martedì 14 settembre 2010
Londra accoglie il Papa di Roma. Il testo integrale dell'intervista di Alberto Bobbio all'ambasciatore Francis Campbell (Famiglia Cristiana)
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Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:
Londra accoglie il Papa di Roma
«Aspettiamo Benedetto XVI innanzitutto come Pontefice», dice l’ambasciatore del Regno Unito presso la Santa Sede, Francis Campbell. «E nessun problema per la beatificazione del cardinale Newman».
di ALBERTO BOBBIO
«Il Papa? Per noi è una grande personalità che ha sempre un punto di vista interessante da proporre e da discutere».
Francis Campbell è l’ambasciatore presso la Santa Sede del Regno Unito, dove i cattolici sono circa il 9 per cento dei sudditi. Ragiona di Joseph Ratzinger, l’intellettuale, e di Benedetto XVI, il Papa della Chiesa di Roma, nella sua residenza romana in cima a Palazzo Pallavicini, di fronte al Quirinale. La Corona britannica inviò il suo primo ambasciatore residente all’estero proprio a Roma dal Pontefice. Era il 1479, prima dell’Atto di supremazia di Enrico VIII, inizio della scissione da Roma. E Francis Campbell, irlandese del Nord e cattolico, sente il peso di questa storia, soprattutto ora che Benedetto XVI ha accettato l’invito della regina e va a Londra, primo Papa nella storia a compiere una visita di Stato (da giovedì 16 a domenica 19 settembre) e non “pastorale”, come fu quella di Giovanni Paolo II nel 1982.
– Ambasciatore Campbell, chi è il Papa per il popolo britannico?
«Una persona tra le più affascinanti e degne d’attenzione in Occidente».
– Molti dicono che l’Occidente nel futuro sarà senza fede...
«È un rischio. Ma Benedetto XVI insiste sulla minoranza creativa per il rinnovamento della società in Europa e per sollecitare la funzione della Chiesa nel mondo».
– Cosa vi ha sorpreso di Joseph Ratzinger?
«La stampa britannica è rimasta molto colpita dal discorso agli intellettuali francesi nella straordinaria cornice del collegio dei Bernardini a Parigi, e dagli altri suoi discorsi in Francia nei quali ha parlato con efficacia della distinzione tra Stato e Chiesa e della relazione tra fede e ragione. È il teologo Ratzinger che ci stupisce, anche perché conosce la Chiesa anglicana molto bene».
– Ora viene a Londra: lo accoglierete come Papa o come intellettuale?
«Innanzitutto come Papa della Chiesa romana. Poi la curiosità è per l’intellettuale.
Ma sulla stampa britannica traspare un interesse alla vigilia del viaggio anche per le posizioni della Chiesa cattolica sulla vita, l’economia, lo sviluppo dei popoli, la pace».
– Nulla da discutere quindi?
«No, al contrario. Alla City si èmolto ragionato sull’enciclica Caritas in veritate e la preoccupazione del Papa per le questioni circa la finanza e le banche».
– Quanto pesa la religione in Gran Bretagna?
«Forse, meglio dire quanto contano le religioni. Il Regno Unito è una nazione con una forte eredità e tradizione cristiana, che è al cuore del nostro ordine costituzionale, ma nella Gran Bretagna moderna ci sono anche l’islam, l’induismo, i sik. Nella nostra storia direi che la diversità è diventata la normalità e il dialogo una pratica quotidiana».
– Come giudica gli attacchi a Ratzinger sulla questione degli abusi sessuali?
«Ingiusti. Il cardinale Ratzinger dal 2001 si è assunto la responsabilità di trovare una soluzione giusta, ha chiesto di sapere tutto e rapidamente. Ha riconosciuto che la situazione era molto seria e grave. E necessitava una risposta che prevedesse da una parte tolleranza zero e dall’altra giustizia per ogni vittima. È vero che la Chiesa cattolica, come altre istituzioni nella società che hanno già vissuto questo problema, è stata spesso lenta a cogliere la piena gravità della situazione. Ma va detto onestamente che il cardinale Ratzinger è stato uno dei primi a mettere in moto la macchina per affrontare la questione».
– Come sono attualmente i rapporti tra Londra e la Santa Sede?
