domenica 8 agosto 2010

Ritratto dei cinquantamila chierichetti venuti a sostenere il Papa alle prese col peccato ignobile: la pedofilia (Rodari)


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Sinite parvulos.

C’è quello che conta gli sbadigli durante la messa. Ritratto dei cinquantamila chierichetti venuti a sostenere il Papa alle prese col peccato ignobile: la pedofilia


Paolo Rodari

Fabio ha dodici anni e viene dall’Emilia Romagna. Lo chiamano “spèrgul”, che in dialetto significa turibolo. Perché come sparge lui l’incenso in chiesa appena dopo la preghiera dei fedeli non lo sparge nessuno. Cioè? Fabio si fa serio: “Non è difficile. E’ una questione di polso. Il movimento deve essere regolare. L’incenso deve uscire a fiotti. Un po’ esce e un po’ non esce. Avanti e indietro. E’ importante che il polso sia fermo. Ma deve anche oscillare: uno sbuffo e poi un altro sbuffo. Gli altri hanno paura di fare cadere la cenere per terra e per questo tocca sempre a me”. Gli altri sono a pochi passi da lui. Lo ascoltano e ridono. Ride anche don Luigi, sotto barba e baffi. Ma lo lascia parlare. Non interviene. Intervengono gli altri. Gli amichetti di Fabio: “In verità il turibolo lo tiene lui perché gli piace. Dice sempre che da grande farà il prete”. Fabio arretra e arrossisce. Non conferma né smentisce. Diventerai prete? Non risponde. E guarda verso la basilica di San Pietro facendo spallucce.
Thomas viene da Monaco. In chiesa ci va fin da quando era piccolo. Fa il chierichetto da anni. Dice che gli piace “apparecchiare” l’altare: porta dal tavolino all’altare il calice (con patena, purificatoio, corporale), la pisside, le ampolle con acqua e vino. Perché lo fai? “Perché l’ho sempre fatto”, risponde. “Mi piace aiutare il prete. E mi piace guardare la gente che prega. Da dietro l’altare li vedo tutti. Dopo messa dico al prete come è andata”. Come è andata cosa? “La messa. Se la gente era attenta o se dormiva. A volte facciamo anche un gioco, ma non sempre”. Un gioco? “Sì. A volte conto gli sbadigli della gente durante l’omelia. E poi, a fine messa, se il prete è di buon umore gli dico se ha battuto il suo record personale di sbadigli oppure no”. Qual è il record? Thomas ci pensa, e dice: “Non posso rivelarlo”.
Philipp ha diciassette anni e vive in Svizzera. Un chierichetto avanti negli anni? “A me piace servire messa e ancora lo faccio. Spesso mi capita di insegnare ‘il mestiere’ a quelli più piccoli di me”. Perché fai il ministrante? “Ho iniziato da piccolo. Ero affascinato dal prete, dai suoi abiti. Mi sembrava un re. Eravamo una decina di chierichetti nella mia chiesa. Il parroco ci introduceva con pazienza e passione ai segreti della messa. Ci diceva: ‘E a un certo punto il Signore verrà giù dal cielo e starà proprio qui, nell’eucaristia. I più fortunati siete voi che gli state più vicini di tutti. Lui vi guarderà e voi lo guarderete. Poi quando sarete più grandi potrete anche mangiarlo e allora sarà una sola cosa con voi’. Cercava di farci comprendere la misteriosità della liturgia, il fatto che nella messa avviene una cosa importante e che a questa cosa chi vuole può partecipare. Le sue parole mi sono sempre restate dentro. Per questo oggi sono qui e per questo continuo ad aiutare in chiesa. Per introdurre anche altri in questo mistero”.
