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il ricordo
«Così la mia vocazione resistette al nazismo»
Nel messaggio di Ratzinger gli anni bui del regime di Hitler e l’opposizione spirituale dei seminaristi
DI GIANNI SANTAMARIA
Germania anno zero. A guerra finita restano macerie, fame, malattie. E pochi sacerdoti. Chi è morto in guerra. Chi finito in campo di concentramento per essersi opposto al nazismo. Chi, invece, si è macchiato di colpe e non rappresenta certo un modello per una ricostruzione morale, oltre che materiale. E poi, gli ostacoli messi dal regime a chi voleva seguire la propria vocazione, piuttosto che marciare dietro i vessilli con la croce uncinata, hanno assottigliato le schiere.
Dunque, al termine del conflitto servono nuovi preti. Nuovi in tutti i sensi. Una consapevolezza che il futuro Benedetto XVI condivide con i compagni del Seminario di Frisinga, tra i quali il fratello Georg, usciti indenni dal nazismo, che aveva ritardato la loro vocazione.
Lo ricorda lo stesso Ratzinger all’inizio della Lettera indirizzata ai seminaristi del nostro tempo, a conclusione dell’anno sacerdotale. Lo conferma il prefetto agli studi Alfred Läpple, ultranovantenne, in un’intervista concessa ad 'Avvenire' per il magazine speciale a colori uscito in occasione dell’80° compleanno del Papa. L’atmosfera che si respirava nel 1946 «era di gratitudine a Dio per averci salvato dal Terzo Reich e dalle bombe della guerra.
Dimostrare questa gratitudine per noi significava lavorare il doppio: essere preti buoni e zelanti, per sostituire quelli che erano morti in guerra». Läpple vive a Gilching, vicino a Monaco.
Località che fu la terza tappa dell’ausiliare di contraerea Ratzinger. Come racconta il giornalista Peter Seewald, che ha scritto diversi libri su e con il Pontefice – in una biografia illustrata, uscita in Germania con il titolo 'Benedetto XVI. Vita e missione' – il senso di sopravvivenza non era retorico. Diversi commilitoni di Ratzinger rimasero uccisi in un raid aereo degli Alleati.
Erano gli ultimi scorci di un regime che aveva represso la libertà di coscienza. Nella famiglia Ratzinger si respirava, grazie ai devotissimi genitori, un clima del tutto diverso. Un’opposizione spirituale («Joseph mi chiese: come hai fatto a resistere sei anni nella Luftwaffe? Con la preghiera, mia e di mia madre, risposi. E lui: anche per me è stato così», ricorda Läpple). E una testimonianza che portò molti al martirio. Come il gesuita Alfred Delp, che era stato attivo in una delle parrocchie di Monaco che negli anni Cinquanta videro i primi passi di Ratzinger sacerdote, dedicata al Preziosissimo Sangue. Mentre a Frisinga una via oggi ricorda Michael Höck, rettore del seminario nel Dopoguerra, che era stato internato a Buchenwald e Dachau. Läpple, nella sua precedente esperienza in un seminario, interrotta dalla guerra, aveva incontrato, invece, un prete fanatico che «girava per i banchi, esibendo il giornale del partito nazista. Poi è uscito dalla Chiesa ed è entrato nelle SS.. Dico questo per far capire cosa avevamo davanti agli occhi e nel cuore: un prete e un uomo così, ci dicevamo , noi non vogliamo esserlo mai».
© Copyright Avvenire, 19 ottobre 2010
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1 commento:
Penso con immenso rispetto a quanta soferenza abbia patito e quanto coraggio abbia richiesto anche allora, la scelta del sacerdozio per l'attuale Papa. Sembra che la sofferenza in nome di Dio e il martirio siano state la sua vocazione da sempre. Forse, prorprio tale esperienza Lo ha fatto diventare così Fratello e così Padre per ogni uomo, non solo per i seminaristi. Continuano a chiuamarLo. "il Papa teologo" senza considerare che solo chi ama Dio in modo particolare può esserlo davvero, perchè la teologia non è una scienza come le altre
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