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SINODO MEDIO ORIENTE - Una benedizione
Quinta e sesta Congregazione
La necessità del dialogo con l’Islam e l’Ebraismo, per ribadire anche la preziosità della presenza cristiana nella regione mediorientale, e il concetto di tolleranza dell’Islam sono stati alcuni dei fili conduttori dei lavori del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, in corso in Vaticano, che tra il 13 ottobre pomeriggio e il 14 ottobre mattina, ha celebrato la quinta e la sesta Congregazione.
Il giusto antidoto. “I cattolici mediorientali fanno una profonda differenza nelle vite di quanti li circondano, essi sono il ‘sale della terra’ e la ‘luce del mondo’”. Il riconoscimento è arrivato da mons. Gregory John Mansour, vescovo di Saint Maron di Brooklyn dei Maroniti (Usa), che ha ricordato, a tale riguardo, “le scuole, le università, gli ospedali, le cliniche, i centri di riabilitazione per la tossicodipendenza, gli ospizi, gli orfanotrofi e altre strutture da loro gestite aperte a tutti, musulmani, ebrei e cristiani”. “Forse non riusciremo mai a convincere con le parole i nostri vicini musulmani o ebrei che la nostra presenza è veramente una benedizione per loro – ha rilevato il vescovo – ma abbiamo sempre a disposizione il medesimo antidoto che ha aiutato i primi cristiani a sopravvivere e a superare tutte le sfide: la partecipazione al generoso Spirito Santo di Dio e l’amore apostolico tra di noi”. Sullo stesso tema si è espresso anche Nerses Bedros XIX Tarmouni, patriarca di Cilicia, arcivescovo armeno di Beirut, per il quale, come oggi, anche in passato “i primi cristiani non hanno avuto una vita facile, esente dalle difficoltà e dalle avversità; al contrario, hanno subito oltraggi e persecuzioni. Ma questo non ha impedito loro di proclamare integralmente l’insegnamento di Gesù e di perdonare. Occorre ri-evangelizzare i nostri fedeli proponendo loro la fede vissuta nei primi secoli del cristianesimo” precisando, tuttavia, che ciò “non significa che non sia necessario lottare per ristabilire la giustizia e la pace in Medio Oriente. Ma sarebbe sbagliato sostenere che, senza questa giustizia e questa pace, il cristiano non può vivere pienamente la sua fede o che deve emigrare”.
Vincere il sospetto. Anche il rabbino David Rosen, consigliere del Gran Rabbinato di Israele, nel suo intervento ai lavori sinodali ha riconosciuto il ruolo “assai importante dei cristiani nella promozione del dialogo e della collaborazione interreligiosa” e ribadito l’importanza “di avere i dialoghi bilaterali – con gli ebrei e con l’Islam – e poi anche il dialogo trilaterale per vincere il sospetto, il pregiudizio e i malintesi, in modo che possiamo mettere in luce i valori condivisi dalla famiglia di Abramo per il bene di tutta l’umanità”. Per Rosen “la domanda fondamentale per il futuro delle nostre comunità è se i fratelli musulmani saranno capaci di considerare la presenza dei cristiani e degli ebrei come parte integrante e pienamente legittimata della regione nel suo insieme”, o per meglio dire, “se il mondo arabo possa o meno tollerare un sistema di governo sovrano non arabo al suo interno”.
Nulla da temere per l’Islam. Nella sesta congregazione alcuni presuli hanno messo in evidenza il tema della tolleranza all’interno della religione musulmana, concetto strettamente legato a quello del dialogo interreligioso. Aprire un dialogo con i “musulmani illuminati” per interpretare le leggi islamiche nel loro contesto storico e per capire se la minaccia di morte per il musulmano che si converte ad un’altra religione proviene dallo stesso profeta Maometto o da un califfo al tempo delle conquiste musulmane. A chiederlo è stato mons. Cyrille Salim Bustros, arcivescovo di Newton dei greco-melkiti (Usa), per il quale “il principio di tolleranza fissato dal Corano deve venire prima di ogni legislazione stabilita in seguito”. “La società musulmana – ha detto – non ha nulla da temere dal passaggio di alcuni musulmani al cristianesimo. Il primo principio di ogni società – ha puntualizzato – è l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Il rispetto della coscienza individuale è il segno di riconoscimento della dignità della persona umana. Il XXI secolo è iniziato con l’essere il secolo del conflitto tra civiltà. È dovere dei cristiani e dei musulmani lavorare insieme per trasformarlo in un secolo di cooperazione tra civiltà per la promozione dei diritti umani e della pace nel mondo”. Dello stesso avviso anche mons. Camillo Ballin, vicario apostolico di Kuwait, il quale ha ricordato che il Golfo, nella tradizione musulmana, “è terra sacra del Profeta e non dovrebbe esservi nessun’altra religione”. Tuttavia, ha ricordato mons. Ballin, nel Golfo vivono circa 3 milioni di cattolici, la cui cura pastorale non può essere né “occultata” né “limitata” alla sola messa domenicale. “Chiediamo ai nostri fratelli musulmani di darci lo spazio per poter pregare in modo corretto”, ha aggiunto il vescovo che, in conclusione, ha esortato le Chiese a riscoprire la propria “dimensione missionaria”. “Una Chiesa che non ha spirito missionario, è destinata a vivere una vita che non è la vita ‘in abbondanza’ voluta dal Signore. È importante formare i cristiani nelle nostre Chiese a uno spirito veramente cattolico e universale, in grado di spezzare le catene del provincialismo, anche religioso, del nazionalismo e del razzismo latente”.
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