martedì 7 settembre 2010

Il "Requiem" di Mozart in programma nel concerto offerto a Benedetto XVI dalla Pontificia Accademia delle Scienze (Filotei)


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Il "Requiem" di Mozart in programma nel concerto offerto a Benedetto XVI dalla Pontificia Accademia delle Scienze

Io sto con Salieri

Martedì 7 settembre al Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo la Pontificia Accademia delle Scienze offre un concerto in onore di Benedetto XVI. L'Orchestra di Padova e del Veneto e il Coro Accademia della Voce di Torino saranno diretti da Claudio Desderi. In programma la Messa da Requiem di Mozart.
Salieri non ha ucciso Mozart, però probabilmente avrebbe voluto. Non tanto per toglierlo dall'elenco dei concorrenti, ma per guardare nel cervello e capire come faceva, spesso con poche note, a lasciar intuire tutto. Sarebbe stato inutile, Salieri lo sapeva e si è astenuto dall'omicidio. Quello che c'era nella testa si chiama genio, ce l'hanno in pochi e non si vede a occhio nudo. Peggio, non c'è modo di capire come si fa a fare le cose in quel modo con gli stessi strumenti che hanno a disposizione pure gli altri. Si può solo analizzare il risultato dopo, godendo con l'anima e recriminando con la pancia. La capacità di sintetizzare l'infinito in un colpo d'arco o in una frase dei legni provoca nell'ascoltatore un misto di ammirazione e impotenza. Non invidia, ché il genio è troppo lontano per sollecitarla, ma un fondo di inquietudine.
Se c'è un'opera nella storia della musica che sembra fatta appositamente per mettere in luce la differenza tra il genio e l'ottimo artigiano è il Requiem in re minore. Non solo, sembra fatta apposta per entrare nel mito, se è vero che per essere veramente immortale è assolutamente necessario morire giovane e lasciare qualcosa da completare. Morire mentre si scrive un Requiem è una fortuna sfacciata. Mozart ce le ha avute tutte: bambino prodigio, compositore incommensurabile, era quasi inevitabile che gli capitasse pure questo. Quando ha visto arrivare l'anonimo inviato che gli chiedeva di comporre una messa da morto, dietro lauto compenso, ha avuto un oscuro presentimento, è rimasto profondamente scosso, ma perfettamente in grado di riscuotere un congruo anticipo. Qualche nota l'ha buttata giù subito, poi è tornato a occuparsi di taluni dettagli come il completamento del Flauto magico, la stesura de La clemenza di Tito e la composizione del Concerto per clarinetto. Quando si è dedicato completamente al Requiem era troppo tardi.
Il committente continuava a insistere, diventava un'ossessione, il pensiero del compositore fisso sulla morte, più vicina di quanto non pensasse. Salieri riverso sul letto raccoglieva dalla voce tremante del genio le ultime note e le trascriveva maldestramente. Pioggia battente, cavalli al galoppo, il messo che arriva e trova il lavoro incompleto. Tutto molto poetico, adatto a film, leggende, libri, ma non è andata così.
L'inviato era un servitore del conte Franz von Walsegg-Stuppach e con la morte non aveva alcuna parentela diretta. Il suo padrone era un imbroglione, che amava spacciarsi per compositore. Il titolato commissionava di nascosto lavori a grandi musicisti imponendo loro il silenzio in cambio di vile denaro, che l'artista di rado disdegna. In questo caso il Requiem sarebbe servito a onorare la memoria della contessa, da poco scomparsa. Mozart lavorò fino a che ce la fece, come tutti. La moglie trovò il manoscritto incompleto e si preoccupò in primo luogo di non dover restituire l'acconto, chiamò i musicisti che conosceva e gli fece finire l'opera. Quello che sentiamo oggi è un mosaico di brani composti per intero da Mozart, abbozzi completati da altri e parti completamente ascrivibili a Franz Xaver Süssmayr, un buon artigiano del pentagramma. Ma più è grande la differenza tra i talenti e meglio è. In un'opera incompiuta, infatti, si ascolta sia quello che c'è sia quello che non c'è: come la monumentale fuga che Mozart aveva ideato sull'Amen finale del Lacrimosa e che l'allievo risolse con due accordi. Al fine della costruzione del mito niente vale più di quella fuga non scritta.
L'alone mistico ha accompagnato il pezzo per secoli, ma il mistero vero è come abbia fatto un uomo sul punto di morte a gestire con una lucidità assoluta una sintesi perfetta tra antiche tradizioni di musica sacra, figure di accompagnamento barocco e una spiccata ispirazione operistica. Tecniche contrappuntistiche raffinate accanto al fraseggio lirico di ascendenza napoletana: sarebbe sufficiente questo a farne un capolavoro. Ma non basta: nel Requiem Mozart è riuscito soprattutto a trasmettere un'intimità e una personale espressione di sentimenti che apre la strada alla poetica romantica. Non l'avrà completato, ma tutto quello che doveva dire l'ha detto.
Il conte Franz von Walsegg-Stuppach sostenne senza arrossire di avere composto lui un pezzo del genere, un po' per vanità un po' per riscattare tutti quelli che sono in grado di capire il genio, ma non di imitarlo. Salieri, invece, non millantò mai di avere composto qualcosa di non completamente suo. Ottimo artigiano, onesto, ricco, famoso, amò Mozart come tutti gli artisti: godendo con l'anima e recriminando con la pancia. Io sto con Salieri. (marcello filotei)

(©L'Osservatore Romano - 6-7 settembre 2010)

2 commenti:

euge ha detto...

scusate......... Con tutto il rispetto per Mozart ma, c'era bisogno del requiem??????????????

NON HO PAROLE! con tutta la bellissima musica che Mozart ha scritto!

gemma ha detto...

@ euge
ti pensavo giusto due minuti fa, appena aperto il blog :)