Come Fabio, Thomas e Philipp, altri cinquantamila bambini e ragazzi. O forse qualcosa di più. Sono arrivati in piazza San Pietro mercoledì scorso per incontrare il Papa. Cinquantamila ministranti (dal latino “minus stare”, ovvero stare sotto, servire), e cioè i piccoli chierici, o i chierichetti, di prima del Concilio Vaticano II. Gli “altar boys”, come li chiamano nei paesi di lingua inglese. Bambini che a contatto coi preti ci stanno parecchio: servono la messa in chiesa vestiti come i preti, camice e cingolo ben annodato. Aiutano i sacerdoti a vestirsi in sacrestia, quindi li aiutano a togliersi le sacre vesti. Le ripiegano e le mettono negli armadi. Sull’altare hanno a che fare con le ampolline, il turibolo, la navicella, i candelabri. Un’intimità coi sacerdoti che altri, in parrocchia, non hanno. E, infatti, non a caso, molte vocazioni al sacerdozio nascono lì, durante il servizio all’altare. Spesso è un seme minuscolo, impercettibile, che poi anni dopo viene fuori e diviene albero. E’ per questo che fino al Concilio si volevano soltanto chierichetti maschi. Poi si è aperto anche alle bambine. Per molti un’apertura rischiosa. Tanto che più volte il Vaticano ha dovuto specificare: “La congregazione vaticana per il Culto divino, dopo aver studiato a lungo la questione, ha autorizzato formalmente i vescovi ad autorizzare a loro volta i sacerdoti ad ammettere le bambine in cotta bianca e sottanina nel presbiterio”, disse nel 1994 l’allora portavoce vaticano Joaquín Navarro-Valls “ma la decisione non muta in alcun modo l’atteggiamento verso il sacerdozio che, per la chiesa cattolica, rimane precluso alle donne”.
In questi mesi in molti hanno parlato del Vaticano come fosse un nido di pedofili. Alte e spesse mura a riparare i peccati più turpi. Quelli della carne consumati dai preti sui bambini. Pietre antiche, quelle vaticane, che – hanno scritto i giornali – se potessero parlare racconterebbero di Pontefici, cardinali e vescovi impegnati a coprire, insabbiare, nascondere lo sventramento dell’innocenza. Tutti complici del male? Tra le tante diocesi del mondo chiamate in causa, quelle tedesche, la Baviera e poi anche l’alta Austria e la Svizzera tedesca. I luoghi che videro Joseph Ratzinger bambino. Che lo portarono al sacerdozio. Prete e poi vescovo. I luoghi nei quali probabilmente avrebbe voluto ritirarsi a scrivere e studiare se non fosse stato eletto al soglio di Pietro. Padre Federico Lombardi, il direttore della sala stampa vaticana, è dovuto più volte intervenire. Per dire che non si può fare di tutta un’erba un fascio. Che il peccato di pochi non può oscurare il bene di un’istituzione, la chiesa, da sempre impegnata a educare adolescenti e bambini. E che comunque se c’è una figura integerrima questi è Benedetto XVI. Parole al vento: dopo ogni precisazione altri attacchi. E la gente che sembra scappare. Abbandonare dopo anni di militanza quella chiesa nella cui dottrina diceva di credere: “Crollano le donazioni dei fedeli tedeschi alla chiesa cattolica”, hanno titolato parecchi giornali. Quindi i sondaggi: nella Germania del Papa, dove l’appartenenza alla chiesa è registrata e ha un impatto diretto sui finanziamenti, la rivista Focus dice che il 26 per cento dei cattolici sta riconsiderando la propria appartenenza religiosa. Davvero? Le cose stanno davvero così?

