giovedì 26 agosto 2010
Il card. Scola al Meeting: «Dobbiamo risvegliare la nostalgia di Dio» (Viana)
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Scola al Meeting: «Dobbiamo risvegliare la nostalgia di Dio»
Dal nostro inviato a Rimini Paolo Viana
Patriarca Scola, Il Meeting sostiene che il nostro cuore desidera cose grandi; ma l’uomo postmoderno, secolarizzato, laicizzato, può davvero desiderare Dio?
Il desiderio umano - ci risponde il Patriarca di Venezia al termine dell’incontro su Chiesa e postmodernità seguito da migliaia di persone - è il tendere di tutto il mio io all’incontro con il mondo reale. Possiamo tendere a obiettivi fallaci ma, come Agostino scrive, "Tu ci hai creati per te ed il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te". Cuore è la parola giusta per dire desiderio: permette di volgerci con affetto a ciò che non si possiede, alle "cose grandi" richiamate dal Meeting, e nulla vi è di più grande di Dio, al punto che non si trova pace finché non si riposa in Lui. Ogni altro desiderio che tesse la trama quotidiana dell’umana esperienza - il desiderio di avere la vita salva, di amare e di essere amato, di edificare la città - rinvia "più in là".
La tradizione giudaico-cristiana è stata di fatto rinnegata dall’Unione europea e in Italia periodicamente si riapre la guerra sui crocifissi nelle aule scolastiche. Per la società, come si diceva una volta, Dio è morto?
Fino a quindici anni fa si parlava dell’eclissi di Dio ma nella post-modernità, che si è aperta con la caduta dei muri, la domanda oggi non si pone più termini "Esiste Dio?" ma "Come averne notizia?". Per parlare di Dio all’uomo post-moderno occorre domandarsi se c’è una "familiarità" con lui e io ritengo che la convinzione che Dio si è fatto conoscere e si è reso familiare perché si è compromesso con la storia degli uomini sia nel DNA della mentalità occidentale. Per questo, puntualmente, riaffiora nel reale la grammatica attraverso cui il Dio che si è coinvolto con la storia continua a darci notizia della sua presenza tra noi. Diceva Wojtyla: "Eppure esiste qualcosa che può essere chiamato esperienza comune dell’uomo".
Quindi è possibile parlare di Dio anche alla politica?
Il politico - come tutti - deve guardarsi dal rischio di inseguire gli idoli. Elliot diceva che gli uomini si illudono di poter costruire sistemi così perfetti che evitino loro di essere buoni.
Il federalismo rientra tra questi?
Il federalismo è buona cosa se è un metodo, perché allora non può rompere l’unità del Paese ma solo valorizzarla. Ci vogliono però dei momenti di verifica: un metodo è valido se è efficace, se consente all’economia di ottenere il massimo risultato con i minimi mezzi, e se rispetta i criteri di giustizia. Il Nord non può crescere a scapito del Sud ma l’egualitarismo spesso provoca ingiustizie.
Il respingimento degli immigrati è un’ingiustizia?
Paolo VI definì la Chiesa una realtà etnica sui generis: l’accoglienza rappresenta un dovere per noi, ma i soggetti in campo sono almeno tre. Oltre alla Chiesa che pratica la carità, ci sono le istituzioni che devono dare una risposta organizzata al fenomeno, risposta che dev’essere europea e prevedere anche dei limiti. Evitiamo scontri tra rigidisti e buonisti: la responsabilità del governo è oggettiva, così come la Caritas ha il dovere di prendersi cura anche dei clandestini, nel rispetto delle leggi. Il terzo soggetto è la società civile, ancora forte e vitale checchè dicano certi politologi. L’Italia ha la più ricca e articolata società civile dell’Europa: è lì che deve avvenire l’integrazione.
Se tutto è così semplice e chiaro, perché non riusciamo a "desiderare cose grandi"?
La difficoltà principale sta in questo: la nostra epoca è contraddistinta da un individualismo psicologico e sociale di vasta portata che rende fragili i rapporti umani, specialmente la trasmissione del significato della vita tra le generazioni. Nel post-moderno l’individualismo è inteso in senso neutro, né buono né cattivo, è meccanica ed ossessiva attenzione al valore singolare dell’uomo come singolo autonomo e separato.
Con quali conseguenze sociali?
Il fatto che in Occidente l’età della morte si sia elevata di molto e in breve tempo ha fatto sì che il figlio sia diventato il prodotto di una riduttiva aspirazione soggettiva e ciò ha riformulato la percezione che le persone hanno di se stesse: non si sentono più chiamate a far parte della catena delle generazioni, ma anzitutto a realizzare la propria autonomia; non si considerano più responsabilmente inserite in un tessuto di compiti e doveri, ma in una trama di voglie e aspirazioni.
Il quoziente famigliare aiuterebbe a raddrizzare la rotta?
L’idea che sta dietro il quoziente famigliare rappresenta un’istanza sacrosanta: o questo Paese si decide a darsi una politica famigliare veramente preveggente oppure ci renderemo responsabili di un’involuzione sociale molto pericolosa perchè la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna aperto alla vita è la base per ricostruire il Paese. Certo, il crollo degli assoluti mondani renderà più evidente il vuoto dell’individualismo e sarà soprattutto su questo terreno che prenderà forma la proposta della familiarità di Dio con noi, che potrà fiorire solo grazie alla paziente ricostruzione di relazioni buone e pratiche virtuose. Non se ne esce facendo geremiadi, servono testimoni che risuscitino la nostalgia di Dio - la santità -. E la Chiesa - al di là dei limiti del suo personale - è il popolo dei testimoni.
Proprio qui, a Rimini, nel 2004 con l’incontro Bignardi-Cesana il laicato cattolico ha ritrovato la sua unità. Ora c’è chi sostiene che il clima sia cambiato e parla di un nuovo dualismo progressisti-conservatori. Cosa ne pensa?
Negli ultimi sei-sette anni, dopo il grande sforzo di Giovanni Paolo II e le riflessioni ecclesiologiche di Benedetto XVI, la situazione all’interno della Chiesa è prevalentemente orientata all’unità: le chiese locali adottano uno stile di collaborazione e la consulta dei laici è un luogo di incontro per tutti. Quello tra Bignardi e Cesana non era un incontro simbolico, rappresentava un indirizzo preciso: la pluriformità dentro l’unità ecclesiale. E quell’unità regge ancora. Diverso il discorso sulla presenza dei cattolici in politica, ma proprio chi ci richiama spesso a tenere ben distinti i due ambiti non dovrebbe fare confusione...
In politica i cattolici che militano nei diversi schieramenti possono desiderare cose grandi insieme?
Chi si impegna in politica deve dimostrare che la fede nel Dio incarnato incide anche nella vita quotidiana, dalla sessualità alla edificazione di una società plurale, alla bioetica, temi da affrontare in confronto con gli altri soggetti che animano la società plurale. E qui deve iniziare una nuova stagione dell’impegno politico, come quella auspicata dal Papa e dal cardinal Bagnasco. Servono meno adulti chierichetti dietro l’altare e più adulti coscienti della propria fede nella realtà politica, economica e sociale del nostro Paese.
© Copyright Avvenire, 26 agosto 2010 consultabile online anche qui.
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