domenica 21 febbraio 2010

A quattro anni dalla visita ad Auschwitz, il Papa: "Dio, dove sei tu in questo mondo? (Izzo)


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Riceviamo e con grandissimo piacere e gratitudine pubblichiamo il seguente commento di Salvatore Izzo al testo integrale della lectio del Papa.
Apprendiamo anche che il Santo Padre ha rivisto ed integrato il testo. Il ritardo nella pubblicazione assume quindi un'altra luce, pienamente giustificabile.

R.

Papa: 4 anni dopo Auschwitz, "Dio, dove sei tu in questo mondo?"

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 21 feb.

"Perche', Signore, hai taciuto? Perche' hai potuto tollerare tutto questo?". Sono le domande lasciate senza risposta da Benedetto XVI il 28 maggio del 2006, nella sua dolente visita a Auschwitz, "un luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l'uomo che non ha confronti nella storia, dove - disse - prendere la parola e' quasi impossibile, ed e' particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania: vengono meno le parole, resta solo uno sbigottito silenzio che diventa poi domanda".
Quattro anni dopo, Joseph Ratzinger riprende il tema del dolore degli innocenti e torna a chiedersi: "Dio dove sei tu in questo mondo?".
E lo fa in uno straordinario commento alla Lettera agli Ebrei che include la Lectio divina tenuta giovedi' scorso a braccio ai preti di Roma: un testo rivisto e arricchito dallo stesso Pontefice, che ha modificato diverse espressioni e ha aggiunto interi brani. Il passaggio e' quello che piu' ha colpito i media, la questione cioe' di "che cosa sia l'uomo", nel quale afferma che mentire e rubare non e' veramente umano, infatti a qualificare l'uomo "non e' il peccato, perche' il peccato non e' mai solidarieta', ma e' sempre desolidarizzazione, e' un prendere la vita per me stesso, invece di donarla". "La vera umanita' - spiega - e' partecipare realmente alla sofferenza dell'essere umano, vuol dire essere un uomo di compassione, 'metriopathein', dice il testo greco, cioe' essere nel centro della passione umana, portare realmente con gli altri le loro sofferenze". Ed e' in questo contesto che il Pontefice riassume in quella domanda angosciante "le tentazioni di questo tempo". "Dove sei tu Dio?", si domanda citando le parole del salmo: "Siamo venduti come pecore da macello". E' questo, rileva, "un grido dell'umanita' sofferente! E Gesu', che e' il vero soggetto dei Salmi, porta realmente questo grido dell'umanita' a Dio, alle orecchie di Dio: 'Aiutaci e ascoltaci!'. Egli trasforma tutta la sofferenza umana, prendendola in se stesso, in un grido alle orecchie di Dio".
"Gesu' - ricorda - piangeva davanti alla tomba di Lazzaro, era realmente toccato interiormente dal mistero della morte, dal terrore della morte. Persone perdono il fratello, come in questo caso, la mamma e il figlio, l'amico: tutta la terribilita' della morte, che distrugge l'amore, che distrugge le relazioni, che e' un segno della nostra finitezza, della nostra poverta'.
Gesu' e' messo alla prova e si confronta fino nel profondo della sua anima con questo mistero, con questa tristezza che e' la morte, e piange. Piange davanti a Gerusalemme, vedendo la distruzione della bella citta' a causa della disobbedienza; piange vedendo tutte le distruzioni della storia nel mondo; piange vedendo come gli uomini distruggono se stessi e le loro citta' nella violenza, nella disobbedienza".
"Gesù - continua Bendetto XVI - piange, con forti grida.
Sappiamo dai Vangeli che Gesù ha gridato dalla Croce, ha gridato: 'Dio mio, perché mi hai abbandonato?' , e ha gridato ancora una volta alla fine. E questo grido risponde ad una dimensione fondamentale dei Salmi: nei momenti terribili della vita umana, molti Salmi sono un forte grido a Dio: “Aiutaci, ascoltaci!”. "Diciamo, giustamente, che Gesù - sottolinea il Pontefice - non ha offerto a Dio qualcosa, ma ha offerto se stesso e questo offrire se stesso si realizza proprio in questa compassione, che trasforma in preghiera e in grido al Padre la sofferenza del mondo".
