sabato 24 aprile 2010
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MAURIZIO MOLINARI
NEW YORK
Alla base del tentativo di coinvolgere i vertici della Santa Sede nelle cause sugli abusi avvenuti c'è un problema giuridico-culturale, la non comprensione di come funziona la Chiesa cattolica»: a sostenerlo è Jeffrey Lena, 51 anni, l'avvocato californiano cui la Santa Sede si è affidata per difendersi dai tentativi di implicarla legalmente nello scandalo della pedofilia che tiene ora banco in tre tribunali americani. L'ultimo affondo contro Papa Benedetto XVI arriva da Milwaukee, nel Wisconsin, dove l'avvocato Jeffrey Anderson lo ha chiamato in causa per un episodio inerente gli abusi contro circa duecento bambini compiuti dal prete Lawrence Murphy fra il 1950 e il 1974.
«L'atto di citazione presentato riguarda solo una vittima. Murphy fu accusato di aver abusato di centinaia. Ma questo caso è relativo a una sola. Non si sa ancora nulla del periodo nel quale l'abuso avvenne, se non che fu prima del 1975. Il testo della citazione è intenzionalmente vago su questo punto» spiega Lena, che nel 2005 fece archiviare un'altra causa contro il Papa.
Che cosa pensa del caso di Milwaukee?
«Alle vittime degli atti criminali di padre Lawrence Murphy è dovuta la totale simpatia. Abusando sessualmente di loro, Murphy violò tanto la legge quanto la fiducia che le vittime riponevano in lui. A peggiorare le cose c'è il fatto che le vittime scelte da Murphy erano le più vulnerabili, cioé i bambini di una comunità di non udenti. Ma se è vero che certe vittime di abusi hanno iniziato legittime cause legali, il caso in questione - che cerca di portare in tribunale non il vescovo locale, ma il Papa e ufficiali della Santa Sede, i cardinali Bertone e Sodano - è ben diverso: è un tentativo di strumentalizzare i tragici eventi di un abuso sessuale successo più di 35 anni fa come piattaforma per lanciare un attacco più generale alla Santa Sede di oggi, tutto basato sull'errata descrizione della Chiesa cattolica come un'azienda internazionale. A loro avviso la Chiesa è quasi soltanto un ente a scopo di lucro».
Che cosa c'è dietro il tentativo di avvocati come Jeffrey Anderson di equiparare la Chiesa a una grande corporation?
«Ci sono due problemi principali. Da una parte c'è un tentativo di strumentalizzare il dolore di persone vittime di abusi per colpire la Santa Sede, e non lo dico per diminuire né tanto meno negare il dolore delle vittime di Murphy. Ma a un livello più profondo esiste un altro problema, ancora più grave, secondo me: la non comprensione della struttura giuridica della Chiesa. Loro o non capiscono o non vogliono capire che le diocesi - e gli ordini religiosi - sono persone giuridiche separate. La gente che va in Chiesa si fa il segno della croce e versa le offerte: da questo traggono la convinzione che i fondi vanno al Vaticano e che il Vaticano controlla i singoli come una grande impresa economica. È una visione della Chiesa errata. L'amministrazione nella Chiesa è in gran parte gestita dai vescovi, dalle singole diocesi locali, che usano i soldi raccolti soprattutto per mandare avanti le proprie attività sociali».
Su che cosa è basata l'ipotesi dell'accusa?
«L'ipotesi dell'accusa sembra essere basata sulla teoria che il Vaticano trae profitti, mantenendo alti i contributi grazie al fatto di mantenere la segretezza per quanto riguarda le questioni di abusi sessuali. Ma ci sono altre accuse ancora più problematiche, come quelle sollevate nei confronti del cardinale Sodano, accusato di aver causato un danno a una vittima per il mero fatto di non aver risposto a una lettera. Mi sembrano fracncamente esagerazioni».
Che cosa c'è di vero nell'accusa di segretezza al Vaticano?
«Molti vorrebbero sostenere che il Vaticano ha ordito un complotto del silenzio per mettere a tacere le accuse di abusi e, in parte, per proteggere le donazioni. La tesi dell'accusa è che esiste un legame diretto fra abusi e donazioni: il Vaticano avrebbe taciuto sui primi per non pregiudicare le seconde. Ma è una tesi infondata. Al contrario. Infatti il diritto canonico non proibisce la denuncia alle autorità civili di un abuso avvenuto negli Stati Uniti. Purtroppo, il tam tam della controparte ha convinto molta gente di tutt'altro».
Qual è la sua posizione sul merito della causa sollevata a Milwaukee che chiama in causa non solo il Papa ma anche i cardinali Sodano e Bertone?
«È una causa senza fondamento. I reati di cui si parla divennero noti nel 1975 e la Santa Sede ne venne a conoscenza solo nel 1995. Affermare che la Santa Sede volle mettere a tacere fatti avvenuti vent’anni prima di conoscerne l'esistenza non ha alcun fondamento».
Più in generale qual è il suo approccio alle cause sugli abusi compiuti da preti?
«Innanzitutto difendo solo la Santa Sede e non altri enti cattolici. Ma posso dire che ogni singolo abuso sessuale è un reato con una vittima e un colpevole. E come tale va perseguito dalla giustizia. Altra vicenda è invece l'ipotesi di un coinvolgimento di responsabilità della Santa Sede, basata su una comprensione errata del suo ruolo rispetto agli ordinari delle diocesi».
Finora i tribunali americani non hanno accettato accuse dirette contro la Santa Sede. Perché?
«Innanzitutto perché esiste un principio recentemente attestato dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, ovvero che l'accusa, per procedere al merito, deve avere come base un fatto non solo possibile ma anche plausibile. E in secondo luogo perché la teoria che i preti, o i vescovi, sono impiegati che "lavorano per la Santa Sede" non ha fondamento. Proprio in base a queste due ragioni la difesa sostiene che i tribunali americani non possono esercitare giurisdizione sulla Santa Sede».
Perché la questione della giurisdizione è così importante?
«Come ho cercato di spiegare in un altro contesto una settimana fa, la gente potrebbe pensare che questi casi sono importanti perché coinvolgono la Santa sede e il Papa. Questo è vero solo in parte. Questi casi sono importanti anche per un'altra ragione: in un mondo dove la legge internazionale chiede che ogni ente sovrano sia trattato con rispetto e giustizia, è di importanza critica che l'equilibrio dei poteri tra enti internazionali sia spostato a favore degli Stati Uniti attraverso un ampliamento della giurisdizione dei tribunali americani. Questo tema non riguarda solo la Santa Sede ma tutti gli Stati sovrani. Se ai tribunali americani dovesse essere consentito di esercitare la giurisdizione in questi casi, dove la Santa Sede non è veramente coinvolta, ciò comporterebbe che gli stessi tribunali domani potrebbero esercitare la giurisdizione in modo più espansivo anche nei confronti di altri Stati sovrani. E ciò potrebbe condurci a uno squilibrio preoccupante delle relazioni fra gli Stati sovrani».
© Copyright La Stampa, 24 aprile 2010 consultabile online anche qui.
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