefebvriani sarebbe Mons. Filoni, che dovrebbe però essere dirottato presso l'ONU.
http://www.golias-editions.fr/spip.php?article4366

Alberto