Una calda mattina d’estate piazza San Pietro sembra suonare un altro motivo. Una nota diversa. Mercoledì 4 agosto: il sole picchia sulle teste di cinquantamila ministranti arrivati a Roma per incontrare Papa Benedetto XVI. La maggior parte dei bambini sono tedeschi, almeno quarantamila.

Non a caso con loro ci sono le gerarchie della chiesa di Germania, dal presidente della Conferenza episcopale Robert Zollitsch, al vescovo di Ratisbona, monsignor Gerhard Ludwig Müller: il presente e il futuro, secondo i più, di un episcopato che sotto la guida del cardinale Karl Lehmann è divenuto tra i più potenti al mondo. Lehmann l’anti Ratzinger, certo. Ma anche il capo di una chiesa che importanti e copiosi flussi di denaro ha fatto arrivare oltre il Tevere durante il planetario pontificato wojtyliano. Tutti seduti a fianco del Papa, i capi della chiesa tedesca. Come a dire: questa è la risposta che la chiesa del paese del Pontefice dà agli attacchi dei media. Questo è il segno che vogliamo lasciare davanti a coloro che descrivono il Papa e la sua chiesa come un gruppo di orchi che hanno abusato e abusano dei più piccoli. Gli organizzatori dell’evento, il vescovo ausiliare di Basilea, Martin Gächter, e il vescovo ausiliare di Monaco e presidente della sezione giovani della Conferenza episcopale tedesca, Bernhard Hasslberger, dicono che il raduno era stato programmato prima che si parlasse della pedofilia nel clero. Ma è chiaro che, seppure non ideata e organizzata come risposta agli attacchi dei media sulla pedofilia, la manifestazione è, almeno scenograficamente, una risposta parecchio eloquente. La chiesa tedesca, quella dove il Papa è nato e cresciuto, è questa qui, riunita in questa piazza. Dice Zollitsch: “Oggi tutti possono vedere che in Germania c’è una chiesa giovane, molto viva”. E ancora: “Vedere così tanti giovani entusiasti e consapevoli – aggiunge – ci dà fiducia e una nuova forza spirituale per affrontare le sfide che abbiamo davanti”. Approfondisce Hasslberger: “Siamo rimasti stupiti che dopo tanto clamore mediatico per gli abusi su minori, nessun genitore abbia disdetto l’iscrizione dei propri figli per questa manifestazione. Ci aspettavamo che qualcuno si tirasse indietro. Che qualche papà o qualche mamma non si fidasse più ad affidarci i propri figli. Credevamo che molte famiglie fossero impaurite, spaventate. E invece no. Evidentemente sanno che i loro figli con noi sono in buone mani. Che le nostre non sono mani di orchi ma di bravi preti. Certo, questo evento non è una risposta alla pedofilia, perché se così fosse sarebbe scorretto nei confronti delle vittime. La nostra non è una prova di forza contro nessuno”. Cos’è allora? “E’ il futuro della chiesa. I bambini e le bambine che crescono nelle parrocchie. Educati dai preti. Siamo noi. Una chiesa scossa dal problema della pedofilia, rattristata, ma viva. E certa della necessità di continuare la propria missione”.
La pedofilia resta nel sottofondo della manifestazione. L’immagine che i media hanno dipinto della chiesa cozza con questa piazza stracolma di bambini e bambine. Cozza talmente tanto che ne parla esplicitamente in prima pagina l’Osservatore Romano il giorno dopo, giovedì 5 agosto. Scrive Gian Maria Vian: i chierichetti a Roma arrivano “dopo una lunga e fredda stagione mediatica che sulla base di orribili scandali ha cercato indiscriminatamente di oscurare la bellezza e la radicalità del sacerdozio cattolico”. E ancora: “Un avvenimento per molti sorprendente”. Per molti forse anche nella chiesa.
Cinquantamila ministranti: quanto a numeri è il più grande raduno di giovani col Papa dopo le adunanze del Giubileo. E, in effetti, sembra di stare al Giubileo del 2000. Negli anni di Giovanni Paolo II. Allora erano principalmente i movimenti ecclesiali a portare i giovani dal Papa. Oggi è un’associazione che pesca nelle parrocchie. Una band suona aspettando il Papa. Ricordano i “Papa boys”, l’entusiasmo di Tor Vergata, i giovani ai piedi di Wojtyla. “Ecco l’elicottero di san Pietro”, urla lo speaker alla folla mentre Benedetto XVI sorvola la piazza e atterra entro le mura leonine proveniente da Castel Gandolfo. Un boato scuote il colonnato del Bernini poco abituato, di recente, ad adunate del genere. Il Papa scende in piazza dal portone di bronzo. E’ in piedi sulla Papa-mobile. Indossa il galero, il cappello rosso a tese larghe rispolverato dopo anni in occasione dell’estate. Saluta col consueto gesto della mano. Don Georg Gänswein, seduto dietro di lui, sorride. Benedetto XVI arriva in cima alla piazza. Indossa un foulard bianco come quello indossato dai cinquantamila chierichetti. E dice: “Sono stato anch’io ministrante”. E poi parla di san Tarcisio, il patrono dei chierichetti: accolito della chiesa di Roma, fu martirizzato in giovane età mentre portava l’eucaristia ai cristiani in carcere. Scoperto, strinse al petto l’eucaristia, per non farla cadere in mani profane, ma non riuscendo a strappargliela, fu ucciso dai carnefici esasperati e feroci: siate pronti anche voi “ad impegnarvi”, “a lottare” per l’eucaristia come fece Tarcisio, dice Benedetto XVI.