«Negli ultimi sei anni per cinque volte un premier britannico è venuto in visita in Vaticano. Nei precedenti trent’anni solo una visita: la signora Thatcher nel 1980».
– Ma cos’è per voi la Santa Sede?
«Ottima domanda. Potrebbe essere vista come un piccolo Stato di 44 ettari in Europa, oppure uno Stato globale. Noi abbiamo cambiato via via il nostro punto di vista verso il Vaticano. Oggi, nel mio Paese non si parla più solamente di rapporti bilaterali, ma abbiamo una relazione multilaterale con la Santa Sede. Stiamo parlando di una comunità di più di un miliardo di cattolici nel mondo».
– Ragionamento solo diplomatico?
«No. Senza la Chiesa cattolica il mondo sarebbe moralmente più povero. La Chiesa per noi è un’istituzione che può aiutare a migliorare il mondo. Qualche tempo fa, mi trovai a discutere al nostro ministero degli Esteri circa i valori comuni che abbiamo con la Santa Sede. La conclusione fu che il Papa è uno dei più importanti opinion maker. Poi c’è un secondo punto: la Santa Sede è l’organizzazione più antica del mondo e una delle più attrezzate sui temi della giustizia, del disarmo e dello sviluppo internazionale. La Chiesa cattolica viene al secondo posto dopo l’Onu per il suo contributo allo sviluppo internazionale. La decisione della messa al bando delle bombe a grappolo, per esempio, è stato un successo della diplomazia vaticana».
– Però, su alcune questioni, per esempio la vita o la funzione del preservativo, anche voi avete opposto critiche...
«È vero, ci sono differenze tra il mio Governo e la Santa Sede su alcuni mezzi di prevenzione di diffusione dell’Aids. Ma mentre non siamo d’accordo per esempio sull’uso del preservativo, siamo assolutamente d’accordo sull’obiettivo finale, cioè lo sradicamento della malattia. Concordiamo con la necessità di aumentare progressivamente la cura per coloro che sono affetti da Aids attraverso l’uso dei più recenti farmaci antiretrovirali, sulla necessità di fermare la discriminazione verso i malati di Aids e coloro che ne presentano i sintomi. Inoltre, apprezziamo moltissimo il network dei ricoveri cattolici nel mondo per malati di Aids, specie nell’Africa subsahariana, dove rappresentano più del 25 per cento dei possibili casi di ricovero».
– Una delle preoccupazioni maggiori del Vaticano è la situazione in Medio Oriente. Tony Blair, ex primo ministro britannico, è inviato in Medio Oriente. C’è una visione comune dei problemi?
«Assolutamente sì. Per noi è fondamentale sostenere il pluralismo in Medio Oriente. Siamo d’accordo con la necessità di una soluzione a due Stati per la situazione israelo-palestinese; sicurezza per Israele con uno Stato vitale per i palestinesi. In questo senso i negoziati avviati in queste settimane a Washington dal presidente americano Obama offrono molte speranze».
– Il Papa viene a Londra anche per beatificare il cardinale Newman, anglicano convertito. È un problema per gli inglesi?
«No. Newman può essere il punto di unità per anglicani e cattolici. Molto del suo lavoro pionieristico è stato scritto quando lui era ancora un anglicano. Il suo lavoro è incentrato su tre aspetti: il ruolo della coscienza e i diritti della coscienza, la relazione tra fede e ragione in un mondo postilluminista, e il giusto ruolo dell’università. Si tratta di argomenti fondamentali per tutti».
– Ma Newman oggi com’è visto in Gran Bretagna: solo un cattolico convertito o anche un intellettuale inglese?
«È visto in entrambi i sensi. È stato un intellettuale dalle molte dimensioni, teologo anglicano e poi teologo cattolico, e figura pubblica di rilievo del tempo vittoriano».
– Quindi, la beatificazione servirà per farlo riscoprire anche agli inglesi?
«Penso di sì. Newman è un grande intellettuale inglese, appartiene alla storia del mio Paese e alla storia dell’Europa. Benedetto XVI lo ha sempre ammirato, per la fede ragionevole che ha predicato per tutta la vita, da anglicano e da cattolico. A Birmingham avverrà l’incontro tra due grandi intellettuali».
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