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“Noi vittime dell’islam radicale”. Così i pastori delle chiese arabe abbandonano il politically correct
di Paolo Rodari
Non è facile per i rappresentanti delle chiese orientali riuniti in questi giorni in Sinodo entro le mura vaticane mantenersi prudenti come solitamente la diplomazia vaticana suggerisce loro. A volte la ricerca della giusta simmetria tra mondo musulmano ed ebraismo in quel quadrante del mondo cruciale nei rapporti tra i tre monoteismi può essere spezzata da parole che, andando oltre il politically correct, raccontano le cose come stanno. E’ successo ieri, durante una sessione del Sinodo.
I padri sinodali potevano parlare per non più di cinque minuti ciascuno. Ma sono bastati per un susseguirsi di interventi che anche per il vaticanista americano John Allen, corrispondente del progressista National Catholic Reporter, hanno mostrato la vera radiografia della situazione: la democrazia in medio oriente non esiste. I cristiani non fanno altro che cercare di sopravvivere a un islam radicale che vuole imporsi territorialmente.
Gregorios III Laham, patriarca di Antiochia dei greco-melkiti e arcivescovo di Damasco ha detto che è arrivato il tempo per dire ai musulmani “con franchezza” le paure dei cristiani: “La separazione della religione e dello Stato, l’arabità, la democrazia, nazione araba o nazione musulmana, diritti dell’uomo e leggi che propongono l’islam come unica o principale fonte delle legislazioni che costituiscono un ostacolo all’uguaglianza di questi stessi concittadini davanti alla legge. Vi sono i partiti fondamentalisti, l’integralismo islamico, ai quali sono attribuiti atti, di terrorismo, di uccisioni, degli incendi di chiese, di estorsioni, in nome della religione e che, forti del fatto di essere maggioranza, umiliano i loro vicini”.
Per Basile Georges Casmoussa, arcivescovo di Mossul dei Siri in Iraq, il problema principale sono “le ondate di terrorismo, ispirate da ideologie religiose islamiche o totalitarie che negano il principio stesso della parità, a vantaggio di un negazionismo fondamentale che schiaccia le minoranze, delle quali i cristiani sono l’anello più debole”. C’è un’“ingiusta accusa” mossa contro i cristiani, quella “di essere delle truppe assoldate o guidate da e per l’Occidente sedicente cristiano. Ecco dunque che il cristiano orientale in un paese islamico è condannato a scomparire o all’esilio”.
Di “confessionalismo” nelle società islamiche ha parlato François Eid, vescovo di Le Caire dei Maroniti nella Repubblica Araba d’Egitto. Questo “Il confessionalismo colpisce profondamente la condizione dei cristaini in medio oriente. Il loro spirito e il loro comportamento. Ne derivano ghettizzazione, chiusure verso gli altri e ostilità”.
Pubblicato sul Foglio giovedì 14 ottobre 2010
© Copyright Il Foglio, 14 ottobre 2010 consultabile online anche qui, sul blog di Paolo Rodari.
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