giovedì 4 marzo 2010
Il chiodo di Gesù. Il ritrovamento archeologico è di quelli che non possono lasciare indifferenti (Osvaldo Baldacci)
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Il chiodo di Gesù
di Osvaldo Baldacci [04 marzo 2010]
Il ritrovamento archeologico è di quelli che non possono lasciare indifferenti. Ci sono tutti gli ingredienti per un fascino irresistibile: l'intrigo, i templari, la religione, le reliquie di Gesù.
E in un momento in cui i thriller all'Indiana Jones o peggio alla Dan Brown tirano così tanto. Ma stavolta non di fantasiose congiure si tratta, né di una caccia a oggetti magici, bensì di un regolare ritrovamento archeologico in Portogallo che però investe un reperto non certo qualsiasi: stiamo parlando infatti del ritrovamento di un antico chiodo "protetto" dalle sepolture di alcuni cavalieri templari. Sì, il pensiero non può non andare subito ai chiodi della crocifissione di Gesù, e alla venerazione antica e nuova di reliquie così preziose. E sulle reliquie della Passione di Cristo molto c'è da dire, a partire dal fatto che molte sono in Italia, compresa quella Sindone di cui è imminente l'ostensione e su cui ci sono nuove teorie, anch'esse legate ai Templari. La scoperta è avvenuta sull'isola di Ilheu de Pontinha, al largo di Madeira, nel mezzo dell'Oceano Atlantico, in un antico forte dei Templari. È stata scoperta una tomba di tre cavalieri, del tutto verosimilmente tre templari, sepolti con le loro spade in un forte appartenuto all'antico ordine di monaci guerrieri. Il simbolo dell'ordine, tra l'altro, compariva su una delle spade dei tre cavalieri seppelliti nella tomba. Quello che però colpisce è che i sepolcri erano come a guardia di uno scrigno istoriato contenente un chiodo, un chiodo la cui datazione lo fa risalire al primo/secondo secolo. Un chiodo lungo dieci centimetri, smussato e levigato come se fosse stato maneggiato da molte mani al pari di una reliquia. La collocazione, la venerazione, i templari, la forma: tutti elementi che fanno pensare che si tratti di uno dei chiodi con cui venne crocifisso Gesù. Secondo il Daily Mirror, che racconta la storia di questa scoperta, l'archeologo Bryn Walters non ha dubbi: «L'epoca corrisponde. Il chiodo risale a un'epoca compresa fra il primo e il secondo secolo. È custodito all'interno di un prezioso scrigno. Inoltre il chiodo invece di essere arrugginito e macchiato, è lucido e ha gli angoli smussati, come se gli acidi del sudore di molte mani lo avessero preservato nei secoli. Sembra che sia stato toccato e tenuto nelle mani di molte persone nel corso dei secoli e questo lo ha reso molto levigato. Segno che per qualcuno quel chiodo aveva molta importanza». Se l'archeologo e i suoi scavi risulteranno attendibili, lo sarà anche il ritrovamento. Questo ovviamente non vorrà automaticamente dire che siamo di fronte a un chiodo della Crocifissione, ma che questo o qualcosa di simile credevano quelli che lo hanno conservato e venerato per secoli. E il fatto che a venerarlo fossero i Templari aggiunge fascino alla vicenda. Non perché dia spago alle fantasie di complottisti e fantarcheologi, ma perché al contrario rende verosimile e concreta la storia. I Templari poco avevano a che fare con complotti e magie, ma molto avevano a che fare con le reliquie e guarda caso proprio con il Portogallo. I Pauperes commilitones Christi templique Salomonis (Poveri Compagni d'armi di Cristo e del Tempio di Salomone) vennero fondati negli anni successivi alla prima crociata (1096) da Ugo di Payns e Goffredo di Saint- Omer, per assicurare l'incolumità dei pellegrini in Terra Santa. L'ordine venne ufficializzato il 29 marzo 1139 dalla bolla Omne Datum Optimum di Innocenzo II e dissolto tra il 1312 e il 1314 dopo un drammatico processo intentato dal re di Francia Filippo il Bello con l'obiettivo di impossessarsi delle loro ricchezze. l re portò dalla sua la Chiesa e il Papa, benché a malincuore, e i Templari vennero banditi da quasi tutti i Paesi cristiani.
Quasi. Solo due regni non si accodarono alle persecuzioni contro i Templari, e anzi si appoggiarono a loro per le proprie imprese: la Scozia e, eccoci al punto, il Portogallo, dove si chiamarono Ordine di Cristo. Avendo la loro base originaria sul Tempio di Gerusalemme, trattando continuamente con i pellegrini e i luoghi santi, partecipando alle imprese militari nelle zone più importanti per la fede, compresa Costantinopoli, i templari avrebbero avuto molto a che fare con le reliquie. Ed ecco tracciata una verosimile strada che dalla Terra Santa porta all'isola portoghese.