Mentre il Papa dice queste parole un messaggio a suo nome ma firmato dal segretario di stato vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone, viene letto ai Cavalieri di Colombo riuniti a Washington in assemblea: “Benedetto XVI ringrazia i Cavalieri di Colombo per il sostegno offerto nei recenti mesi, specialmente attraverso le loro costanti preghiere, che chiede di continuare tenuto conto della turbolenza dei tempi”. E ancora: “Di fronte ad attacchi spesso ingiusti e infondati alla chiesa e ai suoi leader, Sua Santità è convinto che la risposta più efficiente è la grande fedeltà alla parola di Dio, una ancora più risoluta ricerca di santità e una maggiore dedizione alla carità nella verità da parte di tutti i fedeli. Egli chiede ai Cavalieri di perseverare nella loro testimonianza di fede e di carità”. Padre Michael, da Monaco, è in piazza. Legge il messaggio e dice: “Meno male”. Meno male cosa? “Meno male che si parla di attacchi ingiusti e infondati. Le pare che sarebbero venuti ottantamila bambini se la chiesa fosse semplicemente un insieme di stupratori? Chieda a Joachim perché è qui”. A chi? “A lui”. Joachim è un ragazzo di diciassette anni. Perché sei qui? “Sono venuto per ringraziare”. Chi? “La chiesa e il Papa”. Per cosa? “Ho perso i genitori da piccolo. Sono stato cresciuto in un orfanotrofio di suore. Giravano tanti preti. Sono stati tanti papà per me. Sui giornali ho letto tante cose. Un caso di pedofilia veniva ipotizzato anche nell’orfanotrofio dove io ho vissuto. Ho letto i nomi dei protagonisti e mi è venuto da ridere”. Beh, alcuni casi sono veri. “Ma molti no”, risponde.
Non soltanto bambini. Anche tante bambine in piazza San Pietro. Sono la maggioranza. Soprattutto in Germania, infatti, i vescovi usano avvicinare all’altare anche loro. Spiega Martin Gächter: “E’ per far scoprire anche a loro la bellezza dell’eucaristia. L’importante è tenere a mente le parole del Papa che congedandosi dai giovani ha ricordato il loro ‘compito importante, che vi permette di essere particolarmente vicini al Signore e di crescere come suoi veri amici. Custodite gelosamente questa amicizia nel vostro cuore, come san Tarcisio, pronto a dare la vita perché Gesù fosse portato a tutti’”.
Padre Philipp ha portato dalla Baviera a Roma parecchie bambine. Molte servono all’altare. Dice: “Io penso sempre a quanto disse Benedetto XVI nel 2006 ricevendo i sacerdoti della Valle d’Aosta mentre si trovava in vacanza a Les Combes. Parlò dell’ars celebrandi e disse che l’importante è che ognuno sappia perché è chiamato a svolgere un certo ruolo nell’eucaristia. Io alle bambine spiego che le invito vicino all’altare per conoscere meglio il Signore. Ma ho ben presente che non a loro sarà concesso il privilegio del sacerdozio”. Cosa disse esattamente il Papa? “Disse che ci deve essere un’adeguata preparazione. I chierichetti devono sapere che cosa fare, i lettori devono sapere come pronunciare. E poi il coro, il canto, devono essere preparati, l’altare deve essere ornato bene”. Non ha paura che domani una bambina che le ha fatto da ministrante voglia essere ordinata? “Se sono chiaro fin dall’inizio, se le spiego bene cosa è il servizio che rende all’altare, no”. Ratzinger da Pontefice non ha mai affrontato il problema. Durante la Giornata mondiale della gioventù di Colonia anche delle bambine servirono all’altare durante una sua messa. Lo scorso anno incontrò nell’Aula Nervi una folla di bambini dell’Opera per l’infanzia missionaria. Disse loro: “A otto o nove anni mi sono fatto chierichetto. In quel tempo non c’erano ancora le chierichette, ma le ragazze leggevano meglio di noi. Esse quindi leggevano le letture della liturgia, noi facevamo i chierichetti”. E loro, le chierichette cosa dicono? Alexa è olandese e ha dieci anni. La sua famiglia è cattolica. Dice: “Canto in chiesa e se c’è bisogno servo all’altare. Vorrei che tanti altri miei amici e amiche lo facessero. Ma in chiesa vengono in pochi”. Tu perché ci vai? “Perché credo in Dio”.

