mercoledì 15 settembre 2010

Ratzinger & padre Brown (Andrea Monda)


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Ratzinger & padre Brown

Andrea Monda

Nei suoi Saggi cattolici Graham Greene sostiene che bisognerebbe nominare il cardinale Newman patrono dei romanzieri cattolici, o, meglio dei romanzieri che sono anche cattolici. In effetti la sua clamorosa conversione avvenuta a metà dell’Ottocento ha prodotto un effetto a catena di altre conversioni specie in campo letterario: Hopkins, Chesterton, Waugh, Tolkien, Lewis, Marshall, lo stesso Greene…sono solo alcuni dei nomi tra quelli che si potrebbero citare ad indicare la "valanga Newman".
Benedetto XVI conosce bene non solo Newman ma anche qualche elemento di quella "valanga". Può darsi che non abbia letto i romanzi di Greene, tanto amati da Papa Montini, ma di sicuro ci sono due autori di quella schiera che Ratzinger conosce molto bene: Gilbert Keith Chesterton e Clive Staple Lewis. Quest’ultimo è un caso a parte, perché è l’unico che si è convertito dall’ateismo al cristianesimo ma è rimasto, almeno formalmente, al di fuori del cattolicesimo, eppure è un autore che Ratzinger ha amato e spesso anche citato (in particolare Le lettere di Berlicche e L’abolizione dell’uomo) apprezzandone la capacità di trattare argomenti "alti", seri e profondi con arguzia, leggerezza e humour tipicamente inglesi; ad esempio il 18 novembre del 1998, presentando l’enciclica Fides et Ratio in San Giovanni in Laterano l’allora cardinale Ratzinger esordiva con queste parole: «Permettetemi di cominciare con una citazione presa dalle Lettere di Berlicche del noto scrittore e filosofo inglese C.S. Lewis. Si tratta di un piccolo libro pubblicato per la prima volta nel 1942, che mette in luce i problemi ed i pericoli dell’uomo moderno in modo spiritoso ed ironico», un’altra, ennesima, conferma della falsità dei luoghi comuni e degli stereotipi sul Papa: all’attuale Pontefice romano piace tanto il cristianesimo così come viene declinato oltremanica.
Principali caratteristiche di questa "declinazione": l’accoppiata umorismo-umiltà, e la centralità della gioia. Ratzinger sa che diventare cristiani in fondo vuol dire lasciarsi sorprendere dalla gioia, come illustrato efficacemente dall’autobiografia di Lewis che s’intitola appunto Sorpreso dalla gioia. Ma la gioia ha bisogno dell’umorismo così come l’umorismo ha bisogno della gioia, così si è espresso il Papa in una recente catechesi: «La gioia profonda del cuore è la precondizione del senso dell’umorismo, e così l’umorismo è, in qualche modo, la misura della fede».
Questa consapevolezza il giovane Ratzinger l’ha maturata nel corso degli anni, grazie anche alla lettura di un autore come Chesterton, ad un tempo umorista e apologeta della fede per il quale la gioia è «il gigantesco segreto del cristiano». La dicotomia noia-gioia è per entrambi un nodo centrale come risulta evidente sin dal primo discorso del neoeletto Pontefice: «Chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla, assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande […] non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo».
Fortissima l’eco di Chesterton ad esempio quando ha parlato ai giovani polacchi esortandoli: «Non abbiate paura di essere saggi, cioè non abbiate paura di costruire sulla roccia!». Nel suo capolavoro Ortodossia, Chesterton afferma: «Taluni hanno preso la stupida abitudine di parlare dell’ortodossia come di qualche cosa di pesante, di monotono e di sicuro. Non c’è invece niente di così pericoloso e di così eccitante come l’ortodossia: l’ortodossia è la saggezza e l’essere saggi è più drammatico che l’essere pazzi. […] E’ facile essere pazzi; è facile essere eretici; è sempre facile lasciare che un’epoca si metta alla testa di qualche cosa, difficile è conservare la propria testa».
Ma il Papa arriva anche a citare Chesterton, anche se implicitamente, e lo fa rispondendo ad un’intervista rilasciata ad una televisione tedesca; alla domanda sul ruolo dell’humour nella vita di un Papa, Benedetto XVI ha candidamente affermato: «Io non sono un uomo a cui vengano in mente continuamente barzellette. Ma saper vedere anche l’aspetto divertente della vita e la sua dimensione gioiosa e non prendere tutto così tragicamente, questo lo considero molto importante e direi che è anche necessario per il mio ministero.
Un qualche scrittore aveva detto che gli angeli possono volare perché non si prendono troppo sul serio. E noi forse potremmo anche volare un po’ di più, se non ci dessimo tanta importanza». La citazione è tratta sempre da un brano di Ortodossia di Chesterton che continuava con l’immagine di Lucifero, l’angelo che cade per la forza di "gravità", dove questa gravità significa proprio seriosità, mancanza totale di umorismo che, per lo scrittore inglese come per il Papa tedesco, è quella capacità di visione, di rovesciare la prospettiva e cogliere la gioia (e anche il divertimento, secondo Benedetto XVI). Il Papa-teologo che più volte ha invocato l’esigenza di una "teologia in ginocchio", sa bene che l’umorismo è, anche etimologicamente, fratello dell’umiltà e tutti e due provengono dall’humus, dalla terra.
Solo chi ha i piedi ben piantati per terra, chi riconosce la sua "adamiticità" (Adamo, cioè il "terroso", secondo la Genesi), può volare alto, fino al cielo. È anche questo messaggio che il Papa andrà a proclamare, insieme alla grandezza di un suo maestro come Newman, volando oltremanica per andare in Inghilterra, la Terra degli Angeli.

© Copyright Avvenire, 15 settembre 2010 consultabile online anche qui.

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