venerdì 17 settembre 2010
Un viaggio «con gioia e coraggio» senza timori o reticenze (Rondoni)
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Un viaggio «con gioia e coraggio»
Senza timori o reticenze
Davide Rondoni
Senza reticenze. Con grande coraggio e con gioia. Il viaggio di Papa Benedetto nel Regno Unito è così. Chi si aspettava un cammino intimidito, complicato da nubi di polemiche, da avvisaglie di scontro, si trova un Papa, un cristiano, che non si affida a omissioni o furbizie. E che affronta con cordiale sincerità le questioni chiave sul tappeto. Lo fa da subito, già durante il viaggio in aereo che ieri mattina l’ha condotto a Edimburgo.
I giornalisti si sono trovati davanti un Papa che di fronte a chi vorrebbe polemizzare contro di lui come capo di Stato dice da subito una cosa che solo gli stolti non vogliono capire: questa è una visita pastorale, lo status di capo di Stato è solo in vista dell’indipendenza pastorale che il Papa deve avere. E a chi si aspettava la soggezione a un clima intimidatorio a riguardo dei casi di pedofilia il Papa oppone il suo sgomento. Com’è potuto accadere?, si chiede. Benedetto si espone.
Dice di aver subito uno choc, non si ripara difendendosi dallo scandalo di sacerdoti che si trasformano in incubo per i piccoli, ma lo sta attraversando, lo assume come parte integrante del suo coraggio e della sua fede. Com’è potuto accadere? ripete, invitando tutti a fare un passo con lui dentro e oltre lo scandalo, a interrogarsi sulla natura del male. E senza cercare scuse incalza: "siamo stati distratti, lenti ad agire, ora è tempo di umiltà, di penitenza". Senza riparo, senza reticenze. Un viaggio iniziato sotto il segno del «grande coraggio», dunque, perché sospinto dalla «gioia», i due termini scelti ieri dal Papa per sintetizzare la cifra dei suoi ripetuti viaggi in Europa: infatti, solo una grande gioia sostiene tale mancanza di riparo, una simile disponibilità. La grande gioia dell’annuncio cristiano che riavviene oggi come da oltre mille anni in quelle terre, passando per testimoni famosi e per la fede dei semplici.
Nel discorso davanti alla Regina il Papa ha citato i nomi di grandi testimoni del passato più o meno recente: da Edoardo il Confessore a Margherita di Scozia, da Florence Nightingale a John Henry Newman, e ha richiamato una storia in cui i motivi della fede hanno mosso la politica a cercare il bene e la pace, e a servire la libertà. Non ha avuto reticenze nemmeno in questo: sa bene che oggi in quelle terre ci sono «forme più aggressive di secolarismo che non stimano né tollerano più» espressioni legate al grande patrimonio della fede, fino a configurare autentiche forme di intolleranza verso il cristianesimo. Molti fatti lo dimostrano e Papa Benedetto non sorvola, chiedendo ai britannici: volete cedere a questa intolleranza verso la vostra stessa storia? Non si nasconde le difficoltà, ma le affronta «con grande coraggio e con gioia». Del resto il poeta Eliot, londinese di adozione, avvisava sessant’anni fa come sia illusorio pensare che demolendo la fede da cui sono nati il rispetto per la persona, la libertà e la condivisione restino poi in piedi le istituzioni e le forme di convivenza che oggi ci garantiscono quegli stessi beni.
Il Papa ha simpatia per la cultura britannica. Sa che per area politica e linguistica di influenza, sul popolo e sul governo di queste terre grava una grande responsabilità. Non ha reticenze, la riconosce, invita governo e popolo a giocare fino in fondo questo loro ruolo. La storia «impone loro un dovere particolare di agire con saggezze per il bene comune».
È iniziato un viaggio senza reticenze. Un altro pezzo del grande viaggio di questo Papa che da subito ha smentito chi presume di sapere le sue mosse. Un altro tratto di viaggio del cristianesimo, che non attraversa la storia come fosse solo un’idea da difendere, un messaggio fatto di parole e slogan da ribadire. Perché è un viaggio di uomini con «grande coraggio e gioia».
© Copyright Avvenire, 17 settembre 2010 consultabile online anche qui.
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2 commenti:
Bellissimo commento.
Noi continuiamo a pregare fino alla fine del viaggio.
... e direi che facciamo bene.
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