Pubblicato sul Foglio sabato 7 agosto 2010

© Copyright Il Foglio, 7 agosto 2010 consultabile online anche qui, sul blog di Paolo Rodari.

Davvero molto interessante questa inchiesta di Paolo Rodari, che tocca molti punti critici. Ancora una volta pare dimostrato che a schierarsi con Papa Benedetto sono i semplici, i puri di cuore, coloro che non si lasciano influenzare dalle campagne mediatiche "dirette" ad un unico scopo o dai continui, ormai sempre piu' sterili, confronti.
Si dovrebbe smettere di paragonare il Pontificato di Papa Ratzinger con quello dei precedessori perche' ogni Papa si e' trovato a fronteggiare crisi, piu' o meno gravi, ma di sicuro nessuno e' stato bersagliato dai media come Benedetto XVI per eventi accaduti anni ed anni prima della sua elezione.
Inoltre non si puo' paragonare, come ha fatto qualche vescovo, l'incontro di mercoledi' con quelli del Giubileo. E' assurdo perche' nel 2000 la Chiesa viaggiava (sui media, magari non nella realta') con il vento in poppa. Oggi la situazione e' ben diversa, eppure eccoli la' i giovani...attorno al Papa.
Trovo davvero importante questa analisi di Rodari. Mi pare che sia stato l'unico a parlare dell'udienza del 4 agosto cercando di capire che cosa ha portato i ragazzi a Roma, dal Papa.
Complimenti e grazie, quindi :-)

R.

2 commenti:

laura ha detto...

Buongiorno Raffaella, d'accordo con te. Quanti pregiudizi e quanta ignoranza condizionano l'opinione pubblica e distorcon l'immagine di papa Benedetto. Tutto questo però dimostea che non è un Personaggio di secondo piano, anche se cercano di ignorarl o o denigrarLo. Dà fastidio perchè è troppo sopra.... tutto e tutti

sonny ha detto...

Buongiorno Raffaella e buona domenica a te e a tutti gli amici del blog. Molto bene Rodari, almeno si è sforzato di fornire un commento esaustivo in mezzo alla desertificazione di approfondimenti in merito. Comunque ci andrei piano a valutare lo stato di salute della chiesa tedesca in base a alla presenza di 40.000 chierichetti a Roma. E' molto facile fare dichiarazioni ottimistice, come ha fatto il presidente della conferenza episcopale tedesca, dopo una così grande partecipazione.
Servono fatti concreti e vicinanza, non solo fisica, al magistero del Papa. Le gerarchie tedesche sono, purtroppo, a una distanza siderale dal loro connazionale. Sul fatto che Benedetto riesca ad catalizzare l'attenzione di gruppi "sparsi", hai perfettamente ragione Raffa. Il perchè?
Forse, e parlo per esperienza personale visto che non appartengo a nessun movimento, perchè difficilmente omologabili. Poi, opinione personalissima, il gesto plateale o televisivamente accattivante, può colpire emotivamente nell'immediato, ma la potenza della parola e infinitamente più importante. La forza della parola colpisce immediatamente il cervello, lavora dentro come un tarlo e sedimenta nel cuore.
Questo è l'effetto che ha sulla sottoscritta la predicazione di Benedetto. Non so a voi, cari amici.....