lunedì 28 giugno 2010

Intervista con Eric de Beukelaer, portavoce dei vescovi del Belgio:


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Il Papa: auspico che la giustizia faccia il suo corso,a garanzia dei diritti fondamentali delle persone e delle istituzioni,nel rispetto delle vittime

Attenzione ai titoli delle agenzie di stampa che non colgono la notizia: il Papa riconosce il diritto della giustizia civile ad indagare. Ad essere deplorevoli sono le modalita' non le perquisizioni!

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Messaggio del Papa al presidente della Conferenza episcopale del Belgio sulle modalità delle perquisizioni nella cattedrale di Malines

Il Papa: "Più volte io stesso ho ribadito che tali gravi fatti (gli abusi sui minori) vanno trattati dall’ordinamento civile e da quello canonico, nel rispetto della reciproca specificità e autonomia. In tal senso, auspico che la giustizia faccia il suo corso, a garanzia dei diritti fondamentali delle persone e delle istituzioni, nel rispetto delle vittime, nel riconoscimento senza pregiudiziali di quanti si impegnano a collaborare con essa e nel rifiuto di tutto quanto oscura i nobili compiti ad essa assegnati" (Messaggio al Primate del Belgio)

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BELGIO - Il pensiero alle vittime

Intervista con Eric de Beukelaer, portavoce dei vescovi

La “gratitudine” dei vescovi belgi per le parole di “vicinanza” espresse dal Papa in seguito alla perquisizione della polizia all’arcivescovado di Malines-Bruxelles. A parlare è Eric de Beukelaer, portavoce della Conferenza episcopale belga, secondo il quale il messaggio inviato domenica 27 giugno dal Papa a mons. André Joseph Léonard, arcivescovo di Malines-Bruxelles e presidente della Conferenza episcopale, mette “le cose nella giusta prospettiva”. Ne parliamo con lui in questa intervista.

Come hanno accolto i vescovi il messaggio del Papa?

“Con gratitudine, perché pensiamo che questo messaggio metta le cose nella giusta prospettiva. La Chiesa belga ha vissuto una situazione per così dire inusuale, e cioè una perquisizione in arcivescovado. L’immagine è stata forte anche perché la perquisizione è stata fatta durante la riunione di tutti i vescovi del Belgio. Non mi era mai successo, almeno da quando sono portavoce, di ricevere telefonate anche dall’estero per chiedermi che cosa stava succedendo in Belgio. Ed io ho sempre risposto che magari pur non essendo d’accordo su tutto, la giustizia ha il dovere di fare il suo lavoro. Credo che il fatto che il Santo Padre lo riaffermi nel suo messaggio, dicendo che pur non essendo d’accordo sulle modalità, la giustizia debba continuare a fare il suo lavoro, sia un buon contributo. Il messaggio poi è segno che il Santo Padre pensa a noi, non ci abbandona, anzi dimostra di voler mostrare la sua vicinanza, come fa un padre di una famiglia”.

Ma come sono state accolte le sue parole dal Paese?

“Lo posso dire rifacendomi a quanto pubblicato sui media. Abbiamo assistito a due atteggiamenti. Quello di coloro che fin dall’inizio hanno difeso l’intervento della giustizia, dicendo che la giustizia deve fare il suo lavoro e che la Chiesa non è al di sopra della legge. Che è poi quello che abbiamo sempre detto anche noi. E quello di coloro che hanno avuto cura di leggere il messaggio nella sua interezza ed hanno notato che il Papa si rivolge ai vescovi. Non è quindi il messaggio del Papa in quanto capo di uno Stato ma è il messaggio del Papa in quanto successore di Pietro ai suoi fratelli, vescovi del Belgio. E nel messaggio il Papa dice anche tutta una serie di cose. Parla ovviamente di modalità sorprendenti e deplorevoli, anche perché sono stati perquisiti e sequestrati tutti i dossier della Commissione che, comunque, stava facendo un ottimo lavoro e alla quale si erano rivolte delle persone in tutta fiducia. E allo stesso tempo, come anche i nostri vescovi hanno voluto sottolineare, si ribadisce che se questo può fare avanzare il lavoro della giustizia, si è pronti a collaborare. È una linea che questo messaggio riprende. Ora bisogna riportare la serenità”.

Come fare ora per ricostruire la fiducia tra la Chiesa e la giustizia civile?

“Non si tratta di costituire serenità tra la Chiesa e la giustizia. Il professore Peter Adriaenssens lavora in una Commissione interna alla Chiesa. La Commissione tratta dossier molto delicati, e questo lo fa in una rapporto di profonda fiducia da parte delle autorità giudiziarie. Ora si ha come l’impressione che questa fiducia non ci sia più, c’è come il sospetto che si nascondano questi dossier alla giustizia civile. Per cui la Commissione si sta chiedendo come può continuare il suo lavoro”.

Come si prospetta il futuro?

“Come si fa a dirlo? È troppo presto. Bisognerà vedere. In ogni caso, se si deciderà che la Commissione dovrà fermare il suo lavoro, sarebbe un grande danno, perché sta facendo un lavoro notevole e lo sta facendo soprattutto a fianco delle vittime. Non siamo assolutamente in concorrenza con la giustizia. Ci sono casi che non arriverebbero mai davanti alla polizia o alla giustizia civile. Ci sono persone che vogliono far ascoltare le loro storie, sarebbe un grande peccato non poterglielo permettere. Oggettivamente questo sarebbe il danno più grande: certo non è piacevole essere trattenuti tutto un giorno, non è piacevole che telefonini, agende e computer siano stati requisiti, ma tutto ciò è nulla rispetto alla sofferenza delle vittime. Bisogna quindi pensare alle vittime, a quelle vittime che hanno fiducia e si sono rivolte alla Commissione”.

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