venerdì 19 febbraio 2010

Il Papa: Rubare non è umano. Il commento di Ettore Ongis


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Rubare non è umano

Ettore Ongis

«Non si dica più: "Ha mentito: è umano"; "ha rubato, è umano"».
Questo non è il vero essere umani. «Essere umani è invece essere generosi, essere a immagine di Dio».
Papa Benedetto non fa sconti sulla verità e proprio all'indomani della pubblicazione dei dati sulla corruzione in Italia si premura di ricollocare ogni gesto «umano» nella giusta prospettiva.
Certe azioni non sono ammissibili. Non si giustifica un peccato semplicemente derubricandolo a debolezza. Chi ruba va dunque contro l'umanità autentica in quanto compie il male. E il male – comunque la si voglia mettere – resta male. E dato che ciascuno di noi, quando ascolta un richiamo inequivocabile, tende a pensare che riguardi essenzialmente gli altri, il pensiero di tutti vola immediatamente ai recenti scandali, alle inchieste delle procure, ai mariuoli vecchi e nuovi che si agitano nel sottobosco della politica.
Subito dopo il pensiero si appunta sulle decine di furti, rapine e scippi di cui diamo notizia ogni giorno. L'ultima – di ieri – è la truffa perpetrata ai danni di un'anziana donna di Seriate.
Un trentenne italiano «ben vestito ed educato» è riuscito a farsi consegnare 2.500 euro spacciandosi per amico – e creditore – del figlio. La signora è addirittura andata a prelevare la somma in banca. Vien da pensare all'ultimo film di Tarantino, in certi casi: bastardi!
Perché poi lo sappiamo: non sono tanto i soldi svaniti a far male, quanto lo stato di abbattimento, la perdita di autostima di cui soprattutto i non più giovani soffrono quando scoprono di essere stati raggirati dai mille finti poliziotti, finti idraulici, finti assicuratori capaci di ogni nefandezza che si aggirano tra villette e condomini. Bastardi senza gloria e senza frontiere, perché nel fatto di compiere il male sono tutti uguali: italiani o immigrati, con o senza permesso.
Per contrastare una simile calamità, le forze dell'ordine fanno quello che possono. E quello che possono è generalmente poco: redigere la denuncia, farla firmare, in alcuni casi beccare qualcuno con le mani nel sacco, assistere alla sua liberazione. E poi ribeccarlo, riconsegnarlo alla giustizia, e via di questo passo. A fronte dei delitti di mafia e 'ndrangheta furti e truffe agli anziani sono considerati «microcriminalità».
È un modo sbrigativo e superficiale di affrontare il fenomeno: rubare «poco» a chi ha poco significa portargli via «tutto». I danni bisognerebbe sempre considerarli in percentuale, non in valore assoluto. Al poco che è tutto, infatti, si aggrappano le speranze di poter condurre una vecchiaia dignitosa, il senso di una vita vissuta onestamente. Tanto più odioso è dunque chi si approfitta della gente debole e inerme.
Il Papa ha cento volte ragione. Se è vero, infatti, il detto che chi salva una vita salva il mondo intero, chi raggira, scippa, imbroglia un anziano devasta un mondo. Allo stesso modo chi pensa di poter speculare sul dolore altrui (leggi: terremoto), chi si fa un punto d'onore del frodare il fisco, o chi si introduce nelle famiglie altrui per destabilizzarle non ferisce soltanto i bersagli diretti della sua malvagità: squarcia l'intero tessuto della società.
Ed è questo tessuto che il delinquente dovrebbe essere chiamato a ricostituire, non semplicemente la piccola/grande ferita in cui si è espresso. È per questo che non si possono giustificare in alcun modo certi comportamenti.
«Il peccato non è mai solidarietà, è sempre desolidarizzazione», ha aggiunto ieri il Papa. A questo punto – siamo nell'ennesima campagna elettorale – tutti sono pronti a promettere tolleranza zero e inasprimento delle pene. Cose che essenzialmente significano profitti per le ditte che producono e istallano sistemi di sicurezza sempre più invasivi. Ma un confronto fra il numero dei condannati per i reati di cui sopra e quello delle telecamere installate negli ultimi quindici anni darebbe da solo l'immagine dell'abbaglio in cui sono incorse le politiche anticriminalità immaginate dai nostri governanti.
E dunque? Forse si potrebbe cominciare dal chiamare le cose con il loro nome, come ci ha testimoniato ieri il Papa. Un furto non è meno un furto se a compierlo è un branco di ragazzi benestanti che voleva solo passare un pomeriggio meno noioso degli altri. Un truffatore italiano non è meno truffatore di un non italiano e a un politico corrotto dovrebbe essere impedito di rappresentare il popolo, come ha detto ieri lo stesso Berlusconi. Per troppi anni abbiamo pensato che i comportamenti criminali dipendessero dalla società «cattiva» e non dalla volontà delle singole persone. Bisogna dunque cominciare a ricostruire il tessuto della nostra società ricostruendo le persone, se non si vuole fare un altro passo avanti verso il precipizio. È la sicurezza di trovarsi fra persone buone la sicurezza che le persone semplici invocano. Il resto sono chiacchiere vane.

© Copyright Eco di Bergamo, 19 febbraio 2010

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