Un percorso peraltro che richiama il parallelo con un'altra reliquia, forse la più famosa: la Sindone, la cui ostensione a Torino è in programma dal 10 aprile al 23 maggio. Della Sindone e dei Templari si è occupata intensamente negli ultimi anni la studiosa Barbara Frale. E in proposito ha tirato fuori ben due novità, teorie basate su elementi da lei rilevati.
Teorie che fanno discutere, e che alcuni contestano ferocemente, continuando a portare nuove ipotesi sulla realizzazione della Sindone come falso medioevale. Di recente anche la scoperta di un sudario in Palestina è stata considerata da alcuni la prova della falsità della Sindone solo perché il tipo di tessuto è diverso. Ma quali sono le ipotesi della Frale a supporto della veridicità della Sindone? La prima riguarda strettamente la sua autenticità: la studiosa, funzionaria dell'Archivio Segreto Vaticano, avrebbe individuato sul tessuto delle scritte in varie lingue, cioè latino, greco ed ebraico. Scritte non qualsiasi: ci sarebbe esplicitamente il nome di Gesù Nazareno.L'ipotesi è che si tratti addirittura della firma del funzionario addetto alla sepoltura dei condannati a morte. Qualcosa di clamoroso. Ma l'ipotesi è accolta con prudenza da molti, con scetticismo da alcuni, che contestano l'esistenza delle scritte, ritrovate solo dopo duemila anni, o comunque la loro veridicità.
La precedente ipotesi della Frale riguarda invece il percorso misterioso e controverso che la Sindone avrebbe fatto per arrivare fino a noi. Come è noto, chi contesta l'autenticità della reliquia si basa anche sul fatto che compare per la prima volta nella storia in modo accertato solo nel 1353 in una cittadina del nord francese. Ed ecco che entrano in gioco i Templari. La famiglia che possedeva la Sindone era quella dei de Charny, e un Geoffrey de Charny era stato bruciato sul rigo da Filippo il Bello quarant'anni prima, nel 1314, essendo l'ultimo precettore templare di Normandia. Nei secoli precedenti diversi indizi fanno pensare che il sudario di Cristo fosse stato conservato per secoli nella città capitale della cristianità d'oriente, Costantinopoli. Probabilmente fu presa come bottino dai crociati che saccheggiarono l'attuale Istanbul durante la Quarta Crociata. La Frale ipotizza che cadde in mano alla famiglia de La Roche, che nel 1260 l'avrebbe venduta a un suo membro capo dei Templari in oriente. Il traffico di reliquie era punito con la scomunica, quindi i Templari non ufficializzarono mai il possesso, ma tra le accuse a loro rivolte c'era quella di venerare immagini presentate dagli accusatori come di idoli, in particolare quella di un uomo barbuto. Un'immagine che secondo documenti studiati dalla Frale era proprio un telo di lino con impressa la figura di un uomo che veniva adorata praticando il bacio sui piedi. Di reliquie che riportano alla Passione di Gesù ne esistono molte, più o meno attendibili, più o meno note e discusse, con storie accuratamente ricostruite oppure con comparse improvvise e sospette.
Bisogna qui ricordare che per la Chiesa cattolica le reliquie non sono certo oggetto di fede, né hanno un qualche potere intrinseco. Sono solo uno strumento che può essere onorato, non adorato. Servono in qualche modo a rendere testimonianza della realtà storica, concreta,materiale di ciò che è connesso alla fede. Aiutano a catalizzare l'attenzione dei fedeli, e a far sentire più vicino e vero ciò che è connesso all'azione di un santo, o addirittura dello stesso Gesù. Ma in nessun modo incidono sulla fede. Un'altra cosa che va detta è che soprattutto nei primi secoli e nel medioevo il culto delle reliquie è spesso degenerato in un commercio che nulla ha di religioso, che è stato sempre condannato dai documenti della Chiesa (un po' meno dalla prassi), e che sa più che altro di collezionismo, nulla assicurando una reliquia in termini di religione né tantomeno di inesistenti poteri magici e ultraterreni. Vendere o acquistare una reliquia rientra nella simonia, e ovviamente non garantisce nessun beneficio religioso, anzi il contrario. Ciononostante le reliquie hanno sempre avuto un fascino che va oltre la pura religione, e chi le ha giustamen te le mette in evidenza e le espone ad una modica venerazione. Ad esempio di chiodi della croce, ipotetico oggetto del ritrovamento archeologico portoghese, ne esistono già diversi, famosi e anche abbastanza verosimili.Verosimili se si pensa che possano essere stati conservati dal giorno della morte di Gesù. Comunque quel che si può dire per certo è che in questi casi si tratta di oggetti molto antichi e venerati per secoli fin da tempi remoti, dai primi secoli del cristianesimo. Ce ne sono a Roma, a Milano, a Monza, forse in Toscana, e anche in altre località, tra cui Vienna. Intanto quanti erano i chiodi della croce? La tradizione più antica si riferiva a quattro, uno per ogni mano (all'inizio si credeva piantati nei palmi, oggi si preferisce l'ipotesi polsi) e ogni piede. In realtà poi si è affermata l'ipotesi che fossero tre, con i due piedi inchiodati l'un sull'altro. Anche la Sindone confermerebbe questa ricostruzione. Naturalmente però bisogna dire che di chiodi ce ne saranno stati altri, oltre a quelli nelle carni di Gesù: per la struttura della croce, per appendere la scritta, quelli delle altre due croci. Inoltre era d'uso limare i chiodi ritenuti veri per inserire la limatura in chiodi nuovi da donare a chiese e personaggi eminenti. Probabile infine che fin dall'epoca più antica possano essere stati creduti veri chiodi che magari non lo erano. D'altro canto già la storia iniziale del ritrovamento delle reliquie più sacre per quanto antica ha comunque del favoloso. Se infatti non si può escludere a priori che certi oggetti siano stati conservati e tramandati nelle prime comunità cristiane, la storia del ritrovamento della Croce da parte di Sant'Elena, madre di Costantino, appare un po' troppo miracolistica, con la croce e le altre reliquie ritrovate sepolte e intatte.È comunque da lì che parte la storia di queste reliquie, una storia già definita nel V secolo secondo la testimonianza di Sant'Ambrogio. Non si può dunque escludere che davvero l'imperatrice partita per l'Oriente abbia avuto l'autorità, la volontà e la possibilità di ottenere delle reliquie, al limite forse anche autentiche, ma difficilmente nel modo narrato dalla tradizione.
