mercoledì 26 maggio 2010
Benedetto XVI all’udienza generale: l’autorità della Chiesa è il servizio d’amore a Cristo. Il Papa è custode dell’obbedienza al Signore
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Benedetto XVI all’udienza generale: l’autorità della Chiesa è il servizio d’amore a Cristo. Il Papa è custode dell’obbedienza al Signore
La Chiesa esercita un’autorità che è servizio d’amore nel nome di Gesù Cristo: è quanto affermato da Benedetto XVI all’udienza generale di stamani in Piazza San Pietro, gremita di pellegrini. Nella catechesi, il Papa si è soffermato sul compito di governare del presbitero ed ha offerto una riflessione sul concetto di autorità nella Chiesa, ribadendo che non esiste contrasto tra dimensione pastorale e gerarchia. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Che cos’è realmente per noi cristiani l’autorità?”: muove da questo interrogativo la riflessione di Benedetto XVI sul mandato del Signore a guidare il proprio gregge. Il Papa rileva che le esperienze dittatoriali del recente passato hanno reso l’uomo contemporaneo “sospettoso nei confronti” del concetto di autorità. Un sospetto che, non di rado, “si traduce nel sostenere come necessario l’abbandono di ogni autorità”:
“Ma proprio lo sguardo sui regimi che, nel secolo scorso, seminarono terrore e morte, ricorda con forza che l’autorità, in ogni ambito, quando viene esercitata senza un riferimento al Trascendente, prescindendo dall’Autorità suprema, che è Dio stesso, finisce inevitabilmente per volgersi contro l’uomo”. Di qui, parlando a braccio, il Papa ha rivolto il suo pensiero al rapporto tra gerarchia e dimensione pastorale della Chiesa. Nell’opinione pubblica, ha rilevato, si è affermata l’idea di un contrasto tra la gerarchia e la vitalità ed umiltà del Vangelo:
“Ma questo è un male inteso senso della gerarchia, storicamente anche causato da abusi di autorità e da carrierismo”. Ciò, ha proseguito, deriva dunque da una interpretazione sbagliata del concetto di gerarchia, che significa in realtà “sacra origine” e richiama perciò un’autorità che viene da un Altro. La gerarchia, ha spiegato il Papa, implica che la persona sia sottoposta al Mistero di Cristo. Solo in quanto servo di Cristo il pastore può governare: “Chi entra nel sacro Ordine del Sacramento, la 'gerarchia', non è un autocrate, ma entra in un legame nuovo di obbedienza a Cristo ...
E anche il Papa - punto di riferimento di tutti gli altri Pastori e della comunione della Chiesa - non può fare quello che vuole; al contrario, il Papa è custode dell’obbedienza a Cristo, alla sua parola riassunta nella 'regula fidei', nel Credo della Chiesa, e deve precedere nell’obbedienza a Cristo e alla sua Chiesa". La Chiesa, ha aggiunto, esercita un’“autorità che è servizio” non a titolo proprio, “ma nel nome di Gesù Cristo”. La Chiesa pasce dunque il gregge del Signore attraverso i suoi Pastori che sono il “tramite attraverso il quale Cristo stesso ama gli uomini”. Tale compito, fondato sul Sacramento, ha constatato, non può però essere separato “dall’esistenza personale del presbitero”:
“Per essere Pastore secondo il cuore di Dio (cfr Ger 3,15) occorre un profondo radicamento nella viva amicizia con Cristo, non solo dell’intelligenza, ma anche della libertà e della volontà, una chiara coscienza dell’identità ricevuta nell’Ordinazione Sacerdotale, una disponibilità incondizionata a condurre il gregge affidato là dove il Signore vuole e non nella direzione che, apparentemente, sembra più conveniente o più facile”.
Bisogna lasciare che Cristo stesso “governi l’esistenza sacerdotale dei presbiteri”, ha soggiunto. “Il modo di governare di Gesù – ha detto ancora – non è quello del dominio, ma l’umile ad amoroso servizio della Lavanda dei piedi”. Ed ha ribadito che “nessuno è realmente capace di pascere il gregge se non vive una profonda e reale obbedienza a Cristo e alla Chiesa”. Per questo, alla base del ministero pastorale, “c’è sempre l’incontro personale e costante con il Signore”. Il Papa ha quindi esortato i sacerdoti a non avere paura di guidare a Cristo i fratelli affidati:
“Non c’è, infatti, bene più grande, in questa vita terrena, che condurre gli uomini a Dio, risvegliare la fede, sollevare l’uomo dall’inerzia e dalla disperazione, dare la speranza che Dio è vicino e guida la storia personale e del mondo: questo, in definitiva, è il senso profondo ed ultimo del compito di governare che il Signore ci ha affidato”.
Il Papa ha invitato i sacerdoti a partecipare alle celebrazioni conclusive dell’Anno Sacerdotale, dal 9 all’11 giugno prossimo. Quindi ha chiesto ai fedeli di pregare per lui, i vescovi e i sacerdoti:
“Pregate perché sappiamo prenderci cura di tutte le pecore, anche quelle smarrite, del gregge a noi affidato”.
Al momento dei saluti ai pellegrini, Benedetto XVI ha rivolto un saluto speciale ai fedeli provenienti da San Giovanni Rotondo, dove l’anno scorso si era recato in visita per venerare le spoglie di San Pio da Pietrelcina. Infine, ha ricordato la figura di San Filippo Neri di cui si celebra oggi la memoria liturgica:
“La Chiesa ricorda oggi San Filippo Neri, che si distinse per la sua allegria e per la speciale dedizione alla gioventù, che educò ed evangelizzò attraverso l'ispirata iniziativa pastorale dell'Oratorio. Cari giovani, guardate a questo Santo per imparare a vivere con semplicità evangelica”.
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1 commento:
Un'altra eccezionale catechesi del Santo Padre. Mi è piaciuta soprattutto la negazione di una separazione tra "pastorale" e "gerarchia". Viva Benedetto Decimosesto!
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