Nella Lettera agli Ebrei ammette poi il Papa teologo, c'e' "una frase difficile da interpretare: dice che Gesù ha pregato fortemente, con grida e lacrime, Dio che poteva salvarlo dalla morte, e, per il suo pieno abbandono, venne esaudito". "Qui - rileva - vorremmo dire: 'No, non è vero, non è stato esaudito, è morto'. Gesù ha pregato di essere liberato dalla morte, ma non è stato liberato, è morto in modo molto crudele. Perciò il grande teologo liberale Harnack ha detto: 'Qui manca un no', deve essere scritto: 'Non è stato esaudito' e Bultmann ha accettato questa interpretazione. Però questa è una soluzione che non è esegesi, ma è una violenza al testo. In nessuno dei manoscritti appare 'non', ma 'è stato esaudito'; quindi dobbiamo imparare a capire che cosa significhi questo 'essere esaudito', nonostante la Croce". "Si può tradurre il testo greco così: 'è stato redento dalla sua angoscia' e in questo senso, Gesù è esaudito. Sarebbe - osserva il Pontefice - un accenno a quanto ci racconta san Luca che 'un angelo ha rafforzato Gesù' , in modo che, dopo il momento dell’angoscia, potesse andare diritto e senza timore verso la sua ora, come ci descrivono i Vangeli, soprattutto quello di san Giovanni.
Sarebbe l’esaudimento, nel senso che Dio gli dà la forza di portare tutto questo peso e così è esaudito". Ma al Papa sembra che questa sia "una risposta non del tutto sufficiente". E citando il biblista cattolico Albert Vanhoye (segretario della Pontificia Commissione Biblica presieduta dall'allora card. Ratzinger, che eletto al Soglio di Pietro lo ha poi ha innalzato alla dignità cardinalizia nel concistoro del 24 marzo 2006) chiarisce: "la preghiera di Gesù è stata esaudita, nel senso che realmente la sua morte diventa vita, diventa il luogo da dove redime l’uomo, da dove attira l’uomo a sé. Se la risposta divina in Giovanni dice: 'ti glorificherò', significa che questa gloria trascende e attraversa tutta la storia sempre e di nuovo: dalla tua Croce, presente nell’Eucaristia, trasforma la morte in gloria. Questa è la grande promessa che si realizza nella Santa Eucaristia, che apre sempre di nuovo il cielo".
Nel testo pubblicato sul sito ufficiale della Santa Sede Papa Ratzinger si sofferma infine sul re pagano Melchisedek, "che adora con pane e vino il Dio Creatore del cielo e della terra" e "ciò mostra che anche dal paganesimo c’è una strada verso Cristo e i criteri sono: adorare il Dio Altissimo, il Creatore, coltivare giustizia e pace, e venerare Dio in modo puro. Così, con questi elementi fondamentali, anche il paganesimo è in cammino verso Cristo, rende, in un certo modo, presente la luce di Cristo". "Nel canone romano, dopo la Consacrazione, abbiamo - conclude - alcune prefigurazioni di Cristo, del suo sacerdozio e del suo sacrificio: Abele, il primo martire, con il suo agnello; Abramo, che sacrifica nell’intenzione il figlio Isacco, sostituito dall’agnello dato da Dio; e Melchisedek, Sommo Sacerdote del Dio Altissimo, che porta pane e vino. Questo vuol dire che Cristo è la novità assoluta di Dio e, nello stesso tempo, è presente in tutta la storia, attraverso la storia, e la storia va incontro a Cristo. E non solo la storia del popolo eletto, che è la vera preparazione voluta da Dio, nella quale si rivela il mistero di Cristo, ma anche dal paganesimo si prepara il mistero di Cristo, vi sono vie verso Cristo, il quale porta tutto in sé: qui è raccolta tutta la preghiera umana, tutto il desiderio umano, tutta la vera devozione umana, la vera ricerca di Dio, che si trova finalmente realizzata in Cristo".

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