Comunque almeno dal tempo di Elena in poi è possibile tracciare la storia di queste reliquie, quasi duemila anni. Dei chiodi, uno fu calato in mare da Elena durante il viaggio di ritorno a Roma per placare una tempesta nell'Adriatico: Elena regalò quel chiodo alla Chiesa di Treviri. Gli altri chiodi furono inviati al figlio Costantino, il quale per proteggersi ne fece inserire uno nel suo elmo e un altro lo fece modellare a forma di morso per il suo cavallo. Si parla anche di un ulteriore chiodo inserito da Costantino nelle briglie. Nelle nuove collocazioni i chiodi passarono ai successivi imperatori fino a Teodosio, che donò quello inserito nel morso del cavallo all'arcivescovo di Milano, Sant'Ambrogio. Esso è ancora conservato in un reliquiario a forma di croce posto alla sommità dell'abside del Duomo di Milano, esposto alla venerazione dei fedeli due volte all'anno, con la celebre Nivula. Altri chiodi sarebbero stati conservati a Costantinopoli fino a Giustiniano: Papa Vigilio nel 555 prestò un giuramento "sulla virtù dei Santi Chiodi che in quel luogo si conservavano". Risulta che poi nel 586 l'imperatore Costantino Tiberio regalò i chiodi a San Gregorio Magno che ritornava a Roma, e fu così che uno dei chiodi venne donato alla Basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma dove è tuttora conservato. La basilica sorge sulla cappella del palazzo imperiale di Sant'Elena, cappella che l'imperatrice avrebbe fatto pavimentare con terra della città santa, e che secondo altre fonti già lei stessa aveva destinato alla conservazione di quelle preziose reliquie da lei riportate da Israele.Con il chiodo infatti si trovano anche spine della corona di Gesù, il più grande frammento della Croce, nonché parte dell'iscrizione in latino, greco ed ebraico fatta porre da Pilato sopra Gesù crocifisso. Tornando ai chiodi, di un altro paio si può seguire un po' la storia. Costantino come dicevamo l'avrebbe messo sul suo elmo imperiale, e a un certo giustamenpunto quella che di fatto era la sua corona venne divisa e una parte inviata in Italia. Per lungo tempo si è dato per certo che il chiodo fosse contenuto nella Corona Ferrea con cui dai longobardi in poi, fino a Napoleone, venivano incoronati i re d'Italia, conservata nel Duomo di Monza. Per alcuni la corona sarebbe lo stesso diadema dell'elmo di Costantino, e ciò potrebbe essere vero. Quel che invece è stato smentito è che il chiodo sia stato fuso per realizzare l'anello interno del diadema, rimasto miracolosamente non arrugginito: in realtà quella lamina è d'argento, e non è quindi il chiodo. Rimane però verosimile la tradizione che collega il chiodo alla corona di Costantino e da qui alla Corona ferrea. Ma in qualche modo, nei vari smembramenti e restauri, l'identificazione precisa e le tracce del chiodo si sono quanto meno confuse. Nel 1717 le autorità vaticane decretarono che, pur in assenza di prove certe sulla presenza del chiodo nella corona, ne era autorizzata la venerazione come reliquia. Un altro chiodo che si fa risalire agli imperatori, e forse quindi fino a Costantino, si trova invece a Vienna, nel tesoro imperiale: sarebbe stato inserito nella Sacra Lancia, a sua volta una preziosa reliquia, cioè la lancia con cui il centurione Longino trafisse Gesù sulla croce. La Lancia era uno dei simboli del Sacro Romano Impero Germanico. Ma ci sono altre lance che reclamano di essere quella di Longino, e tra queste spicca quella in San Pietro.
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