giovedì 7 gennaio 2010

Nel Cortile dei Gentili Benedetto XVI invita atei e credenti a parlare di Dio (Mons. Giampaolo Crepaldi)


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Nel Cortile dei Gentili Benedetto XVI invita atei e credenti a parlare di Dio

di Mons. Giampaolo Crepaldi*

Benedetto XVI ci ha ormai abituato ad aspettarci delle riflessioni molto rilevanti dai suoi Discorsi annuali alla Curia Romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi.
Anche quest’anno il papa non ha deluso le attese e prendendo spunto dai suoi tre viaggi in Africa, in Terra Santa e nella Repubblica Céca, ha parlato del “Cortile dei gentili”.
Cos’era questo “Cortile”?
Secondo il profeta Isaia, il tempio doveva essere un luogo di preghiera per tutti i popoli (“Il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli”). Isaia annuncia il Dio vero ed unico (“Io sono il primo e io l’ultimo, fuori di me non vi sono altri dei”) non idoli fabbricati dagli uomini creati apposta per rassicurare dalle paure (“Chi fabbrica un Dio o fonde un idolo senza cercarne vantaggi?”). Il Cortile dei Gentili era lo spazio del tempio ove avevano accesso tutti i popoli, e non solo gli Israeliti, per pregare il Dio a loro ancora sconosciuto anche se non potevano accedere all’interno del tempio e celebrare quindi pienamente il mistero. Gesù aveva cacciato di là i cambiavalute e i venditori di colombe, rovesciandone i tavoli come racconta il Vangelo.
Qual è lo status religioso di questi “Gentili”? Sono coloro, dice il papa, che sono scontenti dei loro déi, riti e miti perché si rendono conto che da essi non può derivare nessuna vera salvezza in quanto produzione di mani d’uomo. Anche se essi non lo conoscono, sono in attesa del Dio unico, vero e grande, il Dio che è verità e amore e desiderano pregarlo. Sono tutte quelle persone che sentono come l’irreligiosità del loro tempo non li ha liberati ma ha condotto a nuovi miti in apparenza liberatori ma non veramente liberanti. Essi non conoscono il vero Dio, però se trovassero un aggancio vi si appiglierebbero. Oggi i Gentili sono coloro per i quali “la religione è una cosa estranea” eppure non vogliono rimanere semplicemente senza Dio, mentre sono stanchi e forse nauseati dagli dèi che l’irreligiosità ha posto (o imposto) loro davanti.
Il papa chiede che anche oggi si creino dei “Cortili dei Gentili” per permettere a costoro di avvicinare Dio “almeno come Sconosciuto” e così facendo assegna a tutti noi il grande compito di permettere a tutti gli uomini questo incontro con Dio. Ma come fare? A mio parere il “Cortile dei Gentili” non è un luogo ove non si parla di Dio, ma un luogo ove si parla di Dio come risposta alle attese dell’uomo; un luogo dove si parla dell’uomo e di Dio insieme perché il problema dell’uomo è anche il problema di Dio. Il Cortile dei Gentili non è un luogo neutro rispetto a Dio ed infatti questo Cortile apparteneva al tempio. E’ un luogo non ancora confessionale, non ancora liturgico, non ancora ecclesiastico, ma è un luogo religioso ove si parla di Dio e delle profonde attese umane.
Credo che in questo grande disegno un ruolo molto importante possa essere giocato dalla Dottrina sociale della Chiesa, la quale si colloca nel punto di incontro tra la ragione e la fede, vale a dire nel punto in cui il Cortile dei Gentili lambisce l’interno del tempio. La Dottrina sociale della Chiesa è essa stessa una specie di “Cortile dei Gentili” in quanto parla a tutti gli uomini, anche a coloro cui Dio è sconosciuto. Essa parla di Dio parlando dell’uomo e della comunità degli uomini.

* S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi è Arcivescovo di Trieste e Presidente dell’ Osservatorio Van Thuân sulla dottrina sociale della Chiesa

© Copyright L'Occidentale, 7 gennaio 2010

1 commento:

Anonimo ha detto...

Che non si moltiplichino le cattedre degli atei di martiniana memoria!
Il giardino deve diventare momento di conversione se no perde il suo significato!
Matteo Dellanoce