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Il disincanto dei cattolici
«La caduta sempre più vertiginosa di rappresentatività sta diventando un elemento ormai incurabile dello stato dell’Italia».
Aldo Maria Valli
Alla settimana sociale dei cattolici, in corso a Reggio Calabria, parla il rettore dell’Università cattolica Lorenzo Ornaghi e dice ogni riforma elettorale o costituzionale, per essere veramente utile, deve avere fra i suoi obiettivi principali quello di combattere «il deficit crescente di rappresentatività politica». Ben sapendo, in ogni caso, che parallelamente occorre ridare forza e fiato alle rappresentanze sociali. Per Ornaghi è tale la disaffezione che perfino le riforme, al punto in cui siamo, sono guardate con sospetto. Si pensa che possano servire non al bene del paese, ma solo alla regolazione della lotta interna al ceto politico e al gioco dei loro interessi. Quanto a un eventuale partito dei cattolici, oggi metterlo in piedi sarebbe «complicatissimo» e comunque il problema resterebbe quello di «contare e non essere contati».
Alla vigilia i promotori avevano chiesto concretezza e per ora la settimana reggina sembra mantenere la promessa. Se un vescovo come Giancarlo Bregantini chiede che «il mondo politico non litighi per cose secondarie ma accolga il dramma dei giovani e della precarietà», e se il presidente della Cei Angelo Bagnasco dice che «in quest’ora esigente» un cattolico non può tacere, ecco che lo stesso Ornaghi nella sua relazione sull’Italia sostiene che «un federalismo bene inteso e correttamente applicato costituisce la principale e forse ormai unica soluzione alle lacerazioni che, anziché comporsi, spesso si allargano e moltiplicano» tra il nord e il sud. «Bene inteso» che cosa significa? Vuol dire che non deve spezzare l’unità sostanziale del paese, non deve essere ideologico, ma «autenticamente solidale». Deve cioè richiamare tutti, al nord come al sud, alla virtù della responsabilità.
Di federalismo ha parlato anche il professor Luca Diotallevi, che ha definito la riforma non solo «delicata sotto diversi profili», ma anche «irreversibile», ed ha aggiunto che se coniugato con i principi della sussidiarietà il federalismo non è un problema per l’Italia ma una soluzione.
Non è la prima volta che la Chiesa si pronuncia in materia, ma certamente da Reggio Calabria arrivano prese di posizione particolarmente esplicite.
Era stato Benedetto XVI, l’altro giorno, a chiedere ai cattolici di misurarsi con la nuova stagione sociale e politica senza complessi d’inferiorità e soprattutto a sollecitare ancora una volta la nascita di una nuova generazione di politici cattolici. Alla settimana sociale partecipano, assieme a milleduecento delegati di tutte le diocesi, trecento giovani che seguono i lavori giorno per giorno, vivendo questo appuntamento quasi come una scuola di politica, mentre i politici presenti ascoltano e non intervengono perché sono stati invitati a evitare ogni forma di protagonismo.
Anche questi sono segnali. E se poi aggiungiamo le riflessioni di Ettore Gotti Tedeschi, intervenuto con una relazione economica, il tasso di concretezza della settimana aumenta ancora. «Mentre negli Stati Uniti la tendenza è quella di nazionalizzare il debito della famiglia, in Italia stiamo privatizzando il debito pubblico», ha detto il presidente dello Ior, che si è pronunciato anche sull’euro («ci siamo entrati un po’ troppo frettolosamente, e questo non ha certamente rafforzato la struttura economica del paese») e sulle protezioni garantite in passato alla Fiat («proteggere un settore è renderlo debole, è come tenere un leone allo zoo, alimentandolo con il biberon, e quando poi apriamo la gabbia prende paura e non vuole uscire»).
Gotti Tedeschi non ha eluso il tema della banca vaticana, di nuovo al centro di polemiche. «Il papa dice che nel mondo globale, dove si movimentano flussi consistenti, l’esigenza di trasparenza è indispensabile.
E questo è tanto più vero se si tratta di enti legati alla Santa sede. Se il papa dà questa indicazione, non si può pensare che non ottemperiamo».
Intanto il Sir, servizio informazione religiosa della Cei, commentando i lavori dice: «In questo momento la posta in gioco è l’Italia». Quelle di cui si dibatte nella settimana sociale «sono proposte di medio periodo, che guardano con realismo alla situazione. Il nuovo non si può preordinare, ma è dovere stringente crearne le condizioni».
© Copyright Europa, 16 ottobre 2010 consultabile online anche qui.
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