martedì 29 dicembre 2009

Il Papa: i poveri sono il tesoro della Chiesa. Benedetto XVI alla mensa di Sant’Egidio: vi sono vicino e vi voglio bene (Mazza)


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Il Papa : i poveri sono il tesoro della Chiesa

Benedetto XVI alla mensa di Sant’Egidio: vi sono vicino e vi voglio bene

DA ROMA SALVATORE MAZZA

Quelle che più contano sono poche parole. Semplici. «Sono qui tra voi per dirvi che vi sono vicino e vi voglio bene». Accompagnate da un pensiero breve. Altrettanto semplice. E immediato: «Le vostre persone e le vostre vicende non sono lontane dai miei pensieri, ma al centro e nel cuore della comunità dei credenti». Di più: «Voi siete il tesoro della Chiesa».
C’è tutta l’umiltà e la capacità di accoglienza di papa Ratzinger, nel saluto rivolto ai suoi commensali domenica sentare tutti i poveri, questa esperienza straordinaria.
Anziani e bambini, immigrati e rom, italiani, disabili, protagonisti con le loro storie «dolorose e cariche di umanità », come ha detto il Papa , di quello che è stato non tanto un 'evento', quanto, piuttosto, un segno della vicinanza profonda della Chiesa, e del vescovo di Roma per primo, a chi la vita la tira ogni giorno coi denti, senza nessuna certezza. E non per caso, appena entrato al centro, Benedetto XVI ha sostato davanti al monumento dedicato a Modesta Valenti, un’anziana senza fissa dimora morta nel 1983 alla stazione Termini di Roma, e al cui nome è oggi intitolato l’indirizzo ' virtuale' che Sant’Egidio e il Comune di Roma assegnano a quanti vivono in condizioni di precarietà, affinché tale situazione non si trasformi in una vera e propria 'morte anagrafica'.
Benedetto XVI era giunto a via Dandolo qualche minuto prima dell’una, dopo aver guidato come sempre la preghiera dell’Angelus dalla finestra del suo studio privato. Ad attenderlo dietro le transenne una piccola folla, a riempire tutto il pochissimo spazio a disposizione, e nessuna misura di sicurezza speciale, dopo l’incidente della notte di Natale: papa Ratzinger, subito dopo il benvenuto portogli da Riccardi assieme al presidente della Comunità Marco Impagliazzo, al vicegerente di Roma monsignor Luigi Moretti, a monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni Narni-Amelia, a una donna rom e a un immigrato senegalese, s’è così diretto verso la piccola folla salutando in particolare i tantissimi bambini. Poi ha varcato il portone, dopo la sosta davanti al presepe e al monumento alla Valenti, ha raggiunto i due saloni comunicanti dove avrebbe consumato il pasto, accolto da un lunghissimo applauso durato il tempo necessario al Pontefice per salutare a uno a uno i suoi ospiti.
Centocinquanta, come detto, a rappresentare le migliaia che ogni giorno trovano accoglienza in quella mensa; persone, ha ricordato Riccardi, «ferite da una vita dura, specie con la crisi economica», e che nell’accoglienza offerta dalla mensa «riceve la dignità di fratello » . « A questa società spaventata e inospitale – ha aggiunto Riccardi – Sant’Egidio vuole ricordare che c’è da ritrovare la roccia del fondamento. Solo così non avremo paura dell’altro, di chi soffre o ha fatto terribili viaggi per trovare pace».
C’è stata quindi la preghiera del Padre Nostro, e la benedizione – in latino – della tavola da parte del Papa . Il quale, al termine, ha sottolineato come «durante il pranzo ho ascoltato storie dolorose e cariche di umanità, ma anche la storia di un amore trovato qui: storie di anziani, emigrati, gente senza fissa dimora, zingari, disabili, persone con problemi economici o altre difficoltà, tutti in un modo o nell’altro, provati dalla vita. Sono qui tra voi per dirvi che vi sono vicino e vi voglio bene e che le vostre persone e le vostre vicende non sono lontane dai miei pensieri, ma al centro e nel cuore della comunità dei credenti, e così anche nel mio cuore » . « Come san Lorenzo – aggiunge – quando i magistrati romani di quel tempo gli chiesero di mostrare, di dare i tesori della Chiesa, ha mostrato i poveri della Chiesa di Roma come il vero tesoro della Chiesa, oggi possiamo riprendere questo gesto e dire che voi siete proprio il tesoro della Chiesa».
Poi la consegna dei doni a trentuno bambini, e la visita, al piano superiore, alla scuola di italiano per immigrati, da dove sono passate migliaia di persone di una trentina di nazioni diverse. Perché «c’è una lingua che, al di là delle differenti lingue, tutto unisce: quella dell’amore », osserva Benedetto XVI. La lingua insegnataci da Dio «che per amore si è fatto uno di noi», e «ce la insegna innanzitutto con questa sua presenza, con questa sua umiltà di essere un bambino che si fa dipendente dal nostro amore». Questa lingua che «renderà migliore la nostra città e il mondo».

© Copyright Avvenire, 29 dicembre 2009

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