martedì 8 giugno 2010

Mons. Twal: «Per la pace identità cristiana più forte» (Geninazzi)


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PIETRO E IL MONDO

Twal: «Per la pace identità cristiana più forte»

Luigi Geninazzi

Cipro è un po’ la sua seconda casa. Monsignor Fouad Twal, in quanto patriarca di Gerusalemme, ha la responsabilità pastorale anche dei cattolici latini di quest’isola e all’indomani della visita del Papa ha voluto fermarsi qui per scambiare opinioni ed emozioni con la piccola comunità cipriota.

«Il viaggio di Benedetto XVI appena concluso è in continuità con il pellegrinaggio che aveva compiuto nel maggio del 2009 in Terra Santa. Di fatto è venuto a trovarci due volte in poco più di un anno!», dice con aria visibilmente soddisfatta.

Eccellenza, la visita del Papa a Cipro ha avuto il suo momento culminante nella consegna ai patriarchi ed ai vescovi del Medio Oriente dell’Instrumentum laboris del Sinodo che si terrà il prossimo ottobre in Vaticano. Che prospettive si aprono per le Chiese di questa tormentata regione?

Voglio prima di tutto ricordare che l’idea di tenere un Sinodo sul Medio Oriente è venuta al Santo Padre nel corso del suo viaggio in Israele e nei Territori palestinesi un anno fa. Ha visto da vicino la situazione ed ha condiviso le sofferenze dei cristiani di Terra Santa. Ebbene, era naturale che quell’idea, maturata lì, trovasse il suo momento preparatorio più importante qui a Cipro, il luogo più appropriato per compiere questo gesto che il Papa ha voluto accompagnare con un forte appello alla pace.

Benedetto XVI l’ha invocata con toni accorati, prima che si arrivi ad un «bagno di sangue»...

Il Santo Padre ha ben presente la situazione ed è molto preoccupato, come lo siamo anche noi. Tante ombre si sono addensate sulla sua visita pastorale a Cipro, dapprima l’uccisione dei pacifisti al largo di Gaza da parte dell’esercito israeliano, poi l’assassinio di monsignor Padovese che avrebbe dovuto essere qui a Nicosia domenica. Era membro del Consiglio per il Sinodo sul Medio Oriente, ci aveva lavorato con grande passione. Viviamo immersi nell’odio e nella violenza ed io mi chiedo continuamente: cosa possiamo fare noi, responsabili delle Chiese locali, per creare una mentalità di pace?

Si è dato una risposta?

Ce la dà anche questo testo: dobbiamo rafforzare la nostra identità cristiana ed accrescere lo spirito di comunione fra le Chiese. È un lavoro che stiamo facendo. L’ho detto in questi giorni al Santo Padre: stiamo meditando i discorsi che ha tenuto in Terra Santa, abbiamo organizzato momenti di ripresa in vari ambiti pastorali, perché non vogliamo che i viaggi del Papa siano semplicemente uno show, uno spettacolo che ci tocca il cuore un momento e poi basta. E dobbiamo rafforzare i legami di comunione all’interno della stessa comunità cattolica, in cui ci sono tanti riti che rappresentano certamente una ricchezza. Quando però li si vive con un attaccamento quasi morboso, ripiegati sul proprio piccolo mondo, ne soffre la Chiesa nel suo insieme. Insomma, stiamo cercando di portare avanti una riflessione su questi temi. Ma sul terreno le cose peggiorano, la situazione politica e sociale è disperante, e l’emigrazione delle nostre giovani famiglie non si ferma, anche perché l’occupazione israeliana dei territori palestinesi non accenna a finire, al contrario.

Nel testo preparatorio del Sinodo si afferma che l’occupazione israeliana è ingiusta, un giudizio ormai consolidato da parte della Chiesa. Nuova invece è l’esplicita condanna dei gruppi fondamentalisti cristiani che la giustificano...

Ci sono evangelici americani che sognano un grande Israele che realizzi la promessa bibilica, di modo che in seguito potrà esserci la sua conversione al cristianesimo. A me sembra una follia. Ma questi gruppi sono molto potenti, hanno una lobby perfino nel Parlamento israeliano. Magari avessimo anche noi cristiani una lobby dentro la Knesset.

Dall’altro lato c’è il crescente estremismo islamico. Come affrontarlo?

L’estremismo è sempre da condannare, da qualunque parte venga. Ed i cristiani in Terra Santa spesso si sentono presi in mezzo a due fuochi. Il grande problema è quello della libertà religiosa nei Paesi islamici.

L’instrumentum laboris<+nero> fa cenno al ruolo che potrebbero esercitare le nazioni occidentali in questo campo. Lei vede possibilità d’intervento?

L’Occidente non è più una realtà cristiana, ma il mondo islamico vive su quest’equivoco. Capita sempre più spesso che i governi occidentali prendano decisioni che danneggiano la presenza dei cristiani in Medio Oriente. Vedi la guerra in Iraq, che ha provocato la fuga di migliaia di caldei. Oppure, per citare l’ultimo esempio, l’inchiesta internazionale sull’uccisione dei pacifisti che è stata respinta da vari Paesi, anche da parte dei nostri amici del governo italiano. Perché, mi domando? Facciamo l’inchiesta, magari alla fine salta fuori che Israele è meno colpevole di quanto si pensi.

© Copyright Avvenire, 8 giugno 2010

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